La metà degli italiani senza rapresentanza
Dopo un breve, salutare periodo di sospensione del bombardamento quotidiano dei cosiddetti approfondimenti politici, la RAI, dopo le elezioni, ha ripreso, in dose massiccia, ad intossicare gli ascoltatori con i veleni bipolari. Sono tornate in grande stile le solite facce, i soliti sondaggisti, i soliti commentatori, la solita satira, per infliggerci la solita minestra. Tutto questo reca offesa a quella metà di elettori che, come unico segno di protesta, avevano quello di non recarsi alle urne e lo hanno fatto. Questi non ci sono, esistono solo la destra e la sinistra e l’UDC, che ciascuna delle parti cerca di tirare dalla sua, agitando come minaccia lo spettro della scomparsa, come per gli altri. Anche noi liberali, per i campioni della democrazia bipolare, siamo morti. Neanche morti che parlano, perché ci è stato imposto il silenzio, l’oblio assoluto.
E’ vero, non ce l’abbiamo fatta, siamo rimasti impigliati nel groviglio cafchiano della raccolta delle firme e delle relative autentiche, anche con la complice ignavia di molti nostri amici sul territorio. Non possiamo considerare un sufficiente motivo di consolazione, la circostanza di esserci trovati in compagnia anche con qualche grande partito, che è inciampato della rete delle complicazioni burocratiche, che esso stesso aveva contribuito a creare per espellere gli altri minori. Tra l’altro dobbiamo amaramente constatare che la domestica “Giustizia Amministrativa”, mentre ha attentamente esaminato i ricorsi dei rappresentanti della nomenclatura, ha respinto i nostri fondatissimi, come quello di Genova e quello di Roma, senza neppure leggerli.
Per quanto ci concerne, vogliamo orgogliosamente rivendicare la rappresentanza, non certo di tutto il cinquanta per cento di cittadini che non sono andati a votare, ma certamente di una parte di essi e, comunque, dello spirito che li ha animati, coincidente col nostro.
Purtroppo al nostro interno ci sono molti che,affetti dalla sindrome degli amanti traditi dal PDL, non vogliono prendere atto di una realtà in cui le garanzie democratiche sono compresse e che, con la complicità di tutti i soggetti rappresentati in Parlamento, ha reso l’Italia sempre più somigliante ad un Paese sudamericano che ad una democrazia liberale dell’Occidente. Speriamo che, come viene proclamato in questi giorni, non tentino di stravolgere anche la Costituzione. Meglio quella che abbiamo, con le sue rughe e le sue inadeguatezze.
Gli amici, rifiutati o emarginati dal PDL, che magari speravano senza fatica di rifarsi attraverso il PLI, dimostrano tra l’altro di essere incapaci di assumersi le proprie responsabilità per non aver fatto tutto quanto era in loro potere per presentare le liste ed accusano la dirigenza nazionale, non certo esente da errori, ma che ha il merito indiscutibile di aver tenuto la barra dritta sulla linea votata dal Congresso. Tutto questo mi ricorda le voci solitarie di Croce, Amendola, Sogno o Gobetti durante il Fascismo, che nonostante molti ignobili opportunisti che si resero complici della dittatura, salvarono l’onore della autentica tradizione liberale.
E’ vero, tra la metà che ha votato, ha vinto la destra. Dovremmo per questo schierarci col rivoltante leghismo o col populismo berlusconiano? Mi fanno sorridere gli ipocriti che, mentendo a se stessi, dicono, si, per cambiarli dal di dentro. Ma come e con quali strumenti? Ammesso che, superando i conati di vomito nell’avvicinarci, lo volessimo, sappiamo bene che non ci accoglierebbero. D ‘altronde gli stessi attuali militanti non possono esprimersi per la totale mancanza di strumenti di dialettica democratica interna. Ma, di cosa stiamo parlando?
Le idee di cui si è convinti non si cambiano sol perché non sono vincenti o perché, come nel nostro Paese, viene persino impedito di farle apparire sui media. La libertà è così forte che, come in tutti i regimi autoritari o poco democratici, prima o poi finisce col prevalere.
Qualcuno ci accuserà di protervia per la nostra rigorosa e coerente fedeltà ai principi ed ai valori in cui crediamo. La linea del Partito decisa un anno fa dal Congresso, che ha dato mandato al vertice eletto, di attuarla, non si cambia. Se qualcuno la pensa diversamente non può che aspettare il prossimo Congresso per far valere le proprie posizioni in un nuovo aperto confronto.
Stefano de Luca