Talk show e politica, intreccio perverso

Com’è noto, l’art. 49 della Costituzione affida la determinazione della politica nazionale, e quindi anche la selezione dei suoi esponenti, ai partiti ed ai loro meccanismi interni; a loro volta, le varie leggi elettorali (per enti locali, regioni, parlamento), almeno sino al 1992, affidavano le scelte definitive sulle rappresentanze istituzionali ai cittadini elettori, che potevano dire in proposito l’ultima parola attraverso l’esercizio del diritto di voto, espresso in varie forme (la preferenza o il collegio uninominale).

La selezione interna ai partiti coinvolgeva potenzialmente tutti i cittadini, anche se poi le scelte appartenevano agli iscritti, che erano nell’ordine di centinaia di migliaia, o almeno ai dirigenti ed ai più attivi dei militanti, che comunque erano, considerando i vari livelli, alcune migliaia.

Se poi le scelte dei partiti si rivelavano sbagliate o sgradite agli elettori, questi potevano sempre intervenire attribuendo la preferenza nella lista ad uno piuttosto che ad un altro candidato, ovvero scegliendo nel collegio uninominale un partito (ed insieme un candidato) piuttosto che un altro.

Il sistema così delineato era abbastanza equilibrato, tra scelte di vertice e verifica popolare, ed ha funzionato per oltre quaranta anni, sino a che, scemata la partecipazione dei cittadini alla vita dei partiti, è degenerato in oligarchia, tuttavia pur sempre temperata dalla scelta finale attribuita agli elettori.

A partire dagli anni novanta è intervenuta una profonda modifica nel rapporto dei partiti con l’opinione pubblica, attraverso la televisione ed il suo più insidioso strumento di informazione-manipolazione rappresentato dai talk show.

Senza che nessuno se ne rendesse inizialmente conto, la selezione della classe politica è poco alla volta trasmigrata (direi quasi “sdrucciolata”) dai partiti (che nel frattempo erano entrati in crisi) ai talk show (che quasi in contemporanea cominciavano ad affermarsi e proliferare) ed ai loro conduttori, che sono riusciti a trasformare persone, spesso digiune di politica ma dotate di qualche capacità di intrattenimento, in veri e propri personaggi mediatici, quand’anche privi di un retroterra culturale e politico; i più accorti ed ambiziosi tra questi sono poi diventati personaggi pubblici e quindi inevitabilmente politici, come tali utilizzabili anche nelle occasioni elettorali in ragione della notorietà acquisita attraverso qualche performance televisiva, talvolta anche di dubbio gusto.

Chi urlava di più,chi sapeva litigare meglio, chi aveva la prontezza dell’insulto più feroce, chi  riusciva a sovrastare l’interlocutore faceva crescere l’audience, diventava ospite fisso nella strana compagnia di giro dei talk show, implementava così la sua statura di personaggio e diveniva quindi sempre più spendibile in politica, con un meccanismo che si autoalimentava all’infinito.

Il fenomeno è iniziato in sordina col Maurizio Costanzo Show degli anni ottanta, si è allargato, più o meno in contemporanea, con Samarcanda di Santoro, ed è ora pane quotidiano con Ballarò di Floris, l’Infedele di Lerner, Porta a Porta di Vespa, Servizio Pubblico di Santoro; e ne dimentico certamente qualcuno, mentre molti altri ce ne sono ai vari livelli territoriali coperti dai media locali. Qualcuno direbbe: è lo spettacolo, bellezza! E, se solo di questo solo si trattasse, non ci sarebbe problema.

Ma la cosa non finisce lì, perché il resto, quasi in contemporanea, l’ha fatto la trasformazione dei sistemi elettorali, in termini sempre più personalizzati, sino al “nominificio” del “porcellum”, alla volgarità dell’esposizione dei nomi dei leader sui simboli di partito, ed alla balorda indicazione sulla scheda elettorale dei presunti candidati alla presidenza del consiglio, che la Costituzione vigente affida invece alla ponderata scelta del Capo dello Stato.

Si può allora dire che, negli ultimi venti anni, attraverso il combinato disposto dei talk show televisivi, per un verso, e della nuova normativa elettorale, per altro verso, si è prodotta una surrettizia modifica costituzionale, cui è seguita la degenerazione della politica, che a sua volta ha concimato ed irrorato l’albero dell’antipolitica, facendolo crescere sino alle percentuali di oggi.

E’ infatti accaduto che, senza il controllo dei partiti (e quindi di un numero non piccolo e non inesperto di addetti ai lavori) e con l’improbabile alea di controlli esterni sempre più virtuali (ad opera di una magistratura spesso disattenta, oberata com’era da infiniti compiti di supplenza), molti politici, formatisi attraverso i media (nazionali e locali), hanno ritenuto di essere assolutamente liberi di darsi ai più discutibili comportamenti e di realizzare i più incredibili trasformismi.

Se il consenso procede in ragione della rappresentazione del personaggio piuttosto che della rappresentanza delle idee, e quindi prescinde da partiti e programmi, ne consegue naturalmente anche l’assoluta indifferenza rispetto all’appartenenza, che può essere estemporaneamente immutata senza che per questo ne derivi alcuna sanzione sociale e politica.

Nell’ultima Legislatura quasi duecento parlamentari sono passati da una parte all’altra, e molti anche più volte, senza che i cittadini elettori potessero esprimere alcuna reazione rispetto ai loro presunti rappresentanti, che in pochi avevano nominato e che nessuno aveva eletto.

Al trasformismo si è poi accompagnata anche una qualche convinzione di impunità, che ha consentito ruberie di ogni genere, nella convinzione che non sarebbe comunque mancata la copertura della propria parte politica, questa non nascendo più da idealità condivise ma piuttosto dalla garanzia di ricevere  una tutela politica, che talvolta è anche degenerata in complicità criminale.

Si è andato nel frattempo perdendo anche quel “senso di vergogna” che un tempo era associato alla scoperta dell’illecito, e che, generando sanzione sociale, finiva per convincere anche i partiti più riottosi a trarne conseguenze politiche, escludendo dalla vita pubblica gli autori di comportamenti discutibili.

Il “mantra” ricorrente è divenuto il risibile teorema secondo cui la sanzione politica deve seguire l’improbabile  sanzione penale, e non invece precederla , come normalmente accade in ogni paese civile.

Beninteso, nessuno rimpiange le degenerazioni della fine della c.d. prima repubblica, con l’uso spregiudicato e generalizzato dell’intermediazione politica foraggiata dalle tangenti private, sino al punto di provocare l’oggettiva alterazione dei meccanismi della concorrenza.

E tuttavia, dobbiamo purtroppo registrare che all’abuso di allora (fondi privati utilizzati per supplire alla scarsità di fondi pubblici) si è ora sostituito l’abuso di sovrabbondanti fondi pubblici (i c.d. finanziamenti della politica) per scopi essenzialmente privati (i suv, le vacanze milionarie, gli yacht, i gioielli, le case, i conti esteri, etc.).

Francamente, non so dire se questo degradante fenomeno sia conseguenza (propter hoc) del combinato disposto tra eccesso di rappresentazione mediatica e bipolarismo elettorale; ne registro solo la successione temporale (post hoc) ,e mi viene il dubbio che qualche correlazione ci sia, se è vero che niente avviene per caso e che, nella vita ed ancor più nella politica, tutto si tiene.

Tratto da Rivoluzione Liberale

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