Un soggetto liberale per l'Italia
Nell’ultimo ventennio la parola più usata dai protagonisti della politica, sia di destra che di sinistra, come dai commentatori dei maggiori giornali, è stata “liberale”. Nessuno di essi, o quasi, in realtà lo era o la usava nel suo significato appropriato, spesso confondendola, come avviene tuttora, con conservatore, o liberista, ma anche con progressista o riformista, espressioni che significano cose del tutto diverse.
In realtà “liberale” nella scienza della politica è un sostantivo, che corrisponde ad una lunga e ricca tradizione culturale, mentre se ne è fatto uso come aggettivo, non tenendo conto che, in tale accezione, nella lingua italiana, ha un significato ben diverso.
Oggi una fase certo non felice della storia politica del Paese si avvia verso la conclusione. Pertanto sembra venuto il momento di fare chiarezza, superando la logica della contrapposizione destra-sinistra, che non significa nulla, ma ha avuto fortuna, perché ha permesso di nascondere, in realtà, che si fronteggiavano due diversi conservatorismi, entrambi di stampo corporativo, legati ad interessi diversi, vocati esclusivamente alla gestione del potere. Per superare effettivamente questa lunga transizione senza politica, durante la quale l’Italia ha perso prestigio internazionale, competitività, spessore culturale, insieme ad aver registrato una decadenza morale senza precedenti, bisogna recuperare il ruolo della politica più nobile, fondata sulle radici identitarie e valoriali.
In tale nuovo contesto, un posto di diritto spetta al pensiero liberale, al pari di altri filoni, come quello socialista o quello cattolico democratico, auspicando anche la nascita di un movimento conservatore rispettabile, come esiste in quasi tutte le democrazie occidentali, diverso da quello italiano, fondato sul populismo cesarista e plebiscitario.
E’ venuto quindi il momento che i liberali, divisi dalla diaspora della cosiddetta Seconda Repubblica, ritrovino la necessaria unità. Come l’acqua di un’unica sorgente, che si è dispersa in mille rivoli, separata da isole e rapide, poi si riunisce nell’alveo del fiume, così i liberali, se vogliono recuperare il ruolo che compete loro, devono ritrovarsi in unica forza, distinta e riconoscibile. Si tratta, prima ancora che di un legittimo interesse di parte, di un dovere etico nell’interesse del Paese, che non può rinunciare alla necessaria Rivoluzione Liberale, se vuole riprendere il posto che gli compete tra le grandi democrazie dell’Occidente e le principali potenze mondiali.
Il prossimo Congresso costituente del PLI, il quale finora ha svolto un ruolo più di testimonianza culturale che di vero e proprio soggetto politico, rappresenterà l’ultima imperdibile occasione.
Se è vero che non vi sono più spazi per spesa pubblica improduttiva, burocrazia, clientelismo, assistenzialismo, soltanto la ricetta liberale consentirà di puntare ad una società competitiva, fondata sulla concorrenza e sui saperi, in grado di ridurre il debito pubblico, rendere più snella ed efficiente la Pubblica Amministrazione, ricostruire dalle fondamenta il welfare, riformare il sistema pensionistico, secondo i parametri adottati negli altri Paesi progrediti con sistemi economici simili al nostro. Allo stesso tempo bisogna puntare alla valorizzazione dei beni culturali ed ambientali, all’istruzione di eccellenza, abolendo il valore legale dei titoli di studio, ma accentuandone quello sostanziale, nonché alla ricerca,all’ innovazione, alla libertà economica effettiva, all’efficienza, all’ etica delle responsabilità, sia nel pubblico come nel privato, all’esaltazione del valore della cittadinanza.
Minor numero di leggi, riduzione al minimo dei divieti, che il cittadino giustamente mal sopporta, maggiore libertà, restituzione alla politica della nobiltà perduta, anche attraverso una compostezza ed una austerità che negli ultimi anni sembrano scomparse. Sono questi i tratti distintivi di una società liberale, che ambisce a stare al passo con la modernità.
Tratto da Rivoluzione Liberale