“Pronti per la rivoluzione liberale, necessaria a cambiare il Paese”
*Intervista rilasciata al quotidiano online L’Indro
Lo scorso 29 ottobre una conferenza stampa alla Camera dei Deputati ha annunciato l’avvio del processo federativo tra il Partito Liberale Italiano, Fare per fermare il declino, Liberali Italiani, Partito Federalista Europeo, Progett’Azione e Uniti verso Nord. Si tratta di un progetto che vede coinvolti partiti di lunga e antica tradizione, ma che negli ultimi anni non hanno raggiunto ragguardevoli consensi, insieme a movimenti localizzati soltanto in alcune zone d’Italia, che non avrebbero dunque i numeri e le adesioni necessarie per compiere un cammino politico indipendente, ma che hanno trovato il contesto ideale per accrescere la propria influenza all’interno di un più vasto progetto. Un traguardo di grande valore simbolico per il rilancio del liberismo in Italia ‘raggiunto grazie ad una grande perseveranza ed un impegno tenace’, come si legge nella nota di presentazione.
Primo obiettivo di questa operazione, la costituzione di una lista liberale alle elezioni europee della prossima primavera, collegata all’Alde (Alliance of Liberals and Democrats for Europe). “Vogliamo presentarci alle elezioni europee in collegamento, e riproducendone le idee in Italia, col partito liberale europeo, il terzo gruppo in Parlamento”, sottolinea il segretario nazionale del PLI Stefano de Luca, alla guida del partito dal marzo 2012. E lo stesso de Luca ricorda come l’idea sia nata da un incontro tra il Pli e Fare per fermare il declino, guidato da Michele Boldrin, all’inizio dell’estate. “Abbiamo capito che abbiamo idee in comune e dobbiamo presentare una nuova offerta politica agli italiani, che sia fondata su radici solide”.
E’ evidente che l’obiettivo dell’alleanza dei liberali per l’Europa è principalmente quello di attrarre le forze politiche disperse che hanno scelto ormai da tempo la strada del ‘non voto’ o del voto di protesta. La costituzione del gruppo si pone infatti in aperto contrasto con i gruppi politici che ad oggi occupano i posti del governo. «Questa Italia, di cui siamo innamorati», si legge nella dichiarazione congiunta del 29 ottobre, «va nella direzione sbagliata e corre il rischio di continuare sul sentiero di un inesorabile declino al quale è stata avviata dalle politiche adottate negli ultimi decenni. Bisogna invertire rapidamente la rotta, ma i partiti che sostengono questo governo sono incapaci di farlo».
I gruppi fondatori del movimento vogliono dunque diventare punto di riferimento per le componenti sociali più produttive del paese, e per i cittadini e le realtà che maggiormente patiscono la crisi, e che da tempo ormai si sono definitivamente allontanati dalla politica. Ecco dunque “una nuova aggregazione capace di realizzare finalmente la rivoluzione liberale, necessaria a cambiare il Paese”, afferma Stefano de Luca.
Ma si deve parlare di un movimento o di un partito? “Per ora lo possiamo definire un work in progress, che sta destando curiosità e attenzione da parte dei cittadini”, spiega de Luca. “Noi lo chiamiamo un processo di federazione tra le forze disperse di ispirazione liberale. Poi dovremo fare in modo che questa federazione si stabilizzi e diventi un soggetto politico di ampio respiro, dopo la prova del fuoco che sarà rappresentata dalle elezioni europee, e contribuisca al cambiamento radicale, che metta per sempre da parte il liberismo sterile”.
Si tratta in ogni caso di un’alleanza non facile. I partiti fondatori partono dalla consapevolezza delle divergenze, anche notevoli, che per certi aspetti caratterizzano e hanno caratterizzato il progetto politico di ciascuno di essi fino ad ora. “Abbiamo deciso di cooperare superando le non irrilevanti differenze di visione che ci hanno sino ad ora tenuti divisi”, continua de Luca. “Consideriamo le differenze delle ricchezze, se sono legate a ispirazioni culturali. Noi del Partito Liberale ci muoviamo su una linea liberale più integralista, della tradizione di Croce. All’interno di Fare, invece, c’è un pizzico in più di liberismo all’americana. Sono sfumature, che naturalmente possono avere un loro peso su certe questioni, per esempio la convinzione che sia necessario l’intervento dello stato per favorire la ripresa economica, rispetto magari a chi pensa soltanto a una crescita spontanea. C’è una sola cosa su cui abbiamo avuto un dissenso più netto: noi siamo di tradizione liberale laica, loro (Fare per fermare il declino, ndr) hanno una maggiore apertura verso i cattolici liberali, a patto che non si travestano da democristiani”.
I principali nemici da combattere sono invece “il conservatorismo di Pd e Pdl e la critica distruttiva del M5S”, responsabili del clima di sfiducia che si è creato intorno ai luoghi istituzionali e ai loro rappresentanti. “Contemporaneamente al declino di Berlusconi ci sarà il declino del Pd, ad opera di Renzi, che non vorrà sottostare al gruppo post comunista di Cuperlo”. E de Luca affonda: “La presenza e l’azione di Renzi erano inevitabili per togliere al Pd l’ingessatura che dal ‘94 in poi ha sempre imprigionato la sinistra italiana. Ma toglierla è un conto, scassarla è un altro”.
Il programma di questo nuovo gruppo si articola in dieci punti fondanti. Che costituiscono il ‘manifesto’ con il quale i liberali intendono proporsi al prossimo grande appuntamento elettorale delle elezioni europee: 1. riduzione del debito statale, mediante dismissione del patrimonio pubblico; 2. riduzione della spesa pubblica, mediante riduzione del perimetro dell’intervento pubblico nell’economia, con conseguenti privatizzazioni ed eliminazione di ingiusti sussidi; 3. riforma fiscale, che porti ad una drastica riduzione della pressione complessiva e tuteli i cittadini e le imprese dagli abusi della burocrazia pubblica; 4. riforma dello Stato in senso federale, con attribuzione di autonomia impositiva e finanziaria alle Regioni e agli Enti Locali, e costituzione di un’Europa federale che si ponga come soggetto politico unitario internazionale; 5. riforma del diritto del lavoro, per assicurare l’elasticità in ingresso ed in uscita, garantendo i più deboli mediante l’introduzione di un sussidio di disoccupazione universale; 6. riforma della Pubblica Amministrazione, con drastico taglio delle strutture burocratiche e delle procedure amministrative, e rivedendo anche la giustizia civile e quella penale; 7. riforma del sistema creditizio e tutela del risparmiatore, che sappia liberare da protezioni e influenze estranee al sistema bancario e finanziario; 8. lotta all’illegalità, con particolare attenzione alla criminalità organizzata e alla corruzione; 9. riforma del sistema educativo, per ridare alla scuola e all’università il ruolo di volani dell’emancipazione civile e socio-economica delle nuove generazioni, attraverso cambiamenti sistemici e nuove linee guida del sistema scolastico; 10. riforma del finanziamento della politica, abolendo quello statale e sostituendolo con quello dei cittadini, inquadrato in precise regole di trasparenza e democrazia civili unite a tetti antimonopòli di influenza e attraverso l’adozione di una legislazione adeguata ad eliminare i conflitti di interesse nella vita politica ed amministrativa.
Si affaccia dunque al panorama, peraltro già molto affollato, della politica italiana, una nuova formazione politica aperta e risoluta nel riportare al centro della propria azione una tradizione storica, quella liberale appunto, di prestigio. Una tradizione che tanti auspicavano fosse messa in azione già molti mesi fa, durante il governo Monti. Il Professore, infatti, aveva lasciato ben sperare, agli inizi del suo governo, in un’azione politica mirata a superare vecchi vincoli sistemici in favore di una modernizzazione del paese in senso liberale: dalla riforma delle pensioni alla liberalizzazione in diversi settori economici. La rapida ascesa di Mario Monti, che fu visto da moltissimi cittadini come una sorte di salvatore della Patria in grado di riscattare il Paese dal clima di depressione e corruzione in cui era sprofondato, si è tramutata però in una altrettanto rapida e drammatica discesa, caratterizzata da una tendenza, che i liberali di oggi definiscono ‘conservatrice e distruttiva’, ad una prudenza eccessiva e a una costante ricerca di compromessi che non ha fatto altro che allontanare quanti si erano entusiasmati e illusi. A decretare la fine di questa parabola discendente e antiriformista, la nascita di Scelta Civica e il patto con Pierferdinando Casini, considerato il conservatore per eccellenza di quella forma politica ormai ritualizzata che tanto infastidisce l’elettorato italiano. Un patto rivelatosi chiaramente fallimentare, se si pensa che pochi giorni fa il Professore si è dimesso, prendendo atto di aver probabilmente perso un’occasione irripetibile di tramutare il Paese, e farlo in meglio. “Monti è la dimostrazione che la politica è una cosa complessa”, commenta con ironia de Luca. “Sarà un bravo professore, ma per questo non è un uomo politico, ha collezionato errori e ha fatto una fine triste, pur avendo in mano il biglietto della lotteria vincente”.
Si colloca dunque in questo contesto la rinascita di un movimento liberale. Che alla luce della fallimentare esperienza montiana sta tentando innanzitutto di creare un forte radicamento territoriale coinvolgendo diversi gruppi politici e tutti i cittadini che vogliano contribuire al progetto superando l’idea di partiti personalistici e privi di forti idealità. Ma come si sta organizzando ora il nuovo movimento sul territorio? “Stiamo riproducendo in tutta Italia lo schema nazionale”, spiega De Luca. “I nostri responsabili territoriali lavorano in coordinazione con i responsabili di Fare per fermare il declino: indiscutibilmente loro sono più presenti nel Nord, e noi nel Sud. Sul territorio si muove anche il Partito Federalista Europeo, coinvolto nel progetto perché ha certamente un valore simbolico. Abbiamo poi una sorta di ‘lista di attesa’ di più di dieci movimenti, che stiamo contattando per farli entrare nella federazione. Che comunque avrà come referenti uno dei soggetti fondatori”.
Un progetto che vuole dunque rompere con gli schemi del passato e riportare la politica su un piano di correttezza e trasparenza da tempo accantonato. “I partiti sono partiti quando sono in grado di rappresentare una cultura, una storia, un sistema di valori, una identità. Nel momento in cui si è cercato di cancellare le identità si è arrivati a partiti padronali e liberisti, dove dei leader che si sentono potenti hanno intorno soltanto servitori e camerieri: si è assistito perciò a un abbassamento della classe dirigente, perché le corporazioni che hanno sostenuto i partiti hanno avuto l’interesse a mantenerli in vita per accrescere i proprio privilegi. Questo ha portato all’esplosione della pressione fiscale. Le spese vanno tagliate e non finanziate. La legge di stabilità aumenta la pressione fiscale. In una fase depressiva si devono ridurre. Le spese. Quella è la concezione liberale”.
http://www.lindro.it/politica/2013-11-06/106913-lalleanza-dei-liberali-2