Le ragioni civiche di una partecipazione
Al Consiglio Nazionale seminariale di Cesenatico, il PLI ha annunciato che sarà presente alle elezioni politiche della primavera del 2013, qualunque dovesse essere la legge elettorale con la quale gli italiani verranno chiamati al voto.
Sin dai prossimi giorni il Partito sul territorio avvierà ogni sforzo per riunire il maggior numero possibile di associazioni e gruppi di ispirazione liberale e parteciperà, se coinvolto, ad ogni iniziativa per la creazione di un più ampio soggetto politico in grado di intercettare il diffuso malcontento degli elettori e principalmente dei settori produttivi e professionali, ormai allo stremo. La prossima competizione elettorale dovrà rappresentare l’occasione per il superamento dello schema fallimentare destra contro sinistra, che ha contraddistinto la lunga parentesi, senza politica, della Seconda Repubblica e per scongiurare una ulteriore esplosione di rabbia antipolitica, garantendo il ritorno invece al confronto tra visioni diverse del futuro. E’ già in atto la decomposizione del PDL, conservatore, autoritario e padronale e si profila una altrettanto profonda crisi del PD, ancora legato alla CGIL, alla FIOM e ad uno schema statalista, che ha dato risultati fallimentari.
Gli italiani chiedono lavoro per le nuove generazioni, insieme alla riduzione del carico fiscale per assicurare la ripresa degli investimenti e dei consumi. Il Paese ha risorse per avviare una fase di consistente ripresa economica e produttiva, facendo affidamento sulle proprie energie. Tale strada potrà essere intrapresa soltanto se verrà ridotto il debito pubblico, attraverso una consistente cessione di beni patrimoniali ed assetpubblici e se le imprese ed i cittadini saranno sollevati dal costoso pedaggio di norme vessatorie, che hanno consegnato il Paese ad una burocrazia ottusa, capace di dire soltanto di no e far perdere tempo prezioso, quando non diventa fonte di corruzione, spesso grazie alla complicità di una classe politica incapace, interessata soltanto a costituire solide clientele.
Una società liberale aborrisce i privilegi tuttora concessi a molte categorie, che godono di agevolazioni e protezioni inammissibili, mentre deve garantire pari opportunità a tutti per emergere e dimostrare le proprie qualità. Una spesa pubblica adeguata ad una tassazione ragionevole produce sempre lo sviluppo delle vocazioni imprenditoriali, che invece vengono scoraggiate se le interferenze del potere pubblico nell’economia riducono il tasso di competitività e di concorrenza. Bisogna abbandonare la logica anacronistica della difesa dei posti di lavoro improduttivi, con l’intervento della mano pubblica nelle aziende decotte e l’allungamento della Cassa integrazione a dismisura, che puntualmente produce lavoro nero e preclude l’accesso all’occupazione dei giovani, lasciandoli a carico delle famiglie.
Il principale problema del Paese è quello di fermare il declino, invertendo la perversa tendenza, che ha generato un più che decennale blocco della crescita della produttività, portandoci dai primi posti, dove eravamo collocati fino ad un ventennio fa, all’ultimo tra i Paesi sviluppati.
La inefficienza e lentezza dell’apparato amministrativo, il carente senso di legalità, l’inefficienza del sistema giudiziario, hanno reso la macchina pubblica permeabile alle infiltrazioni della delinquenza organizzata. Contemporaneamente la incapacità della classe politica, che si è lasciata condizionare dal potere burocratico e da quello mafioso, quando non si è resa ad esso complice, hanno prodotto un progressivo degrado, infine accentuato dallo spostamento di molti poteri verso la periferia a causa della errata scelta federalista.
Gli scandali che si susseguono, alimentati da un coro mediatico indiscriminatamente denigratorio, anziché produrre una reazione civica, e soprattutto civile, contro la inaccettabile tolleranza, spesso connivente, verso la corruzione, l’illegalità, l’evasione fiscale, il disinteresse per la doverosa tutela dei beni pubblici, hanno determinato l’esplosione di un rabbioso sentimento distruttivo nei confronti della classe politica, i partiti e le stesse Istituzioni, come se la colpa dipendesse dal prodotto e non dal brodo di coltura in cui esso si è formato. Ci spaventa tale diffusa protesta distruttiva, esasperata dai problemi della recessione e del generale impoverimento, perché rischia di produrre risultati che aggraverebbero i problemi, anziché avviare la faticosa strada della loro soluzione.
Non è certo delegittimando i luoghi della rappresentanza, vitali per la democrazia, che si può risolvere il problema di sradicare fenomeni per altro profondi e ramificati. Questo è soltanto un modo per esasperare i problemi ed aggravarli. Sarebbe come proporre di chiudere le Università, perché non producono laureati sufficientemente preparati a competere sul mercato del lavoro intellettuale, mentre si dovrebbe agire per riformare il sistema, migliorando decisamente l’offerta formativa, onde assicurare maggiore qualità nei risultati. In sostanza, con la complicità dei media, che guazzano nella lordura dello scandalismo, si scambia l’effetto con la causa. Essa quindi non viene ricercata in un costume corrotto, di cui anche coloro che protestano, sono sovente partecipi, ma viene additata come conseguenza di una articolazione democratica da distruggere. Tale metodo porta sempre dritto verso l’autoritarismo e poi, il più delle volte, se incontra l’uomo del destino, verso la dittatura.
Ragioni storiche, lontane e recenti, hanno affievolito il nostro “spirito civico”. In alcuni casi non è mai esistito, per la mancanza del necessario senso di appartenenza ad una comunità e l’assenza di una forte etica nazionale unificante, come invece ritroviamo sempre nei Paesi più avanzati.
Il Governo Monti, pur tra gravi incertezze ed errori, ha ridato all’ Italia un ruolo internazionale. Non è un risultato da poco, perché dimostra l’importanza della credibilità, come precondizione anche per i successivi obiettivi politici ed economici. Il ritorno alla responsabilità di Governo da parte del mondo politico è quindi condizionata innanzi tutto ad un cospicuo investimento in affidabilità, nuova moralità pubblica e competenza, chiudendo definitivamente la dolorosa fase dell’arrembaggio di opportunisti, arrivisti, manutengoli, portaborse, famigli, escort, veline o disoccupati pronti a tutto.
Un nuovo ceto politico dovrebbe presentarsi con un programma di lungo termine, fondato su un progetto capace di determinare concorrenza, mercato, trasparenza, rendicontabilità, certezza e semplificazione dei controlli e delle relative sanzioni, riconoscimento della qualità e del merito, semplificazione dei processi decisionali e delle procedure amministrative, eliminando del tutto quest’ultime quando possibile, attraverso il contrasto di interessi ed i sistemi di riscontro automatici, necessari nelle società di massa. Questo scoraggerebbe i corruttori e renderebbe più facile combattere i fenomeni distorsivi e le infiltrazioni, stimolando i cittadini a collaborare nell’azione di contrasto dei reati, perché partecipi di un’etica sociale condivisa.
Come in tutte le Democrazie occidentali avanzate, se vogliamo entrare in una Terza Repubblica di cui non vergognarsi come della Seconda, tale nuovo atteggiamento dovrebbe permeare tutto il nuovo ceto politico e divenirne una sorta di denominatore comune, che ne rappresenti il vero capitale sociale. Dopo, le parti politiche potranno, e dovranno, dividersi sulle soluzioni da dare ai problemi e sulle scelte quotidiane, ma forti di un rispetto reciproco, fondato su regole di cittadinanza condivise e un comune spirito civico, che determinerebbe una reciproca legittimazione.
Questo è il senso della decisione del PLI di voler fermamente partecipare ad una partita, che si presenta come un’occasione, forse l’ultima, per ricostruire innanzi tutto lo Stato, attraverso un rinnovato valore civile della presenza nella competizione elettorale e rilanciare il valore altamente etico di uno smarrito spirito di Nazione.
Per tale ragione è fermamente contrario alle confuse “liste civiche”, di cui si parla, prive di ancoraggio identitario. I liberali invece lavorano alla costituzione di un rensemblementdi matrice liberal-democratica, sul modello dell’UDF, che portò in Francia Valery Giscard d’Estaing alla Presidenza della Repubblica ed al quale si era ispirato Francesco Cossiga, quando tentò in Italia nel 1997 di costituire UDR, che lui stesso affondò, quando si convinse che non erano ancora mature le condizioni, che invece oggi potrebbero esservi, per creare un’aggregazione con forti contenuti liberali ed a vocazione maggioritaria per il Governo del Paese.
Tratto da Rivoluzione Liberale