La lezione di Monaco (aggiornato)
La crisi internazionale che scuote l’agosto del 2008 riporta alla memoria storica, per taluni aspetti, quella che sconvolse l’Europa nel tardo estate del 1938 e si concluse malamente e provvisoriamente nella “Conferenza di Monaco” che precedette neppure di un anno lo scoppio della seconda guerra mondiale.
Le somiglianze fra questi due contesti sono molto numerose, ed è perciò più breve e utile, dato che le circostanze storico-politiche non si ripetono mai in modo identico, ricordare le chiare differenze fra oggi e ieri.
Innanzi tutto Putin non è Hitler. Il leader russo di oggi non professa ideologie razziste, né si può ritenere che coltivi dottrine economiche che comportino l’annessione di nuovi vasti territori per costituire uno “spazio vitale” per la Russia, e tanto meno che si prefigga obiettivi di “egemonia planetaria”.
In secondo luogo ai tempi di Monaco, come anche all’inizio della seconda guerra mondiale, le potenze non disponevano di armi che costituissero un deterrente assoluto da conflitti generali, come oggi lo è la disponibilità di un immenso armamento nucleare.
In terzo luogo, mentre Hitler puntava all’autosufficienza economica della Germania, Putin non ha bisogno di farsi spiegare che il benessere della Russia dipende dalla vendita di petrolio e gas all’Occidente e dagli investimenti esteri – cioè occidentali – in Russia. Infine, l’ex ufficiale del KGB non può non sapere che la sconfitta nella “guerra fredda” e il crollo finale dell’impero sovietico furono dovuti sotto il profilo economico alle enormi spese militari sostenute nel confronto con l’Occidente, e alla arretratezza tecnologica.
Per quanto Chamberlain, Daladier e Mussolini fossero stati accolti festosamente al loro ritorno in patria da Monaco, da popolazioni che volevano la pace, il vero trionfatore dalla Conferenza fu Hitler, il quale, ancore impreparato militarmente, seppe sfruttare abilmente l’assenza degli Stati Uniti, la debolezza degli inglesi e dei francesi, e l’ambiguità del governo italiano dell’epoca, al tempo stesso alleato e frenatore della corsa di Hitler verso la guerra europea e poi mondiale.
Queste differenze fanno sì che la vicenda della Cecoslovacchia del 1938-39 non costituisca un precedente storico all’attuale conflitto russo georgiano, ma pur sempre rappresenti una formidabile lezione che i governi occidentali e le loro organizzazioni non possono permettersi di dimenticare.
Da questa analisi , sia pure ridotta all’essenziale per ragioni di spazio, derivano due chiarissime indicazioni, ma dovremmo dire ammonizioni, per le questioni della politica italiana. Il contenimento del nazionalismo russo richiede forza politica, militare ed economica. Se sul piano della forza militare gli europei e i canadesi non reggono il confronto con la grande democrazia americana, su quello politico ed economico l’Europa non è per nulla un “junior partner”. Essa perciò può e deve costituire un punto di forza nella formulazione della politica comune dell’Alleanza per fronteggiare la crisi caucasica. I Paesi dell’Alleanza Atlantica che si ispirano ai valori dell’internazionalismo liberale debbono fare intendere di non essere disposti a transigere per nessun motivo e a nessun costo alla rule of law, al punto di non temere né il ritorno della guerra fredda, né minacce di contromisure di carattere commerciale, peraltro del tutto improbabili da parte della Russia di Putin, visto che nessuno si è mai suicidato per paura di morire.
L’ottima analisi di Lucia Annunziata pubblicata da “La Stampa” ha chiarito perché, data la contingente situazione interna degli USA dovuta all’esito incerto delle elezioni presidenziali, una voce unitaria europea nell’ambito dell’Alleanza sarebbe più che mai indispensabile.
Ma ciò avrebbe presupposto, come ha ammonito il presidente del Parlamento europeo Hans Gert Potterin, e sottolineato interpretando il pensiero di tutti il liberali europei dal presidente dei rappresentati liberali a Strasburgo Graham Watson, la perfetta collimazione dell’analisi e dei propositi dei singoli governi dell’Unione europea. Ciò non è accaduto. La delibera della riunione dei Capi di Stato e di Governo EU del 1 settembre è stata presa “secondo le posizioni sostenute da Francia, Germania e Italia, cioè contro le posizioni sostenute dalla Gran Bretagna, della Polonia, e degli stati confinanti la Russia.
Un’altra considerazione di carattere politico-morale: perché il Ministro Frattini non si dimette? Il suo ruolo è straordinariamente irrilevante per la cronaca politica, e persino fastidioso per tutte le persone liberali e no, che hanno una certa idea del proprio Paese. Ciò a maggior ragione dopo le vicende politiche successive. Le dimissioni del Ministro Frattini restituirebbero all’On Frattini un minimo di decenza.
Il trattato tra la Libia e l’Italia, se si dimostrerà una cosa seria, potrebbe essere ricordato come un buon trattato commerciale e sulle questioni interne fra i due Paesi, ma mai e poi mai, avendo un vero Ministro degli esteri, avrebbe potuto essere presentato come “trattato di pace” imposto dalla Libia vittoriosa alla vinta Italia. Un guerra che ha avuto come sole vittime gli italiani ex residenti in Libia e le migliaia di clandestini disperati che sono affogati nel Canale di Sicilia. Una Pax Carthaginiensis alla rovescia con tanto di indennizzi e ricostruzioni storiche umilianti per l’Italia, e pericolose per quei nostri Alleati che sono stati potenze coloniali, ma non sono così ricche e stravaganti da potersi permettere simili bizzarrie.
In conclusione, il confronto fra Monaco e oggi fa tornare alla mente ciò che Winston Churchill disse al premier Neville Chamberlain, l’uomo di Monaco, che tornava dalla Conferenza dove si era piegato alla prepotenza di Hitler: ”Il destino vi ha posto di fronte alla scelta fra la vergogna e l’uso della forza; voi avete scelto la vergogna, noi subiremo la forza.”
Stefano de Luca, Segretario Nazionale del Partito Liberale Italiano
Carlo Scognamiglio, Presidente del consiglio nazionale del Partito Liberale Italiano