Trani scandalo nello scandalo, di Stefano de Luca

La penosa vicenda che emerge dalle indiscrezioni sull’inchiesta della Procura di Trani è esemplificativa di una tenuta democratica ormai al collasso. Che un Presidente del Consiglio trami con un proprio ex impiegato, collocato come componente di una alta Autorità di garanzia, contro giornalisti e trasmissioni a lui sgradite, per un liberale, è cosa che fa rabbrividire e dimostra come ormai il rapporto tra politica ed informazione RAI, da sempre lottizzato, abbia superato ogni limite di decenza e rientri nella sfera della patologia. Serve a spiegare anche come sia possibile che esistano trasmissioni insopportabili come “Annozero”, che ha un solo ed unico tema: l’attacco e la denigrazione del Capo del Governo e di tutto ciò che gli ruota intorno. Nella logica della guerra per bande, tutto è consentito, anche i colpi bassi e gli espedienti più ignobili, sia dalla parte del giornalismo militante, come da quella di una politica fondata sulla occupazione del potere e sul sopruso. Come non scandalizza l’insulto e la diffamazione, che vengono spacciati per informazione, approfondimento o satira, altrettanto si ritiene normale rispondere con il tentativo della cancellazione, abusando del proprio potere politico. Se tutto questo avviene nell’ ambito del Servizio Pubblico, finanziato dal Canone dei Contribuenti, è ancora più odioso e rafforza la nostra antica convinzione che per la RAI vi è un’ unica soluzione: quella di imboccare la via della privatizzazione.

Da parte sua il potere giudiziario, purtroppo dando ragione a chi lo accusa di perseguire intenti politici, si comporta come un oppositore e non come un Ordine, terzo ed indipendente. Non può essere sfuggita a nessuno la tempestività della fuga di notizie, in un momento già reso caldo dalla polemica sulla ricusazione di alcune liste elettorali, facenti capo alla stessa fazione politica. Il compito delle Procure è quello di occuparsi di reati, non di compiere indebite interferenze nella politica, con la complicità di ben individuati settori  dell’ informazione. E’ apparso evidente a tutti che lo sconfinamento, non solo viola ogni regola di galateo istituzionale, ma anche norme giuridiche cogenti, ponendo in essere comportamenti inammissibili proprio da parte di chi sarebbe chiamato alla delicata funzione di imporre il primato della legge e della legalità. Tutto questo, al di là di ogni questione di opportunità, rappresenta un palese vulnus del principio della separazione dei Poteri, solennemente sancito dalla Carta Costituzionale. Una parte si ritiene legittimata ad usare impropriamente il consenso, ottenuto dal Corpo Elettorale, non solo per occupare tutti gli spazi di potere, che le derivano dalla maggioranza politica, compreso il predominio sul controllo della RAI, ma altresì per annientare il contraddittorio, se diventa fastidioso e pressante.

L’ altra parte (dispiace dover chiamare così settori della magistratura inquirente) ritiene di poter usare gli strumenti investigativi con largo spreco delle risorse del contribuente, per produrre scoops scandalistici, facendo trapelare durante una campagna elettorale notizie di forte impatto mediatico, ancorché prive di contenuto penalistico, ma di grandissimo effetto politico.

Indiscutibilmente le indebite pressioni esercitate su un Organo di Garanzia impongono un giudizio fortemente critico su chi le abbia esercitate, ma che compete alla sede politica, non ad un magistrato, peraltro incompetente, che invece ha il dovere di occuparsi esclusivamente di perseguire i di reati. Purtroppo l’ansia della sovraesposizione mediatica ha reso tali comportamenti ripetuti e ormai quasi abituali. Basta ricordare le raffiche di intercettazioni, audizioni di testimoni notissimi e  arresti eccellenti della Procura di Potenza, o di quella di Catanzaro o di Salerno, e, più recentemente di Firenze, che, consapevolmente prive di competenza territoriale, hanno deliberatamente portato avanti inchieste e deciso arresti, prima di trasmettere gli atti ai propri colleghi, territorialmente competenti.

A tutto ciò la politica risponde con protervia, ritenendo che la legittimazione popolare possa consentirle tutto.

Quale forma di protesta rimane ai cittadini, che assistono interdetti allo scempio del diritto e della Costituzione, se non, come primo atto di rivoluzione morale, quello di disertare le urne?


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