Scienza e Liberalismo.

Scienza e Liberalismo.

– Clima e politica economica.

Dal titolo, questo può sembrare un articolo accademico, ma come suggerisce il sottotitolo, è invece di bruciante attualità.

Ci sono molte definizioni del liberalismo. Una delle mie preferite è quella di Ludwig von Mises (Liberalismus, 1927): Il liberalismo non è una dottrina compiuta, non è un dogma rigido; è il contrario di tutto ciò: è l’applicazione del metodo scientifico alla vita sociale degli uomini.

In effetti scienza e liberalismo hanno in comune il rifiuto di dogmi, miti, tabù e utopie, il dubbio sistematico, il rifiuto dell’autorità indiscussa (ipse dixit) e anche l’origine: sono nate in Europa, più esattamente la scienza in Grecia e il liberalismo in Gran Bretagna e in Francia.

La scienza, dopo molti secoli di fioritura e altrettanti o più di decadenza e soffocazione, è rinata, ancora in Europa e ha continuato a svilupparsi combattendo e vincendo forze oscurantiste di vario tipo.

Il liberalismo si è affermato in Europa (non tutta!) ed è stato esportato dai coloni britannici in America e in Oceania. Nel secolo scorso ha superato vittoriosamente tre gravi crisi, le due guerre mondiali “calde” e quella fredda.

Attualmente l’una e l’altro sono minacciati da forze -coscientemente o incoscientemente – irrazionali, illiberali e reazionarie, ma ne parleremo magari un’altra volta. Qui voglio solo accennare a una delle minacce in atto, che rischia di aggravare l’involuzione già iniziata, dell’Unione europea.

L’UE, nata, come CECA, poi mercato comune, per sviluppare e tutelare la libertà di commercio e d’impresa e impedire protezionismi e aiuti di stato, si è via via trasformata in uno strumento dirigista, livellatore e pianificatore di pretto stampo socialista. Basti pensare che la Germania nazional-socialista adottò piani quadriennali, l’Unione Sovietica piani quinquennali: ebbene, la Commissione UE, dopo il piano undecennale del 2009 (piano 20-20-20) ha proposto un piano trentennale, cioè con obiettivo al 2050.

Nessuno è in grado di stimare quanto costerà un simile piano e quali saranno i suoi effetti reali, ma è certo che la normativa sarà stringente e complicata e che i prezzi dell’energia aumenteranno, aggravando così la deindustrializzazione dell’Europa già in atto. Questa citazione può dare un’idea delle sue dimensioni:
“Le ambizioni del Green Deal europeo comportano un ingente fabbisogno di investimenti. Secondo le stime della Commissione per conseguire gli obiettivi 2030 in materia di clima ed energia serviranno investimenti supplementari dell’ordine di 260 miliardi di euro l’anno, equivalenti a circa l’1,5 % del PIL 2018. [Le stime sono prudenziali e non contemplano, ad esempio, il fabbisogno di investimenti per l’adattamento climatico o per altre sfide connesse all’ambiente quali la tutela della biodiversità. Escludono anche gli investimenti pubblici necessari per far fronte ai costi sociali della transizione e il costo dell’inattività]”

Si dovrebbe presumere che un piano così complesso e pesante sia basato su fondamenti scientifici validi e indiscutibili: non è così. La Commissione dà semplicemente per scontato e indiscutibile
1) che il cambiamento climatico in atto sia eccezionale, dannoso e comporti gravi rischi
2) che esso sia dovuto in gran parte all’attività umana e soprattutto all’emissione di CO2

Tutto ciò è falso. La comunità scientifica non è concorde sulle cause dei cambiamenti climatici, ma è certo che:

1) nella storia della terra, anche recente, abbiamo avuto più volte periodi con temperatura pari o superiore a quella attuale
2) il moderato aumento in corso della temperatura e del livello di CO2 è benefico per l’umanità e per l’agricoltura
3) con i livelli attuali, anche un raddoppio della concentrazione di CO2 nell’aria avrebe un effetto trascurabile sul clima

Conclusione: il Green Deal europeo è illiberale, enormemente dispendioso e rischioso, scientificamente infondato.

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