L’anomalia italiana
Il sistema politico italiano soffre di un male oscuro. Ha bisogno di rigenerarsi, ma non riesce a liberarsi dalla propria anomalia, che è ormai radicata. Per un cinquantennio, dopo la costituzione della Repubblica, l’alternanza democratica è stata impedita dalla presenza di un troppo grande Partito Comunista anti occidentale, che, in relazione agli accordi di Yalta, non poteva di fatto entrare a far parte dell’area di Governo, perché schierato e finanziato dal blocco sovietico. Esso quindi ha sostanzialmente monopolizzato l’opposizione ed ha cercato di esercitare nella società una sorta di egemonia culturale ed un contestuale dominio della piazza, attraverso il sindacato, ma è stato a lungo consapevole di non poter realmente concorrere al Governo del Paese.
Nel 1989, dopo il crollo dell’intero sistema comunista, che ruotava intorno all’URSS, temendo di scomparire fagocitato dal fratello-coltello socialista, grazie all’influenza che era in grado di esercitare nel circuito giudiziario-mediatico, ha puntato, riuscendovi, sulla completa distruzione del PSI. L’ondata giustizialista, che ne è seguita, poi, ha travolto l’intero sistema dei partiti di allora, ad eccezione dello stesso PCI, che si è limitato a dare una riverniciatura alla propria facciata, cambiando più volte denominazione, ma rimanendo sostanzialmente lo stesso, sia come riferimenti nella società, che come metodi interni e come strutture collaterali di sostegno. Si è semplicemente limitato a dichiarare una formale adesione alla economia di mercato, pur continuando, nei fatti, a difendere l’impianto statalista ed assistenzialista, al Centro come in periferia.
La società politica, che andava rifondata per intero a causa delle enormi responsabilità di una gestione consociativa del bilancio dello Stato, con la conseguente esplosione del debito pubblico, si trovò di fronte al crollo di una sola parte della intera costruzione, mentre l’altra rimase indenne con tutte le sue contraddizioni.
Oggi, dopo un ventennio, si sta riproducendo lo stesso fenomeno. La destra, invece di ricostituirsi sulla base di un sano conservatorismo, si è ritrovata peronista e populista, con un capo ispiratore, che ha cercato di asservirla ai propri interessi ed una classe dirigente di portaborse, profittatori e collusi. I cittadini in una condizione di sbandamento e disagio, hanno scelto di rifugiarsi nel non voto o nella protesta nichilista. In realtà il sistema non riesce a rigenerarsi perché non viene per intero travolto dall’ondata rinnovatrice. Ancora una volta, complice larga parte del mondo giudiziario, viene colpito quasi esclusivamente il versante destro, con la novità del tentativo di sbarazzarsi anche dell’ormai scomodo Di Pietro, senza tener conto che il vero problema è il continuismo PCI-PDS-DS-PD. Una novità è costituita dal fenomeno Renzi, che potrebbe finire col destabilizzare il soggetto politico portante della sinistra. Tuttavia la forza dell’apparato, gli interessi delle cooperative, il peso della nomenclatura, sembrano essere in grado di resistere. La regola del “simul stabunt, simul cadent“, quindi non può essere rispettata, dal momento che Lega, PDL e IDV soltanto, sono stati colpiti o travolti, ma il PD rimane in piedi, con i suoi inquietanti collegamenti mediatico-giudiziari, in grado di proteggerlo.
Il paradosso è che, di fronte al declino del personaggio che ha rappresentato l’immagine della cosiddetta Seconda Repubblica, inventando il leaderismo e la contrapposizione bipolare (principalmente motivata contro, piuttosto che per), il ridicolo rituale delle primarie all’italiana appare come un tratto caratteristico del PD, mentre nel PDL si caratterizza come una sorta di tragico epilogo, una scena felliniana di maschere che si dibattono per non soccombere, come mosche chiuse in un barattolo. Il protagonista apparentemente esce di scena, ma prepara un colpo a sorpresa per inventare qualcos’altro. Intanto i suoi imitatori, ancora in preda ad un riflesso condizionato, vanno alla ricerca di leader, mentre sarebbe il tempo di costruire solidi soggetti politici indentitari e con chiare prospettive programmatiche, liberandosi dalla effimera rincorsa dell’uomo forte. Il berlusconismo persiste nei suoi cloni, mentre l’inventore appare annoiato dagli inutili rituali, forse funzionali soltanto alla sopravvivenza di qualche esponente della modesta nomenclatura, mentre al capo è chiaro che si tratta di una stagione finita.
Il partito per l’Italia di Casini non decolla, perché questi, pur non commettendo l’errore di personalizzarlo, tende a sfumare i contenuti, trasmettendo un messaggio di incertezza e facendo venire in mente la possibile riproposizione della peggiore Democrazia Cristiana, priva di un disegno politico e di forti motivazioni ideali, ma volta a comporre una coalizione fondata sulla ricerca di posizioni di potere da occupare, senza un disegno di cambiamento, proprio mentre questo sarebbe oltremodo necessario.
Il vecchio schema della eterna mediazione e della gestione ordinaria dell’azione politica, non si confà ad una stagione di cambiamenti necessari, che impongono rigore culturale nel concepirle e grande qualità da parte di coloro che sono chiamati a realizzarle. I nuovi partiti sembrano impegnati a stimolare reazioni emozionali, anziché a mobilitare sul piano valoriale. Tentano di distrarre rispetto alla loro carenza di radici culturali, sollecitando un insulso agonismo intorno alla scelta del leader. Lo scontro sembra tutto ripiegato sul problema delle regole, dopo un ventennio nel quale queste sono state cancellate, piuttosto che sulla visione del futuro, sulla orgogliosa ricerca delle ragioni profonde della loro fede laica in un progetto di società. Non è l’uomo del destino quello di cui il Paese ha bisogno, ma l’arrivo sulla ribalta politica di partiti con forti motivazioni ideali e programmi precisi per realizzare il cambiamento. Quello che noi liberali abbiamo chiamatola Rivoluzione Liberale.
Le priorità per l’Italia sono un deciso e rapido programma di dimissioni di proprietà pubbliche, la cessione delle partecipazioni dello Stato, compresa la RAI e la Cassa Depositi e Prestiti, la cancellazione del finanziamento pubblico dei partiti e dei Gruppi, una riduzione del numero delle Regioni, la eliminazione di tutte le Province e l’accorpamento dei Comuni, nonché la valorizzazione del patrimonio artistico e la promozione di una formazione di eccellenza, insieme ad una energica riduzione della pressione fiscale per rilanciare investimenti, occupazione e consumi. L’esperienza dell’ultimo anno ha dimostrato che la scelta di colpire i contribuenti con tasse sempre più elevate, ha prodotto una contrazione del PIL ed una caduta dei consumi, con conseguente perdita di gettito. Al contrario sarebbe necessaria una politica espansiva, usando la leva fiscale in direzione di un alleggerimento, ma garantendo così un maggior gettito tributario a causa della crescita dell’economia.
In controtendenza rispetto alla fiera delle vanità delle primarie o alle bizzarre proposte di rottamazione, noi stiamo lavorando, circondati da un assordante silenzio mediatico, per costruire un soggetto politico con solide basi culturali che possa offrire agli uomini e alle donne, ai tanti giovani di questo Paese, che ne hanno voglia, di mettersi al servizio della Nazione, rendendosi protagonisti del proprio futuro.
Tratto da Rivoluzione Liberale