Vincolo o libertà di mandato

Vincolo o libertà di mandato

L’elevata probabilità che un gruppo di “responsabili di ritorno”, al Senato, abbandoni il M5S per garantire la nascita del Governo Bersani ed evitare la rapida fine di un sogno parlamentare appena iniziato, ha fatto tornare d’attualità il dibattito, in realtà mai sopito, attorno all’Art.67 della Costituzione. La scelta dei Costituenti di sancire che “Ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato”, derivava dall’esperienza del Fascismo, che aveva soffocato ogni libertà politica individuale, ma anche dalla preoccupazione che i partiti del CLN, che avevano costituito i primi governi successivi, potessero esercitare un potere eccessivo. In realtà tale problematica si riferiva al PCI, il più forte ed organizzato di quei soggetti, che si rifaceva all’esperienza non democratica dei partiti confratelli dell’Est europeo. Esso, infatti, coltivava il cosiddetto centralismo democratico, secondo cui le decisioni importanti venivano affidate esclusivamente al Gruppo dirigente, se non al Capo e tutta la struttura piramidale del partito dipendeva dal vertice.

Difendere la libertà del singolo eletto, venne quindi considerato prioritario e si rivelò una scelta opportuna, nei decenni successivi, per contenere l’invadenza dei partiti, che, di fatto, finirono col dominare le Istituzioni e le Aziende Pubbliche, statali e territoriali, tanto che, per definire il fenomeno, venne coniato il termine di partitocrazia.

Con l’avvento della Seconda Repubblica, i soggetti politici divennero sempre più liquidi ed inconsistenti, ad eccezione del PDS-DS-PD, che aveva conservato le strutture ed i legami con gli interessi consolidati del PCI, da cui derivava. In conseguenza, si è andato sempre più diffondendo un fenomeno centrifugo, che ha prodotto, nei singoli, reiterate “crisi di coscienza”, mentre, sul versante partitico, ha fatto emergere numerose identità senza ancoraggi valoriali, fino a determinare, nella scorsa legislatura, la costituzione di un Gruppo parlamentare dei “responsabili”, accorsi in aiuto del traballante Governo.

Da molte parti si alzarono voci, anche autorevoli, contro tale pratica scandalosa e furono firmati documenti pieni di indignata riprovazione per un fenomeno, che appariva effettivamente come un volgare mercato, anche se, a volte, la contropartita era rappresentata semplicemente dalla prosecuzione delle Legislatura, per evitare che Deputati o Senatori, che certamente non sarebbero stati rieletti, perdessero i privilegi dello status di parlamentari.

Dopo quell’esperienza e di fronte al rischio di perdere una parte dei Senatori, i quali, avendo votato per il Presidente dell’Assemblea indicato dal PD, potrebbero decidere, in qualche forma, di sostenere il Governo per difendere il ruolo conquistato, Grillo ha tuonato contro l’Art. 67 della Carta Fondamentale, che non gli consente di pretendere da parte dei propri eletti, quell’obbedienza assoluta, che egli desidera.

Il dibattito intorno alla prevalenza del valore della libertà individuale dell’elettorato, rispetto a quello della fedeltà al mandato popolare, ottenuto sulla base del programma della formazione politica di appartenenza, è antico.

In tutte le Democrazie liberali è stato sempre privilegiato il divieto di mandato imperativo, mentre la scelta contraria ha contraddistinto tutti i regimi autoritari, in particolare le costituzioni delle ex Repubbliche Sovietiche.

Coerentemente alle proprie origini culturali, il PD si è scagliato contro il fenomeno della corruzione parlamentare, affidando alla intellighenzia di sinistra una forte campagna contro Berlusconi, che aveva utilizzato i diversi strumenti a propria disposizione per “convincere” alcuni dubbiosi. I soliti Pubblici Ministeri militanti, hanno persino ravvisato profili di reato in alcune acquisizioni di Parlamentari, istruendo un processo per corruzione.

Oggi tuttavia si sta profilando una situazione opposta nel lavorio che autorevoli rappresentanti del PD stanno effettuando per acquisire il voto favorevole al Governo Bersani da parte di alcuni Senatori grillini, anche se sembra con esito non positivo.

La nostra cultura liberale ci ha portato sempre a privilegiare la libertà dei singoli rispetto alla disciplina . Tuttavia non possiamo non rilevare che, in un’epoca come la nostra, in cui i partiti hanno perso quasi ogni identità e si presentano sempre più come comitati elettorali, reiterati fenomeni di vera e propria compravendita, non possono che indignare. Il rimedio, a nostro avviso, non consiste, come chiede a gran voce Grillo, nella modifica dell’Art. 67, bensì in una riforma elettorale che elimini le vergognose liste bloccate, dove i partiti nominano i propri deputati prima delle elezioni, con l’unica incertezza del numero degli eletti. Se si tornasse ad un sistema elettorale basato su collegi uninominali, si otterrebbe il risultato di mantenere la garanzia di libertà del singolo parlamentare, insieme alla garanzia di una più stretta correlazione con gli elettori del collegio, i quali potrebbero trarre, alla successiva tornata, le conseguenze di un comportamento scorretto del proprio rappresentante.

La recente esperienza italiana, durante il periodo in cui è stata sperimentata una legge prevalentemente uninominale, come il Mattarellum, non è stata delle più felici, in quanto gli elettori venivano indotti da una fortissima campagna mediatica a scegliere prevalentemente le coalizioni, piuttosto, che i singoli candidati, al punto che era invalsa l’abitudine nei partiti di collocare a Bolzano un napoletano o viceversa. Tuttavia, quel sistema elettorale ebbe una sperimentazione troppo breve ed avvenne in un periodo di quasi totale rinnovamento del ceto politico, per cui spesso gli elettori si trovarono di fronte a degli sconosciuti. Alla lunga certe distorsioni si sarebbero probabilmente attenuate. Per tale ragione, attraverso la via referendaria, ne avevamo sostenuto la reintroduzione.

Le opinioni sono tutte legittime. Nel dibattito in corso in questi giorni su tale argomento, per altro, risulta insopportabile la riproposizione di una presunta supremazia morale della Sinistra, con la conseguenza che quando una trasmigrazione avviene, come in passato, verso Berlusconi, è corruzione, se si realizza, come è già stato, per l’elezione di Grasso a Presidente del Senato e come potrebbe avvenire per dare sostegno al Governo Bersani, è libertà di coscienza. Questo è davvero insopportabile!

Tratto da Rivoluzione Liberale

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