LIBERALISMO E WELFARE di Mauro Chilante
per un Manifesto Liberale sulle Libertà dell’Uomo ed i danni sociali la Globalizzazione e della Crisi dei Mercati
Esiste nell’interpretazione del termine “welfare” una forma estensiva e distorsiva che fa sì che tutto ciò che, posto in essere dallo Stato, tenda a promuove un miglioramento nella vita del cittadino possa essere considerato welfare, cioè sostanzialmente rivolto al benessere, appunto. In questo modo persino la costruzione del ponte sullo stretto di Messina finisce con l’essere inclusa nel welfare.
Se si guarda correttamente all’intero sistema dei diritti sociali ed alla loro attuazione nel quadro internazionale, non può non ricordarsi che i tre elementi di base che lo compongono (Previdenza, Sanità ed assistenza) sono oggettivamente squilibrati tra loro in favore dei primi due. Vi è poi un aspetto che colpisce profondamente e va riportato: in ogni documento che esamina le questioni sociali è lo scopo economico che prevale, non lo scopo sociale. Se si pensa alla salute, per esempio, ovunque nel mondo essa è sommessamente ritenuta fondamentale perché strumentale alla produttività dell’individuo in favore della collettività e dello Stato. Le pensioni servono a garantire che il pensionato continui ad essere un fruitore stabile del mercato. L’assistenza (da nessuna parte così come in Italia) considerata residuale e vista ancora come una beneficenza, fastidiosa anche da pronunciare, confusa con le tradizioni e gli usi (Commissione Europea, Com. 2006-177). Ci troviamo perciò a discutere di materie oggettivamente “diseguali” già concettualmente.
Il welfare correttamente inteso, o “proprio”, è perciò costituito dall’insieme dei servizi pubblici che, garantiti al cittadino dallo Stato, costituiscono la realizzazione di un’insieme di diritti soggettivi sociali, che consentono a chiunque maggiori capacità d’accesso (Dahrendorf) o chance di vita (Sen). Quelli prioritari sono certamente la Previdenza, la Sanità, la Scuola. Essi danno vita a veri e propri diritti soggettivi immediatamente esigibili, in forza sia del dettato costituzionale che delle successive leggi ordinarie di attuazione. Consentono, insomma, che libertà inalienabili o primarie possano essere esercitate con dignità ed autonomia perché di esse sono premessa fondamentale: il diritto alla vita e alla salute, alla libertà di parola e di stampa, al lavoro, all’istruzione, ecc.
Così non è per l’Assistenza Sociale che, da un lato appare, già in Costituzione, essere stata ridotta, invece, ad esercizio dell’autonomia privata dell’Amministrazione (Chilante) in quanto direttamente condizionata all’esistenza di fondi o alla semplice volontà del politico locale di turno, dall’altro (al contrario delle altre due) non è mai stata riconosciuta come servizio pubblico in alcuna norma.
Quando i liberali inventarono il welfare lo fecero perché si resero conto dei non pochi limiti di un mercato senza regole; capirono che era interesse dell’individuo migliorare le proprie condizioni e poter essere più LIBERO in ogni senso, ma anche che era interesse primario dello Stato che i cittadini conducessero una vita migliore e così rispettassero più facilmente le regole di convivenza diventando, anche, migliori e più stabili contribuenti.
Questo lo fecero i liberali, non i liberisti o i capitalisti.
Oggi ci troviamo, invece, in una realtà nazionale ed internazionale dominata dalla speculazione finanziaria ed illiberale, fine a se stessa ed al profitto di pochi, sganciata da ogni collegamento con l’economia e la società reali che, invece, sono le sole, se perseguite e curate, a poter portare nuovamente ad un aumento del PIL, operando assieme per un miglioramento delle condizioni individuali e per allontanare dal cittadino l’ansia per la propria sicurezza.
Dunque la condizione attuale è la seguente:
– il cittadino si trova accerchiato da una crisi ampiamente preannunciata nei minimi particolari da oltre dieci anni (Beck, Bauman, Ewald e Kessler);
– ha oggi più che mai bisogno dell’aiuto e della garanzia dello Stato per poter continuare ad esercitare i diritti di libertà;
– lo Stato sta invece diminuendo acriticamente il proprio intervento nei settori del welfare e principalmente in quello dell’assistenza sociale, proprio riducendo concretamente le possibilità di accesso delle persone ed abbandonando la prevenzione dei fenomeni sociali;
– se il cittadino non può esercitare i propri diritti di accesso, aumentano le sue paure e di conseguenza il bisogno di sicurezza;
– le politiche dello Stato (non solo italiano) sono perciò diventate politiche di repressione;
– di repressione in repressione, aumentando il disagio sociale e non intervenendo lo Stato con mezzi idonei per “curare l’ammalato” magari prima che si ammali, si prepara la strada per una nuova stagione di “governi forti” (e, perciò sempre più illiberali) e di diritti sempre più deboli e condizionati o subordinati (Libro Verde e Libro Bianco del Ministro Sacconi);
– il brocardo: “La legge è uguale per tutti” si dimostra insufficiente per garantire giustizia sociale perché essendo diverse le condizioni di partenza del cittadino, a chi parte svantaggiato la legge dovrebbe garantire disuguali (perché maggiori) condizioni di attenzione.
Attualmente la spesa che lo Stato sostiene per l’assistenza (cenerentola, come al solito) è circa dell’8,1%, rispetto alla previdenza (66,7%) ed alla sanità (24%).
Per quanto concerne l’assistenza, vi sono centinaia di migliaia di famiglie (perciò milioni di persone) che vivono quotidianamente il problema di un handicappato o di un anziano assistito in casa e di famiglie che hanno figli minori da crescere senza sostegni e facilitazioni, con costi altissimi per affittare o comperare un’abitazione. Milioni di persone, cioè, vedono dipendere la qualità della loro vita da interventi che già sono rari e confusi ma che lo Stato tende ancor più a minimizzare o dismettere. Vi è una miriade di enti che dovrebbe erogarla che non hanno, però, alcuna regola certa da applicare e nessuna sanzione. Possono quindi decidere come vogliono. C’è oggettiva dispersione di risorse con rischi di duplicazione degli interventi o di fondi allocati in maniera errata all’ente sbagliato. Le competenze sono confuse e sovrapposte. Non viene più applicato il principio di prevenzione essendo state non più finanziate tutte le leggi, ancora in vigore, che questa privilegiavano, compresi piani seri per la politica abitativa e calmieratrice. …
Per quanto concerne la previdenza, è collegata ad un mondo del lavoro e delle professioni (il cui assetto è assolutamente da riformare eliminando privilegi di casta e di corporazione alcuni dei quali hanno risalenza centenaria) troppo variegato e difforme che prevede altrettante forme previdenziali o quasi. Ci si aggira in un mondo che ha due realtà (centro-nord e centro-sud) completamente differenti che operano in un sistema di per se pieno di privilegi e di sperequazioni che ledono direttamente quel principio di uguaglianza che gli artt. 2 e 3 della Costituzione hanno chiaramente posto. Non c’è corrispondenza reale, soprattutto nei casi della dirigenza e dei manager, tra effettivo merito ed attività svolti con compensi di fine rapporto e pensioni. C’è sperequazione di genere tra uomo e donna. Non c’è rapporto corretto tra la pensione di un dirigente e quella di un quadro. È consentito il cumulo senza limiti di pensione, mentre le pensioni minime sono al di sotto della soglia di sopravvivenza. Si conservano tipologie giuridiche di lavoro e meccanismi di trattamento che risalgono ai primi dell’800 e che non hanno più motivo di esistere se non riformati ed adeguati ai tempi. La categoria degli ammortizzatori sociali è schizofrenica, senza obiettivi reali di recupero dei soggetti alla vita lavorativa ed applicata in modo non univoco ed universalista. Non viene neppure tentata una razionalizzazione dei criteri e, quindi, della spesa, nonostante Commissioni, quali quella D’Onofrio, abbiano tracciato linee interessanti di riforma, anche se non tutte pienamente condivisibili. C’è una sostanziale questione che riguarda il valore ed il concetto del contratto collettivo che dovrebbe stabilire quale è il limite minimo della retribuzione e quello di contratto di lavoro individuale che dovrebbe prevedere, almeno dai quadri in su, come obbligatoria e/o possibile la libera contrattazione individuale per individuare il vero ammontare annuo della retribuzione. Se vogliamo valorizzare il merito e l’esperienza questo è l’unico vero sistema. …
Per quanto concerne la Sanità, la politica è ancora in grado di condizionare scelta dei primari, gare di appalto, ecc.. Esiste una dispersione notevole di risorse dovuta all’esistenza di troppe strutture, non sempre, oltretutto, ben attrezzate, sul territorio. Esiste anche qui una profonda differenza tra metodi e sistemi applicati nel centro-nord e nel centro-sud. Non esiste concorrenza vera tra le strutture pubbliche e tra queste e quelle private. Il medico di base ha visto diminuire la propria dignità e competenza professionali in favore del medico specialista divenendo un semplice passacarte rispetto al suo paziente. La categoria dei medici ha accumulato una lunga ed ingiustificata serie di privilegi rispetto alle altre categorie professionali che operano nel pubblico. Il sistema dei ticket, invece di essere proporzionale al reddito, è universalista ed indiscriminato. …
Appare evidente che fino a che solo l’economia e la tenuta dei conti domineranno il panorama delle discussioni e fino a che i termini di questa questione non verranno realmente invertiti, fino a quando, cioè, non si discuterà prima del singolo cittadino e dei suoi interessi e del suo stato per poi e soltanto poi, adattare il comportamento dello Stato nei suoi confronti, le cose non cambieranno affatto. Non più, perciò, ragionamenti solo di tipo statistico ma prioritariamente scelte radicalmente liberali che posto al centro l’uomo non consentiranno di lasciare indubitabilmente indietro tutti coloro che, per qualsiasi motivo fisico, politico, sociale od altro, non hanno i mezzi per potersi sostenere da soli.
Insomma l’equazione per la quale lo Stato si interessa dei bisogni del cittadino soltanto quando ha i soldi per farlo invece di ogni qualvolta che questi ne abbia bisogno è una falsa e pericolosissima equazione. Un’equazione che danneggia fondamentalmente proprio il sistema economico che dice di voler salvare. E lo da danneggia perché ne indebolisce il motore assoluto, la base principale: la domanda. Oltre tutto è anche ipocrita. La nostra società consumistica e globale ha forzatamente invertito l’ordine economico. In un mercato sano la domanda di beni precede o, tutt’al più, accompagna l’offerta. Non la segue di certo. Ebbene, attraverso i media ed i messaggi di ogni genere, siamo arrivati ad osservare una quantità sempre crescente di bisogni indotti verso beni affatto utili se non al capitalista di turno, con un’inversione dell’ordine: prima l’offerta e poi la domanda (indotta).
Questa equazione pone implicitamente in crisi anche il concetto stesso di Stato di diritto quando afferma come possibile ed anzi come impossibile da evitare, il disconoscimento dei diritti (di ogni diritto) del cittadino e la loro tutela (Libro Bianco e Libro Verde del Ministro Sacconi).
Tutto quanto accennato sopra ci porta a riflettere su alcune parole chiave che, se applicate con rigore scientifico e logico e con equità costituiscono quella che potrebbe essere la risposta liberale e la proposta per un nuovo welfare liberale:
Cominciamo proprio da:
– il cittadino ed i suoi bisogni al centro, non le sole statistiche economiche;
– rigore scientifico;
– rigore logico;
– rigore applicativo (con sanzioni reali ed automatiche per chi non da risposta corretta alle responsabilità);
– equità;
– razionalizzazione (e non rimescolamento o riforme aggiuntive) dei sistemi sociale e sanitario;
– razionalizzazione (e non riduzione) della spesa;
– prevenzione e previsione (e non solo repressione dei fenomeni o sola cura delle emergenze);
– eliminazione dei privilegi e delle caste corporative;
– eliminazione del controllo politico;
– norme disuguali per rendere più uguali;
– riconoscimento dell’assistenza come servizio pubblico.
Queste sono le questioni che il PLI riconosce come prioritarie. Esse individuano l’interesse primario dell’uomo ad essere libero in una società equilibrata ed attenta ai suoi stessi bisogni. Non più solo sbilanciata verso un mercato senza regole e che arriva a negare i suoi propri fondamenti e, cioè, il benessere ed il progresso sociale, che sono e devono restare interesse fondamentale dello Stato.