Liberali e Cattolici necessità di un incontro, di Stefano de Luca

L’antica disputa all’interno del mondo cattolico tra cristiano sociali di derivazione dossettiana e cattolici liberali di derivazione sturziana sembra essersi risolta a favore di questa seconda componente, dopo il fallimento del tentativo di confluenza nel PD della sinistra democristiana, che di fatto è stata fagocitata dalla componente prevalente di provenienza PCI-PDS-DS. Tuttavia nell’area cattolica di tendenza liberale permane un residuo di integralismo, che perpetua l’ antica diffidenza verso il mondo liberale laico, ritenuto anticlericale. Parte di tale mondo, infatti, definisce laicista la componente liberale storica di derivazione risorgimentale.

Fino a quando non sarà superata questa diffidenza, non sarà possibile l’auspicato pluralismo identitario, rispetto all’attuale bipolarismo senza idee. Soltanto l’incontro definitivo e senza pregiudizi di tutto il mondo liberale, senza distinzioni tra credenti e non credenti, potrà avviare la necessaria liberalizzazione della società italiana. Altrimenti il mondo cattolico non si identificherà mai completamente nell’economia di mercato e nella scelta per la società aperta, ma verrà attratto sempre da tentazioni solidaristiche , che ne attenueranno il profilo liberale. La modernizzazione dell’Italia non può eludere il confronto sui temi più spinosi, che hanno diviso il mondo cattolico da quello liberale sin dall’unità nazionale, come quello della economia sociale di mercato o di un welfare non assistenzialistico, come la valorizzazione del merito e la riduzione della spesa pubblica, attraverso una nuova etica della spesa e dei doveri civici.

Senza una rigorosa ridefinizione di queste tematiche, i cattolici di orientamento liberale resteranno sempre democristiani e quindi portati al compromesso. Dopo quasi un ventennio di ripudio dei valori in nome di un pragmatismo senza idee, è necessaria invece una fase di intransigente rigore sui principi e sulle scelte di civiltà.

In democrazia contano i numeri ed i liberali di tradizione laica ne hanno pochi, perché sono stati in Italia sempre minoritari e peraltro negli ultimi decenni anche divisi, spesso per colpa del loro stesso egoismo. Tuttavia il loro apporto è indispensabile per garantire un profilo rigorosamente liberale, come appare evidente che, senza l’incontro con il mondo cristiano di ispirazione liberaldemocratica, non si potrà affermare un soggetto liberale di adeguate dimensioni e quindi in grado di incidere significativamente. Pierferdinando Casini, condizionato da settori conservatori antiliberali delle gerarchie ecclesiastiche, elude questo problema e mi pare che, a causa dalla stessa preoccupazione, anche Francesco Rutelli, che sembrava aver colto la necessità di un respiro più articolato, successivamente, ha concentrato la propria attenzione verso altri settori, rinunciando a dare alla sua formazione un chiaro profilo liberale. Bisogna comprendere che con il declino inevitabile del berlusconismo i partiti personalistici dovranno cedere il passo a quelli identitari. Il PD di Bersani sembra averlo capito e sta riflettendo sulle nuove frontiere del socialismo democratico moderno, iniziando, forse per la prima volta, a rivisitare criticamente il proprio passato comunista. Senza una formazione politica liberale importante in campo con la quale confrontarsi criticamente, anche tale positivo processo sarà reso più difficile e prevarrà la logica compromissoria clientelare e di potere, agevolata da un malinteso federalismo, attorno al quale le cattive piante del malcostume politico potranno proliferare. Il PLI deve fare la sua parte ed alzare la propria pur flebile voce per riportare il confronto politico, dal terreno meschino della conquista del potere con messaggi esclusivamente populisti e propagandistici, al più nobile piano della competizione ideale.

Le riforme necessarie, anche di carattere costituzionale, non possono prescindere dalla necessità di tener conto del quadro valoriale in cui si muovono, indipendentemente dal criterio meramente utilitaristico seguito negli ultimi anni. E’ questa la ragione per la quale il PLI, pur ritenendo in astratto inadeguati alcuni principi affermati nella prima parte della nostra Carta Fondamentale, non considera opportuno che si proceda a riformarla, con il rischio di annullare lo sforzo di saggezza, riuscito ai costituenti. Se infatti è vero che il Paese, anche sotto il profilo degli strumenti costituzionali e del conseguente equilibrio e bilanciamento dei poteri, ha bisogno di modernizzarsi, bisogna evitare il rischio di guasti maggiori, come si è già verificato in occasione di riforme improvvisate, che il corpo elettorale ha dovuto cancellare o subire, come per la legge elettorale, che gli ha espropriato parte della sovranità .

Questa posizione rivela tutto l’equilibrio e la modernità di un PLI, accusato di essere nostalgico del passato e che, invece pensa con responsabilità ad un futuro che possa avvicinare l’Italia alle grandi democrazie occidentali, arrestando l’attuale deriva plebiscitaria di stampo sudamericano od orientale.

Stefano de Luca


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