
Lettera del Presidente de Luca al Direttore del Corriere della Sera
Caro Direttore,
ho letto con interesse sul suo giornale l’intervento dell’On. Carlo Calenda, che sottolineava la necessità che in Italia sorga un soggetto politico liberale di grande respiro, di cui sentono il diffuso bisogno ampi ceti del mondo produttivo, della borghesia più operosa, delle professioni liberali, dei settori culturalmente più elevati, particolarmente di molti giovani. Tali gruppi sociali stentano a riconoscersi nei soggetti politici oggi esistenti, per la maggior parte populisti, autoritari, spesso padronali e comunque di orientamento statalista e poco attenti al bene supremo della libertà, che sovente vediamo in pericolo, nonostante il presidio della Carta Costituzionale. Come rifondatore nel1997, dopo l’errato scioglimento del ‘94, ed oggi Presidente del Partito Liberale Italiano, analogamente a quanto aveva fatto nel 1943 a Bari, Benedetto Croce ricostituendolo, dopo lo scioglimento deliberato dal regime fascista nel1925, mi sembra doveroso raccogliere la provocazione e chiedere a Lei di ospitare questo mio breve intervento.
La lodevole e coraggiosa iniziativa dell’On. Calenda, a mio modesto avviso, ha il limite obiettivo di guardare all’orizzonte limitato dei confini del Partito Democratico, che, obiettivamente, poco può esprimere di liberale, venendo da una lunga, composita e spesso confusa storia, certamente non affine al pensiero liberale. Probabilmente anche all’interno di quel mondo potrà essere rinvenuta qualche componente che si richiami a tale orientamento, ma certo molto minoritaria rispetto alla lunga tradizione statalista, fideista, e giustizialista di quel partito, spesso refrattario alle spinte libertarie, che sorgono spontanee dalla società e principalmente dal mondo giovanile e da quello della cultura, in passato arruolata quasi militarmente in quell’area politica, ma che se ne è distaccata per mancanza della necessaria libertà di pensiero.
Il piccolo Partito liberale, di cui sono stato a lungo il Segretario, ha avuto una vita difficilissima, sia per mancanza di mezzi e sostegni mediatici, ma forse principalmente per la prevalenza sempre più accentuata di tendenze populiste, autoritarie, sovraniste, che hanno determinato la fortuna di soggetti politici padronali, oligarchici, sostanzialmente illiberali, che in varie forme, sono stati e sono una sorta di proprietà privata dei loro capi e padroni. La domanda ricorrente non è “come la pensi politicamente”, ma con chi stai, che ovviamente è l’esatto contrario della vocazione di ogni liberale, che più agevolmente potrebbe assumere atteggiamenti anarchici, piuttosto che accettare il vassallaggio dell’appartenenza al partito di un Capo.
Il PLI per quasi un ventennio ha evitato alleanze, presentandosi talvolta alle elezioni in posizione autonoma e con risultati molto modesti,come era logico in una fase in cui prevaleva la tendenza al maggioritario e la scelta prevalente si orientava verso formazioni o coalizioni che apparivano in grado di raggiungere il risultato vincente. Quando l’Italia è tornata al proporzionale, il PLI si è schierato con la coalizione di Centro destra ed ha eletto due parlamentari, i quali tuttavia hanno ritenuto, in considerazione della precarietà della vigente legislatura, di aderire ai Gruppi parlamentari della Lega, obbedendo alle ferree direttive di quel partito, che certamente non ha dimostrato una grande vocazione liberale. Così il PLI , costretto a prendere atto che non aveva più una rappresentanza in Parlamento, in questi giorni ha deciso di convocare per l’autunno il proprio trentunesimo Congresso Nazionale, confidando che tale appuntamento possa essere la migliore occasione per attrarre i moltissimi italiani, oggi palesemente alla ricerca di un soggetto politico autenticamente radicato nella lunga tradizione culturale del liberalismo ed offrire una casa o comunque un rifugio politico ai troppi che, profondamente delusi, disertano le urne o che appaiono disorientati di fronte al dilagare dell’ignoranza supponente di movimenti nati ieri, che stanno rivelando tutta la propria incapacità ad affrontare le gravi responsabilità del Governo. Si avverte un clima nuovo nel quale si sono determinate le condizioni che permetterebbero ad un partito realmente di ispirazione liberale di divenire il maggiore soggetto politico italiano. Ben venga quindi l’appello di Calenda, la cui formazione culturale e professionale non può che essere di stampo liberale, ma il perimetro non può essere quello da lui indicato. Deve essere molto più ampio, principalmente guardando al mondo dell’astensione, ma anche a molti elettori di Forza Italia, ai tanti giovani, con titolo di studio elevato, che non vogliono rassegnarsi al destino dell’emigrazione, ai rappresentanti di un apparato produttivo ancora vitale, al mondo delle professioni liberali, dell’arte, della cultura, dell’innovazione, che non accettano il miserabile orizzonte offerto da forze politiche improvvisate, guidate da re di strada, tanto autoritari, quanto incapaci per mancanza del necessario retroterra culturale, quindi di una visione per il futuro, capace di suscitare entusiasmo e rendere credibile lo sforzo di un Paese che voglia scommettere su un riscatto all’altezza della sua storia, delle sue tradizioni e principalmente delle sue migliori energie attuali. Grazie Direttore di aver scelto per la proposta di Calenda un titolo che pone la necessità di una grande forza liberale. Noi ci siamo, non abbiamo, e non potremmo mai averla, la presunzione di essere i federatori della molto più vasta area liberale esistente, ma bisogna allargare il respiro e mettersi, con modestia ed immenso ottimismo della volontà, a costruire una grande casa dei liberali, che si collochi al centro nella geografia politica del Paese, ponendosi l’ambizioso, ma non impossibile obiettivo di salvarlo.
Stefano de Luca