Squadra anti bufale nei talk show o le bugie diventano senso comune
Scrisse una giornalista americana: «Se un politico dice che diluvia e il suo avversario sostiene che il tempo è bello, il conduttore televisivo deve affacciarsi alla finestra e comunicare al pubblico se piove o c’è il sole». Giusto. Le opinioni sono libere, ma siamo tutti stanchi di assistere a battibecchi dove almeno uno dei contendenti ci propina false informazioni e dove spesso mentono entrambi, borbottando statistiche ridicole, dati imprecisi, storie inventate.
Scrisse una giornalista americana: «Se un politico dice che diluvia e il suo avversario sostiene che il tempo è bello, il conduttore televisivo deve affacciarsi alla finestra e comunicare al pubblico se piove o c’è il sole». Giusto. Le opinioni sono libere, ma siamo tutti stanchi di assistere a battibecchi dove almeno uno dei contendenti ci propina false informazioni e dove spesso mentono entrambi, borbottando statistiche ridicole, dati imprecisi, storie inventate.
Un esempio recente. Nella scorsa puntata della trasmissione In Onda, su La7, si discuteva (anche) della difficoltà di tenere insieme coalizioni di governo, all’interno delle quali ciascun partito desidera affermare la propria identità. Il sarcastico Ignazio La Russa ha strillato che, nella cosiddetta Prima repubblica, i liberali non creavano problemi, perché si accontentavano di esserci, nel governo, «con il loro uno per cento». Tutto falso. Il Pli raggiunse il 6% nel 1963, e scelse l’antagonismo ogni volta che il programma della maggioranza non lo convinceva. I liberali si batterono contro il regionalismo e contro la nazionalizzazione dell’energia elettrica, arrivando (addirittura!) all’ostruzionismo parlamentare. E mai rinunciarono ad esprimere il proprio dissenso. Benché piccolo, anche il Pli aveva le correnti, una delle quali voleva «un’opposizione integrale» contro la Dc. Altro che governo.
Tutto ciò, forse, è trascurabile (chi se ne importa dei vecchi liberali?). Però quante bugie, quante calunnie, scaturiscono dalla Tv e, purtroppo, diventano «senso comune»? Chiaro: non si può pretendere che i conduttori siano onniscienti. Però non sarebbe difficile, suppongo, allestire una squadretta di esperti nei backstage di ogni talk show. Con l’aiuto dei principali motori di ricerca, questi benemeriti potrebbero immediatamente smentire o confermare le affermazioni dei contendenti. E testimoniare, per esempio, che Garibaldi non si chiamava Gino, o che il Partito liberale valeva più dell’1%. Era anche un po’ più presentabile del Movimento sociale, on. La Russa. Ma questa è soltanto un’opinione.
Giuliano Zincone , dal Corriere della Sera – 24 novembre 2011
” Ringrazio molto Giuliano per la puntuale e corretta precisazione. Sarà pure venuto il momento di affrontare un tema di cui ci siamo occupati diverse volte. Il sacrosanto principio liberale della Libertà di stampa, che non può trasformarsi in licenza di disinformare, deve essere correlato al dovere di tutelare la verità, evitando, con un adeguato sistema di controllo e di sanzioni, la diffusione di notizie false e tendenziose. Allo stesso tempo, soprattutto per quanto concerne il micidiale mezzo televisivo, deve essere assicurato nei programmi di cosiddetto approfondimento, un corretto contraddittorio, che non può limitarsi alla presenza delle maggiori forze rappresentate in Parlamento e di alcuni giornalisti e presunti esperti, peraltro sempre gli stessi. Certamente, proprio nel momento in cui le idee liberali potrebbero essere le uniche adatte a superare la grave crisi che stiamo vivendo, la disinformazione organizzata dal nuovo statalismo dilagante dovrebbe essere fermata.
Mi permetto inoltre di fare una rettifica a quanto affermato da Giuliano: il vecchio PLI nel 1963 raggiunse il 7%, non il 6 ed una aggiunta: lo stesso partito, alle ultime elezioni cui partecipò nel 1992, sfiorò il 3%, eleggendo 19 deputati e cinque senatori. Oggi , con il nuovo, possiamo ambire ad un successo ben superiore”.
Stefano de Luca