Primo: ridurre la pressione fiscale
Ha ragione Luca Ricolfi quando sostiene che la lotta all’evasione fiscale senza la riduzione delle aliquote è un’impresa impossibile. Si tratta del famoso paradosso di Laffer, secondo il quale l’aumento della pressione fiscale oltre una certa percentuale, produce caduta di gettito, perché innesca meccanismi di autodifesa da parte del contribuente. Il fenomeno della evasione fiscale, a parte alcuni casi di delinquenza pura, sono indotti dall’istinto di difesa del contribuente, quando il peso dell’onere tributario diventa troppo elevato per farvi fronte. Così, per evitare il fallimento della propria impresa o per assicurare i mezzi necessari alla sopravvivenza della propria famiglia, il cittadino ricorre all’evasione, o, nel caso più sofisticato, che riguarda aziende in grado di sfruttare consulenza di elevato livello, all’elusione. Una prolungata fase recessiva, come l’attuale, da luogo ad un fenomeno noto come la erosione fiscale, che dipende dalla contrazione della crescita e dei relativi utili delle imprese.
Paradossalmente quindi la emersione di materia imponibile dall’area dell’evasione, non è possibile con la persecuzione dei contribuenti da parte della Guardia di Finanza, ma come effetto naturale dell’allargamento della base imponibile. Questo è possibile, in fase espansiva, con gli opportuni stimoli all’aumento della produttività, mentre, in una fase recessiva, come l’attuale,si deve far ricorso ai due strumenti classici, previsti dalla Scienza delle Finanze: l’abbassamento delle aliquote ed il contrasto di interessi. L’obiezione di chi sostiene che non sia prevedibile l’entità di gettito che potrebbe emergere con l’attenuazione della morsa tributaria, è certo fondata. Nessuno sarebbe in grado di fare una previsione esatta, perché sono troppi i fattori che influiscono sulla psiche del contribuente, da non poterli prevedere e soprattutto calcolare nella loro entità e diffusione, a priori. Certamente un processo virtuoso di ampliamento della base imponibile si determinerebbe. Esso, accompagnato da un significativo contrasto di interessi tra contribuenti per effetto di una significativa quota di detrazioni delle spese sostenute, certamente in misura superiore all’IVA, avrebbe un effetto permanente sull’aumento delle entrate fiscali e, lentamente, porterebbe anche ad una espansione dell’Economia e ad un aumento dei consumi, con effetti positivi anche sul gettito.
Anche lo spostamento della pressione complessiva dalle dirette alle indirette, potrebbe automaticamente produrre una significativa riduzione della evasione. Tuttavia tale strada non può essere scelta in una fase recessiva, come l’attuale. Infatti l’aumento dell’IVA, deciso dal Governo, ha contratto i consumi, principalmente a danno delle classi meno abbienti. Prima si sarebbe dovuto dare nuovo slancio all’Economia e, solo dopo, si sarebbe potuto pensare ad una simile operazione, ma, in ogni caso, solo dopo, o al massimo contestualmente alla riduzione della imposizione diretta. Non ci si può aspettare una tale sensibilità da un uomo di formazione socialista, come Tremonti, che non crede al dinamismo connaturato al mercato, ma ha in mente una economia dirigista e statalista. Ancor meno si può fare affidamento sulla istituenda cabina di regia a Palazzo Chigi, che sarà, ancora una volta, il luogo dove convergeranno tutti i corporativismi contrapposti, determinando una paralisi, che Berlusconi, privo di ogni forma di cultura finanziaria e fiscale, ma soprattutto afflitto da un ineguagliabile cinismo, non potrà governare.
Lo stesso ragionamento può essere applicato alla necessità di ridurre la burocrazia ed il suo potere negativo, intriso di opportunismo e corruzione. Nessuno convincerà la maggioranza di Governo ad eliminare il labirinto cartaceo e procedurale che costituisce il potere dell’amministrazione dello Stato, in nome di un rinnovato slancio alla produttività. Bisognerebbe decidere il blocco assoluto delle assunzioni nella P. A. per un decennio, trasferire nelle amministrazioni che ne hanno bisogno, l’enorme quantità di personale inutile, che attualmente si limita a vessare i cittadini, che sono costretti a recarsi quotidianamente negli uffici pubblici a chiedere inutili certificati e permessi vari. Le certificazioni necessarie a licenze, concessioni, pareri,appalti e contratti, intanto dovrebbero essere successivi all’avvio dell’attività e comunque, in quanto rinvenibili presso uffici pubblici, a carico dell’amministrazione, che avrebbe così qualcosa da far fare ai propri dipendenti, che oggi se non sono ammalati, girano per le stanze, prendono il caffè, fanno la spesa, o, quelli più attivi, sono specialisti nel dire di no, inventare inesistenti difficoltà, taglieggiare gli utenti del sevizio. Non sarà facile imporre un simile cambiamento culturale ad un Paese ottocentesco, come il nostro, ma è necessario per riprendere il passo della modernizzazione e della crescita che, insieme alla nostra innegabile fantasia e creatività, potrà consentirci di nuovo di competere sui mercati internazionali con la necessaria efficienza.