L’enigma Monti

Mentre si avvia all’epilogo una legislatura disastrosa, che ha prodotto il  disfacimento generale e la sfiducia dei cittadini verso la classe politica, è necessaria una impietosa riflessione sulle cause reali del disastro, per altro annunciato, che ha colpito tutti, portando a reagire anche coloro che fino a ieri beneficiavano dei privilegi di un sistema marcio.

Il primo luogo comune da chiarire è che il Governo Monti non rappresenta uno strappo costituzionale, né una sorta di commissariamento della democrazia. La nostra Costituzione, che si può condividere o non, prevede il potere di nominare il Presidente del Consiglio, quale prerogativa esclusiva del Capo dello Stato. Tale forte discrezionalità è bilanciata dalla necessità che l’Esecutivo riceva il voto di fiducia di entrambe le Camere. In passato, per far decantare attriti tra le coalizioni o affrontare momenti particolarmente critici, si sono avuti altri Governi con le medesime caratteristiche, dal Governo Pella a quello Zoli, agli Esecutivi, che furono chiamati balneari presieduti da Fanfani, allo stesso Governo Amato 1°, che fece una manovra da centomila miliardi, ma soprattutto a quello Ciampi, che, oltre alla tassa sull’Europa, pose le condizioni per accettare, quando dopo era divenuto Ministro del Tesoro, un cambio Lira-Euro assolutamente sfavorevole.

La scelta di Mario Monti, quindi, non solo è perfettamente in linea con la Costituzione, ma è stata supportata dalla fiducia del Parlamento. Il primo provvedimento chiamato “salva Italia”, fu redatto sotto dettatura dell’UE e della BCE, che già, con la precedente lettera estiva, avevano posto al Governo Berlusconi-Tremonti le condizioni dell’Europa, le quali erano state accettate e blandamente messe in esecuzione con tre provvedimenti, sia pure di modesto impatto. Quando il Paese si trovò, forse anche per una complice drammatizzazione mediatica, sull’orlo del precipizio, il nuovo Esecutivo tecnico presentò un Decreto pesantissimo, di cui impose l’approvazione, quasi senza lasciar margini di discussione. In quell’occasione venne riformata la normativa pensionistica, in modo fondamentalmente corretto, anche se con alcuni grossolani errori, perché scritta in modo affrettato e da incompetenti. Lo stesso provvedimento introdusse l’IMU, che rappresenta la più odiosa e recessiva forma di patrimoniale che si potesse concepire. Dicemmo subito che poteva esserne compresa la necessità, come provvedimento eccezionale, perché il patrimonio immobiliare è il più visibile e, quindi, nessuno può sfuggire. Averla stabilizzata per il futuro è stato un  errore, che aggraverà la recessione in atto e creerà molti problemi alle famiglie ed al mercato immobiliare, già stroncato dalla Crisi, mentre la sua revisione dovrebbe costituire una delle priorità della tanto annunciata riduzione della pressione fiscale.

Tutti i successivi provvedimenti del Governo sono stati sostanzialmente svuotati dal Parlamento, dove hanno prevalso irriducibili interessi corporativi. Il disegno di legge sulla riforma del mercato del Lavoro, dopo un iter travagliato, si è risolto sostanzialmente in nulla, pur provocando la reazione di principio della estrema sinistra, che ha richiesto un referendum abrogativo. Le privatizzazioni non hanno avuto migliore sorte, perché l’unica che è stata varata, non è tale, in quanto riguarda la SNAM, che è passata dalle mani dell’ENI, a quelle della Cassa Depositi e Prestiti, non solo anch’essa pubblica, ma controllata dall’ENI stessa. Quindi la partecipazione è passata dalla sorella alla mamma, sempre sotto l’influenza nefasta della politica. La spending review naviga in acque tempestose, tra veti e amputazioni, da parte di tutti coloro che vivono e si arricchiscono attraverso la spesa pubblica (rectius lo spreco). Della riforma e dimagrimento della insopportabile, inutile, costosa e corrotta burocrazia, non si è fatto nulla. Infine, quella che doveva essere l’abolizione delle Provincie – già promessa a Malagodi sin dai tempi della sciagurata istituzione delle Regioni a Statuto Ordinario – prima è diventata una riduzione, eliminando le più piccole, poi è naufragata, per la precoce fine della legislatura e forse ne è stata la vera causa.

Il breve riepilogo delle tappe essenziali dell’attività del Governo Monti dimostra che, a parte il primo Decreto imposto dall’Europa, in realtà i partiti presenti in Parlamento, i quali rappresentano le corporazioni, dominanti in Italia sin dai tempi del Fascismo e che nessuno è stato in grado di smontare od indebolire, hanno di fatto impedito all’Esecutivo tecnico di realizzare le riforme più necessarie ed urgenti per il rilancio dell’economia. Questo non significa assolvere del tutto una compagine, che avrebbe potuto avere più iniziativa e che, anzi, ha deluso per la incapacità di alcuni ministri, principalmente Passera e lo stesso Grilli, che avevano il compito di rianimare un’economia allo stremo ed imporre alla Banche di riaprire il credito alle imprese.

L’algido Mario Monti, come è stato definito, in apparenza è rimasto impassibile, ma probabilmente, si prepara a reagire rispetto a quanto ha dovuto subire in un anno, certamente difficile. Ha pagato un alto prezzo ai diktat del PD. Da ultimo il voto all’ONU in favore della Palestina, che ha determinato l’isolamento dell’alleato americano dal quale il Presidente riceve elevato apprezzamento. Egli sa bene che, se la sinistra vincesse sia alla Camera che al Senato, potrebbe dimenticarsi di coltivare ogni ambizione per il Quirinale. Altrettanto è indisposto per le continue imboscate del PDL, sempre pronto a difendere lobby e consorterie, che ha continuamente ostacolato ogni sua iniziativa e, alla fine, gli ha tolto la fiducia.

Per queste ragioni pensiamo che accetterà di fare il candidato Premier del Centro, in modo da sbarrare la strada ad ogni residua ambizione di una Destra, ormai disarticolata e ridotta ad una Corea, in cui regna il “tutti contro tutti”. Allo stesso tempo potrebbe evitare di consegnare la maggioranza nei due rami del Parlamento ad una sinistra che, se avesse avuto più fortuna il tentativo di rinnovamento di Renzi, avrebbe potuto avviare una fase nuova ed interessante, ma che si è ancora rivelata conservatrice, perché dominata dalla CGIL.

Mario Monti, alla guida di un Centro, anche se minoritario con il 15 od il 20% dei consensi, potrebbe rappresentare, nella prossima legislatura, il freno ad una deriva estremista, che l’ala vendoliana certamente cercherà di realizzare. Egli soprattutto potrà avviare, dopo la fine della deleteria esperienza di partiti carismatici, la costruzione di una vasta area liberaldemocratica, in cui cattolici di ispirazione liberale, come lo stesso Monti, possano collaborare con i laici per riportare un Paese – che, nell’ultimo ventennio, ha paurosamente sbandato tra gli estremismi populisti di sinistra e di destra – a ricollocarsi nell’alveo delle maggiori democrazie liberali dell’Occidente.

Quelle sopra esposte, al netto delle esasperazioni egoistiche ed istintive di molta parte del mondo borghese e produttivo al quale pur apparteniamo, sono le buone ragioni che ci fanno auspicare una rapida decisione del Professore di entrare nell’agone politico, mostrando, senza i vincoli che impone la responsabilità di un Governo sostenuto da una eterogenea maggioranza in un momento difficilissimo, il proprio vero volto di riformatore alla De Gasperi, di stampo liberale e di respiro internazionale, come gli è stato unanimemente riconosciuto.

Una lista Liberale a sostegno di tale progetto, sarebbe un contributo concreto alla svolta che auspichiamo da tempo e per Monti costituirebbe il tramite necessario per ottenere il sostegno dei Liberali Europei dell’ALDE, oltre a quello già ricevuto dal PPE.

Tratto da Rivoluzione Liberale

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