Potevamo permetterci di andare in trattoria

C’era una volta un tempo in cui chi guadagnava due milioni al mese era un benestante, se poi arrivava a tre, riusciva persino a mettere da parte dei risparmi. Una volta la settimana poteva permettersi di andare in trattoria, dove, con quindici o al massimo ventimila lire, faceva un buon pasto con primo, secondo, frutta ed un bel quarto di vino. I giovani, con una spesa di sei o settemila lire, consumavano una pizza, una birra ed a volte anche un dessert. Tutto questo non avveniva in un’altra era geologica, ma poco più di un decennio fa.

Poi venne la stagione felice dell’Euro. Tutti suonarono le campane. Il negoziatore che aveva ottenuto il vantaggioso tasso di cambio, anche se a costo di una speciale tassa per l’Europa a carico dei contribuenti, per premio, venne eletto Presidente della Repubblica. D’altronde era lo stesso Carlo Azelio Ciampi (tanto nomine) che, da Governatore della Banca d’Italia, durante l’estate del 1992, aveva bruciato oltre cinquantamila miliardi per difendere la lira dalla speculazione internazionale, salvo poi, a settembre, d’intesa col Capo del Governo di allora Giuliano Amato, svalutarla del trenta per cento, così riuscendo ad impoverire di colpo sia l’Italia che gli italiani. Grazie a questa opera meritoria, pochi mesi dopo, fu nominato Presidente del Consiglio, anche se, nel gennaio successivo, venne licenziato in tronco dallo stesso Scalfaro, che lo aveva prescelto, ed accettò lo scioglimento anticipato delle Camere, senza neppure pretendere di verificare la esistenza o meno di una maggioranza in Parlamento. Quel remissivo silenzio fu premiato col Ministero del Tesoro, prima, per trattare l’ingresso nel prestigioso club dell’Eurogruppo, e dopo, come dicevamo, con la Presidenza della Repubblica.

Se oggi siamo costretti a subire l’arroganza del piccolo Presidente francese e della Signora Merkel, in parte, lo dobbiamo agli errori compiuti in quel momento, per non aver negoziato al meglio il tasso di cambio lira – Euro, eventualmente rimanendone fuori, come la Gran Bretagna.

La nostra inflazione sarebbe stata certamente superiore, avremmo pagato di più per finanziare il nostro debito pubblico, ma le nostre esportazioni sarebbero andate meglio, il costo della vita non avrebbe avuto un’impennata così brusca e, forse avremmo potuto continuare a mettere da parte risparmi. Certamente saremmo stati in grado di mantenere il nostro precedente tenore di vita e contrastare il fenomeno inflattivo, se fossimo riusciti a garantire i medesimi modesti incrementi dei redditi familiari degli anni precedenti.

Siamo stati onorati dell’ammissione nell’area dell’ Euro, con la conseguenza che oggi siamo sottoposti ad esami continui, alle ironie ed alle insolenze del capetto francese, mentre la politica economica viene decisa a Bruxelles. Spesso ci troviamo accusati di colpe che non sono nostre e veniamo indicati come il punto debole della intera Europa, dimenticando che altri, come, per esempio la stessa Francia, stanno molto peggio di noi, con le principali banche al collasso.

Infatti, se è vero che il nostro debito pubblico è superiore a quello dei nostri partner europei e che il tasso di crescita é inferiore, tuttavia tutti gli altri indicatori sono a noi favorevoli, come il rapporto debito-PIL, la consistenza del risparmio privato, la dimensione del patrimonio pubblico, la solidità del sistema bancario. Abbiamo dovuto invece subire, ingiustamente, la umiliazione di essere additati come i responsabili dell’instabilità finanziaria del Continente e dell’eventuale crollo della moneta unica, pur essendo uno dei Paesi fondatori, oltre che il terzo come dimensione, popolazione ed ampiezza del PIL.

Una sorta di direttorio a due franco-germanico, che ha dettato le regole comportamentali di finanza pubblica si è di fatto sovrapposto ai, purtroppo deboli, vertici dell’Unione, violando il Trattato di Lisbona, il quale, all’art.3, affida all’Unione la competenza esclusiva in materia di politica monetaria per gli Stati Membri che adottano l’Euro.  Inoltre all’Art. 5 viene sancito che gli organismi dell’UE possono applicare a questi ultimi disposizioni specifiche per il coordinamento delle relative politiche economiche. Non sarebbe quindi necessario il programmato nuovo accordo di bilancio, che i Capi di Stato e di Governo dovrebbero firmare entro marzo. In realtà tale decisione tende a sottrarre al livello comunitario tale potestà, riconducendola nell’ambito intergovernativo, dove Merkel e Sarcozy pensano di poter prevalere.

In realtà la Francia ha cercato di distogliere l’attenzione verso l’Italia, terrorizzata dal baratro dinnanzi al quale si trovano le proprie banche, che hanno subito un recente declassamento di rating da parte di Fitch. la Germania, a propria volta, commettendo un grave errore di miopia, non ha avuto il coraggio di accettare la proposta di affidare alla BCE, attraverso gli Eurobond, il compito di sostenere i debiti sovrani, attanagliata dall’incubo rappresentato dal fantasma di Weimar.

L’Europa, pur non avendo saputo predisporre un piano unitario e coerente,  ha spinto il nostro Paese ad aumentare ulteriormente la pressione fiscale, mentre avrebbe dovuto sollecitare provvedimenti significativi per la crescita. Prima, il Governo Berlusconi timidamente, dopo, quello Monti con mano molto più pesante, hanno realizzato, per corrispondere a tali pressioni, ben tre manovre, tutte sostanzialmente orientate sull’aumento della imposizione tributaria, che raggiungerà il 45,70% nel 2012 ed il 45,54% nel 2013, ignorando l’ulteriore, sicuro effetto recessivo della manovra.  la pressione effettiva, quindi, senza tenere conto del sommerso, ha superato il 51,5% e si avvia verso il 2013 a raggiungere la percentuale del 54%, record assoluto mondiale. E’ ovvio che tutto ciò, come ha riconosciuto il Ministro Passera, ha portato l’Italia  in una fase recessiva, che non potrà produrre altro che ulteriori chiusure di aziende, nuova e più diffusa disoccupazione, minori consumi, propensione alla delocalizzazione degli investimenti e crollo del risparmio delle famiglie. Queste ultime si vedranno costrette a vendere parte del patrimonio, cominciando dalla casa, onerata da un carico fiscale esagerato, o, quanto meno,  dovranno fare i conti con una notevole svalutazione di quanto possedevano.

Ormai sarebbe deleterio uscire dall’Euro, perché comporterebbe enormi costi ed un contraccolpo finanziario tremendo nei mercati, che travolgerebbe i Paesi di tutta l’area.

I liberali pertanto, come chiedono da tempo, si aspettano che il prossimo passo dell’Esecutivo sia quello di affrontare il nodo della spesa pubblica, parassitaria, improduttiva e fonte di corruzione, per liberare risorse per lo sviluppo, la crescita e l’occupazione. Cedere ingenti quote di patrimonio dello Stato, sia immobiliare che di partecipazioni, significherebbe poter ridurre il debito e l’enorme costo degli interessi.

Il Governo del Presidente non deve aver paura di aver coraggio e smantellare incrostazioni e parassitismo. Se non vuole uscire stritolato, dovrà affidare ai privati una serie di servizi che la macchina amministrativa pubblica esegue male ed a costi elevatissimi ed imboccare decisamente la strada delle privatizzazioni e liberalizzazioni. Non basta limitarsi alle deboli categorie dei farmacisti e dei tassisti, che pure sono riuscite ad interdire il primo tentativo di colpirle, ma bisogna mirare molto più in alto, per sradicare privilegi e signorie ben più importanti di gruppi parassitari che vivono a spalle del settore pubblico.

Inoltre l’Esecutivo dovrà varare un grande programma di lavori pubblici, grazie alle risorse finanziarie recuperate dalla eliminazione degli sprechi e delle spese clientelari, per dare un impulso non indifferente alla produttività ed alla modernizzazione ed innescare nuove iniziative private per far ripartire la crescita, i consumi e l’occupazione.

L’atteso provvedimento del prossimo mese di gennaio dovrà creare le condizioni per determinare più mercato, più concorrenza, più libertà, ma principalmente più lavoro e meno favori, ponendo fine alle dilapidazioni delle pubbliche finanze.

Senza ulteriori tentennamenti, bisogna dire basta ai regali dalla legge sull’Editoria a Giornali semiclandestini, che non legge nessuno o che hanno così poca diffusione da non riuscire  a far quadrare i propri bilanci. Superando la contorta formula dettata da una proditoria maggioranza parlamentare, deve essere chiaramente eliminata la scandalosa esenzione dall’IMU in favore dell’immenso patrimonio della Chiesa non destinato ad attività inerenti al culto.

Invece va subito stabilito un termine massimo per i pagamenti della P.A. e delle aziende a prevalente capitale pubblico, autorizzando, per legge, i creditori a detrarre automaticamente, in occasione delle scadenze fiscali, gli importi non ancora pagati o consentendo di renderli immediatamente bancabili, con interessi a carico dello Stato.

Con l’eliminazione degli sperperi e non con tagli lineari, la spesa pubblica potrà agevolmente venire ridotta di un dieci per cento all’anno per i prossimi tre anni, al fine di farla rientrare nell’ambito fisiologico, forse conseguendo persino l’obiettivo di migliorare la qualità di servizi, grazie alla concorrenza.

Tratto da Rivoluzione Liberale

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