Riforma dei partiti innazitutto

Prove tecniche di riforma elettorale tra i partiti della Seconda Repubblica, i quali hanno ottenuto il record di impopolarità presso i cittadini, che, per oltre il cinquanta per cento, dichiarano la loro sfiducia verso la classe politica e pensano di non andare a votare.

Dopo esser riusciti a condizionare la Consulta, dalla quale hanno ottenuto il no al referendum popolare, che li avrebbe spazzati via, oggi, i morenti soggetti politici presenti in Parlamento, grazie ai mezzi economici che derivano loro dal vergognoso finanziamento pubblico e dal monopolio di presenze sulle TV, rilanciano. Stanno infatti cercando di raggiungere un accordo su un sistema elettorale proporzionale che, eliminando il premio di maggioranza, possa garantire, a ciascuno di loro, di essere indispensabile nella prossima legislatura per una larga coalizione. Inoltre, elevando la soglia di sbarramento, verrebbe impedito a nuove formazioni, ancora poco conosciute dall’elettorato, di entrare in Parlamento.

Se, come emerge dai sondaggi, oltre la metà degli elettori dovesse disertare le urne oppure votare scheda bianca o nulla, se ne parlerà per ventiquattro ore. Dopo, governeranno partiti che si saranno divisi molto meno della metà dei voti degli italiani, perché, tutte le liste che non avessero raggiunto la elevatissima soglia del dieci per cento, risulterebbero escluse dalla rappresentanza.

Nei primi cinquant’anni della Repubblica democratica, nata dalla Resistenza, forze politiche, che pure hanno avuto un ruolo importante, come PLI, PRI, PSDI, MSI, non hanno mai ottenuto tale percentuale, che talvolta non è stata raggiunta dallo stesso PSI. Ben si comprende, quindi, come una simile proposta rappresenti soltanto l’ultimo, arrogante tentativo di perpetuare un sistema, bocciato dall’opinione pubblica per gli insuccessi che si è intestato lungo un ventennio, pure con il sostegno unanime dei media, tutti arruolati, compresa ovviamente la RAI.

Con la riforma annunciata, non soltanto il PLI, ancora costretto alla semiclandestinità, sarebbe fuori gioco, ma anche forze come Sinistra Unita, SEL, IDV, API, Futuro e Libertà, La Destra, i Verdi, e persino l’UDC o la Lega, tutti soggetti che, nelle diverse aree, rappresentano sentimenti, idee e valori, presenti nella società italiana. Soltanto una mobilitazione senza precedenti potrà impedire questo ulteriore scempio della democrazia.

Un sistema completamente screditato cerca di sopravvivere al proprio disastro, tentando di sbarrare la porta d’ingresso alla politica nuova, di cui l’Italia ha bisogno.  Senza neppure immaginare di voler resuscitare una Prima Repubblica, forse frettolosamente sepolta, una politica rifondata avrebbe bisogno, per rigenerarsi ed affermarsi, di cercare le proprie radici nelle antiche storie identitarie di pensiero, presenti in tutta Europa, senza le quali tutti i partiti apparirebbero eguali e senz’anima.

La riforma elettorale non può essere un espediente per perpetuare il predominio dei partiti padronali, plebiscitari e di plastica, nati nell’ultimo ventennio, ma deve rappresentare la necessaria ed urgente scelta di riconciliazione con gli elettori, che sono stati espropriati della piena sovranità, prevista dal dettato costituzionale, dalla vergognosa legge Calderoli, che ha trasformato il Parlamento in rifugio per fedeli e famigli. Essa, quindi, non può che risultare come la logica conseguenza di una concezione moderna e diversa del complessivo impianto dei poteri dello Stato.

Per il liberali il punto di Partenza non può che essere quello della urgente attuazione dell’Art. 49 della Costituzione, che prevede la regolamentazione giuridica dei partiti politici e impone che essi, al loro interno, siano organizzati democraticamente; cioè l’esatto contrario dei partiti sorti nell’ultimo ventennio.

L’iscrizione alle diverse forze politiche dovrebbe avvenire, liberamente e pubblicamente, attraverso registri tenuti presso le Sedi dei Comuni di tutto il Paese. Gli organismi interni e la selezione dei candidati (le cosiddette primarie) dovrebbero avvenire chiamando ad esprimersi, con voto organizzato in forma pubblica, tutti gli aderenti a ciascuna forza politica. Selezionati così i candidati, i rappresentanti nelle Camere andrebbero eletti con suffragio universale in collegi, di dimensioni abbastanza ridotte, in modo da assicurare un solido rapporto tra rappresentanti e rappresentati e riservando una modesta quota da assegnare proporzionalmente, senza sbarramenti, a tutti i partiti, per garantire alle diverse voci il sacrosanto diritto di tribuna e prevedere un possibile ricambio della classe dirigente.

Se si volesse veramente imboccare una strada nuova, tale sistema permetterebbe la necessaria governabilità, coniugata con l’altrettanto indispensabile pluralismo. Esso potrebbe fiorire, anche grazie ad un obbligo dei media di assicurare a tutti il diritto ad un minimo di informazione, senza che, per questo, sia necessario un servizio pubblico, che non lo ha garantito finora, dimostrando di essere un organismo lottizzato, al servizio dei partiti dominanti.

Basterebbe un’Autorità, veramente indipendente, di controllo per tutelare l’effettivo pluralismo. Bisognerebbe, invece, privatizzare la RAI, al fine di eliminare, oltre ad un inutile balzello a carico dei contribuenti, l’ulteriore onere che deriva all’Erario da una sconsiderata gestione, mentre, con il ricavato della vendita di tale inutile Ente di Stato, si potrebbe ridurre il debito pubblico.

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