
Le ferite di mezzo secolo di egemonia culturale
Per quasi mezzo secolo abbiamo combattuto la insopportabile egemonia del PCI sulla cultura italiana, che cercava d’imporsi nel mondo della scuola e dell’Università come in quello artistico, dalle arti figurative, alla letteratura, al cinema. Veniva usata persino l’espressione “intellettuale organico”, che contiene in sé una clamorosa contraddizione, dal momento che cultura indiscutibilmente è sinonimo di libertà.
Non era possibile vincere un concorso universitario o fare un film od una mostra, non si conquistava un premio letterario, se non si era militanti del PCI o quanto meno fiancheggiatori ad esso graditi. Le altre culture venivano liquidate come reazionarie, conservatrici, decadenti, fasciste. Un modestissimo spazio era lasciato soltanto agli intellettuali di matrice cattolica, purché con l’aggiunta del termine “democratico”, che nel linguaggio comunista internazionale, identificava la componente tendenzialmente vicina al marxismo. In Italia prese la denominazione di catto comunista. Inneggiare alla resistenza non significava rievocare la lotta contro la dittatura in nome della libertà, ma soltanto la rievocazione della rivoluzione non compiuta dai comunisti italiani. La sola tendenza culturale che riusciva ad imporre una propria presenza, si pure minoritaria e mal tollerata, era quella ex azionista, liberale di sinistra e radical socialista, che gravitava attorno al Mondo di Pannunzio e poi all’Espresso, per la sua indiscutibile autorevolezza. Il pensiero liberale classico, che derivava dalla tradizione storicista crociana era considerato nemico.
Manifestando la tipica attitudine italiana al servilismo, che si era già rivelata col fascismo, anche intellettuali di livello, che per radici culturali, sociali o sensibilità personali, tutto avrebbero potuto essere, salvo che comunisti, si schierarono apertamente con la tendenza dominante e ne ricevettero in cambio fama, ruoli ed onori. Il controllo dell’industria culturale fu sempre strettissimo, tanto che si definirono infatti comunisti i più importanti imprenditori del settore, in particolare i grandi editori, i più importanti galleristi, come si schierarono anche le principali case di produzione cinematografica.
Crollato il PCI, anche se la corrente dominante della intellighenzia ufficiale continuò a definirsi di sinistra, si aprirono degli spazi, specialmente in campo economico, per le dottrine di tipo capitalistico. Tuttavia, in assenza di una continuità con le correnti di pensiero del periodo precedente al fascismo, finirono col prevalere orientamenti liberisti estremi e senza controllo, (quel filone che Croce chiamava anarco liberismo) che presto mostrarono il loro limite e che si rivelò evidente in occasione della grande crisi del 2008, causata dalla prevalenza della finanza sull’economia reale.
Le attuali tendenze verso forme di esaltazione del qualunquismo e dell’autoritarismo personalistico, non sono altro che il frutto avvelenato della desertificazione culturale prodotta dal tentativo di imporre il pensiero unico. Di fronte al fallimento del socialismo reale dell’URSS e conseguentemente dell’ideale marxista-leninista ed essendo state di fatto cancellate le altre correnti di pensiero, si è determinata una sorta di smarrimento generalizzato. A differenza del ventennio fascista, che con brutalità aveva messo fuori legge ogni espressine non ortodossa, determinando una opposizione clandestina, la egemonia del PCI aveva scelto la strada di un apparente accettazione del pluralismo, ma cloroformizzando l’ambiente circostante, grazie ad un uso spregiudicato del potere egemonico. Il risultato è l’attuale scomparsa della cultura italiana dalla scena internazionale. Se ieri, quasi tutti servili e proni verso il Partito, tuttavia esistevano intellettuali ed artisti del calibro di Sciascia, Moravia, Vittorini, Guttuso, Trombadori, Soldati, Visconti, Germi, Comencini, ed innumerevoli altri, oggi siamo ridotti a Volo, Saviano e Fazio, in attesa di far entrare nell’Olimpo della cultura Luciana Litizzetto, che su argomenti come la Iolanda e il Walter è sicuramente un’autorità.
Nessuna Università italiana rientra nella classifica delle duecento più prestigiose del mondo. Nel campo delle arti figurative, l’ultimo esponente, sia pure disciplinatamente comunista, è stato Guttuso. La cinematografia, che nel dopo guerra aveva avuto un grande successo internazionale, oggi è come priva di ispirazione e di nuovi talenti. Nella letteratura nessuna opera ha ottenuto un’eco internazionale, dopo l’eretico successo del Gattopardo, frutto del genio letterario di un nobile intellettuale solitario, mal sopportato ed osteggiato dalla corrente culturale dominante. Si arrivò fino al tentativo, attraverso il fidato Visconti, di distorcerne il messaggio, tuttavia senza riuscirvi, tanto potente si rivelò il significato intrinseco dell’opera, che finì col far prevalere la istintiva sintonia tra la sensibilità dell’autore del romanzo con quella dell’aristocratico regista, travestito da comunista militante.
Francamente un panorama desolante per il Paese che vanta una millenaria tradizione culturale e detiene il maggiore patrimonio artistico, letterario, archeologico e monumentale del mondo.
Tratto da Rivoluzione Liberale