
Una nuova ripartenza per i liberali
Dopo il risultato disastroso del tentativo mal concepito (e peggio riuscito) di una lista liberal-democratica in Italia per le elezioni europee, si pongono diversi interrogativi, che non possiamo eludere, perché ci coinvolgono direttamente.
Un’ALDE arrendevole non ha saputo, né voluto pretendere che Scelta Europea assumesse il necessario profilo liberale, assegnando il ruolo di protagonisti a tre mozziconi di partiti eterogenei, oggi in crisi, con due dei tre segretari dimissionari e pronti ad avviarsi rapidamente alla liquidazione.
All’interno di SC si è aperta la corsa per l’approdo, anche se a titolo individuale, nel PD, il quale tuttavia appare freddo rispetto all’ipotesi di una campagna acquisti di parlamentari ed esponenti politici privi di consenso elettorale, come si sono dimostrati i rappresentanti del movimento fondato da Mario Monti.
Fare si accinge a pagare il prezzo di una smisurata supponenza, imboccando la strada che porterà tale movimento, dopo l’inevitabile declino già scritto nella propria contraddittoria denominazione, alla completa e rapida dissoluzione.
Non si hanno notizie di Tabacci, che, essendo un democristiano, forse, ha più interesse ad una confluenza verso il PD renziano, (che della vecchia DC va sempre più assumendo la connotazione) piuttosto che, come aveva in precedenza auspicato, nella speranza di porsene avvantaggiare, alla costituzione di un soggetto liberal-democratico, che culturalmente non appartiene al suo DNA.
L’ALDE continua a dare segnali contraddittori. Guy Verhofstadt ha mandato un messaggio dal forte connotato liberale, in cui afferma di voler procedere, nonostante l’insuccesso elettorale, nell’esperimento avviato in Italia, senza tuttavia tentare un’analisi approfondita delle relative cause. Infatti non ha voluto affrontare la delicata analisi del perché il messaggio di Scelta Europea (e non soltanto per colpa della scarsa attenzione dei media) sia risultato debole e contraddittorio. La Lista, infatti, non è apparsa come la proiezione italiana dell’area dei liberali e democratici europei, ma come una federazione di tre partitini senza consenso, che nulla avevano a che fare con il liberalismo.
La stessa partecipazione del PLI, (anche se in forma non entusiastica, anzi obiettivamente molto sofferta) ma che avrebbe potuto evidenziare il profilo liberale, è stata accuratamente e pervicacemente nascosta. Pertanto il risultato conseguito non si discosta molto dalla cifra che i sondaggi assegnavano al solo Partito Liberale o dal consenso effettivamente da esso raccolto in precedenti competizioni, fuori da ogni alleanza, e quindi nelle condizioni peggiori perché, trattandosi di elezioni con criterio maggioritario, gli elettori erano attratti dal richiamo del cosiddetto voto utile.
Tuttavia, preoccupano maggiormente le voci insistenti di un interesse dell’ALDE, (dopo il gravissimo errore compiuto negli anni scorsi di accogliere un partito dichiaratamente illiberale, come l’IDV di Di Pietro) all’apertura di un confronto con il M5S per un’eventuale adesione di tale movimento al proprio Gruppo parlamentare. Se quanto è comparso sui giornali di questi giorni, a cui ci rifiutiamo di credere, dovesse risultare confermato, sarebbe l’ultimo, imperdonabile errore dell’ALDE, che si dimostrerebbe un gruppo politico alla ricerca esclusiva di un rafforzamento senza condizioni. Una simile decisione rappresenterebbe la rinuncia all’orgoglioso ancoraggio valoriale, al quale il PLI di Malagodi, all’epoca della sua fondazione, da una costola dell’Internazionale Liberale, aveva dato un fondamentale contributo.
Ci auguriamo che si tratti di farneticazioni di qualche giornalista in cerca di notizie sensazionali e che arriverà una netta smentita. Ove così non fosse, si tratterebbe di un cambio di pelle talmente radicale, da metterne in discussione la vocazione originaria ed imporrebbe ai liberali italiani di prendere nettamente le distanze. Sarebbe la imperdonabile ripetizione di quanto già avvenuto ai tempi dell’adesione di Di Pietro, che aveva determinato l’allontanamento del PLI, il quale ha deciso di riaprire il dialogo soltanto quando lo stesso Verhofstadt, a chi scrive, aveva ammesso che si era tratto di un gravissimo errore.
Siamo, infatti, sempre più convinti che il giustizialismo, come il,populismo ed il leaderismo non rappresentano la strada maestra per uscire dalla crisi e recuperare come Nazione il ruolo che ci compete, ma bisogna ritornare al confronto tra soggetti fortemente identitari.
L’estrema sinistra, come l’estrema destra si stanno già muovendo in tale direzione. I liberali devono fare altrettanto nell’area centrale, evitando di confondersi con il centro opportunistico di matrice democristiana.
Non rimane ai liberali che fare affidamento nella, ormai proverbiale, capacità di non rassegnarsi, pur di fronte alle tante sconfitte e alle ancor più numerose delusioni. Il Congresso del PLI, indetto per i primi di ottobre potrebbe essere una imperdibile occasione per il necessario rinnovamento e per la riunione, finalmente, sotto il medesimo tetto, di tutti i dispersi gruppi liberali italiani, cominciando dai tanti, che avevano aderito a Fare, convinti che si trattasse di un movimento di stampo liberale ed oggi si trovano, di fatto, senza un patria politica.
Prima del Congresso sarebbe quindi opportuna la convocazione degli stati generali liberali, coinvolgendo tutti coloro che intendono evitare altre avventure senza prospettive, come si sono rivelate il tentativo della federazione ICPC, (utilizzata da Fare soltanto per neutralizzare gli effetti della scissione di ALI, promossa dal fondatore Giannino) oppure il minestrone indigeribile di Scelta Europea, che se aveva un sapore, era quello amaro del Montismo, nei cui confronti anche il ceto medio si è rivelato ostile, recependo un sentimento diffuso in tutti gli altri strati sociali.
Ricominciare ancora una volta, quindi, è la parola d’ordine del mondo liberale. Il punto di partenza non può che essere il PLI, unica realtà organizzata sul territorio, coinvolgendo, associazioni, gruppi e singole personalità, tutti con uguale dignità. Ruoli di responsabilità andrebbero assegnati a rappresentanti delle nuove generazioni, per rivitalizzare un gruppo dirigente, obiettivamente datato, in modo da contribuire concretamente, con rinnovato entusiasmo, al delicato compito di far uscire il Paese da una fase avventuristica, che l’esito delle recenti elezioni europee, anziché scoraggiare, ha rafforzato.
Stefano de Luca
Tratto da Rivoluzione Liberale