Non parole, ma vere riforme

Nel linguaggio politico degradato della Seconda Repubblica, alcune parole d’ordine ripetute all’infinito hanno assunto una sorta di sacralità che, di fatto, preclude ogni possibilità di contraddire il concetto che esse sottendono ma persino di chiedere che il loro significato sostanziale venga approfondito. Una di queste espressioni intoccabili, per molti anni, è stata “federalismo”. Non si poteva non essere federalisti, se si volevano evitare accuse pesantissime, che andavano dal minimo di venire considerati conservatori e nostalgici del “vecchio centralismo”, fino ad essere direttamente definiti fascisti.

Doveva passare un intero ventennio ed essere avviata una legislazione di stampo federalista, per cominciare a capire che, forse, si trattava di una scelta avventata.

Oggi, altre parole hanno assunto lo stesso ruolo, come di verità indiscutibili. Tra esse, per esempio “la casta”, con riferimento ai membri del Parlamento e agli appartenenti al ceto politico in genere. Una così violenta ondata di massificazione qualunquistica finisce col delegittimare la parte di critica che quel mondo merita e col mescolare la cattiva politica con quella buona che pure esiste per fortuna.

Un simile modo di affrontare problematiche delicatissime, impone la massima prudenza quando si parla di riforme istituzionali.

Piace molto, per esempio, contrapporre il bicameralismo esistente, definito arcaico e responsabile principale del cattivo funzionamento degli organismi legislativi, al monocameralismo, ritenuto più efficiente. Oso affermare, sapendo di correre il rischio di essere qualificato come un pericoloso reazionario, che non è esattamente così. Indiscutibilmente la doppia approvazione dello stesso testo legislativo da entrambi i rami del Parlamento, comporta un rallentamento dell’attività legislativa. Ma, mi chiedo, il nostro Paese, sommerso da una straripante produzione di leggi, ha prevalentemente bisogno di una accelerazione dell’iter di approvazione delle norme o, piuttosto, di un miglioramento del modo di legiferare? Coloro che con tanta sicurezza ritengono migliore il sistema monocamerale, sanno quanti errori, anche gravi,  corregge il nostro bicameralismo perfetto?

Fatte queste considerazioni di ordine generale, condivido l’utilità, forse anche la necessità, di una riforma, che assegni ad una Camera determinate competenze specifiche ed, alla seconda, delle altre, differenti, ma mantenendo il diritto, di ciascuna, di richiedere, con un numero minimo di sottoscrittori, una seconda lettura di quanto approvato dall’altra, anche al di fuori di quanto ad essa riservato. Inoltre le leggi più importanti, come le norme costituzionali,  i codici, il bilancio dello Stato o le leggi che incidono sulla libertà dei cittadini ed, ovviamente, la fiducia al Governo, dovrebbero rimanere competenza di entrambi i rami del Parlamento.

La nostra Costituzione ha bisogno di essere riformata – ma non comunque ed a qualunque costo – soltanto in meglio, per renderla più conforme alle diverse esigenze di una moderna società di massa. Nel 2005 la destra, allora in maggioranza, aveva approvato una riforma estemporanea e contraddittoria, che le saggezza popolare, poi, ha bocciato col voto referendario. Oggi sarebbe opportuno inaugurare una nuova stagione di riforme, ma soltanto se, pur all’interno di  un Parlamento di nominati, si dovesse registrare un sussulto di responsabilità, come in effetti è già avvenuto con la decisione di sostenere il Governo Monti.

Dopo i grandi sacrifici richiesti ai cittadini con una manovra di una pesantezza senza precedenti, il Parlamento dovrebbe essere in grado di dimostrare di saper riformare la politica, tagliando sprechi e privilegi, cominciando dall’esorbitante finanziamento pubblico dei partiti. Un simile atto di maturità, lo legittimerebbe ad avviare una seria stagione di ammodernamento dell’impianto costituzionale, che non potrebbe non estendersi alla modifica della legge elettorale, in coerenza con le richieste formulate dal popolo sovrano, attraverso una iniziativa referendaria largamente partecipata.

Tratto da Rivoluzione Liberale

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