
Intervista al Presidente Nazionale Stefano de Luca
Riportiamo l’intervista fatta da Daniele Giacobbe e pubblicata su il quotidiano online Il Fatto Giornaliero al Presidente Stefano de Luca.
D.: Allo scenario della politica italiana, che era già quanto meno complesso di suo, si è aggiunto il rigetto populista in larghe parti dell’elettorato. Cosa è successo, quali sono le cause e i rimedi di ciò?
R. L’esplosione del populismo dipende in linea principale dal disagio diffuso per una situazione economica, e quindi occupazionale, gravissima. La constatazione palese di trovarsi al cospetto di un ceto politico inadeguato, che riguarda senza distinzione alcuna tutti i soggetti attualmente protagonisti, accresce tale stato di sfiducia, per altro amplificato da media e Talk Show di infimo livello, che inducono alla rissa, anziché al confronto. Ovviamente anche la rete finisce col moltiplicare senza freno una pur comprensibile situazione di disagio. Vi è infine un’altra ragione tutta italiana, che deriva da una cultura di tipo statalista diffusa, che proviene da lontano. I nostri concittadini si attendono la soluzione dei problemi connessi all’economia, allo sviluppo ed all’occupazione da parte della Politica. In effetti in una società fondata sul libero mercato non dovrebbe essere così. Al più lo Stato può interferire per determinare alcune condizioni favorevoli o negative. Sotto tale profilo in Italia la enorme pressione fiscale per finanziare le clientele, gli sprechi e la paralizzante burocrazia costituiscono altrettante concrete responsabilità politiche della nostra mancanza di competitività.
D.: Anche quest’anno la crescita del Pil si attesterà probabilmente ad uno “zero – virgola –qualcosa”. Cosa dovrebbe fare un governo responsabile, serio e lungimirante per far tornare a crescere il paese?
R. Quello che farebbe ogni padre di famiglia responsabile, come ci ha insegnato Luigi Einaudi. Innanzi tutto vendere i gioielli di famiglia. Quindi, cedere gran parte del patrimonio pubblico immobiliare, ( caserme dismesse, edifici inutilizzati ed in stato di abbandono, immobili ed complessi aziendali confiscati alla delinquenza organizzata ed altre proprietà pubbliche abbandonate) e vendere quello mobiliare (ENI, Enel, Terna, Poste Italiane, Ferrovie, Porti, Aeroporti, Opere d’arte dimenticate nei magazzini dei musei, anche prevedendone cessioni in affitto a privati con obbligo di adeguata custodia, comunque mettere a reddito l’immenso patrimonio pubblico, statale e territoriale). Destinare il ricavato esclusivamente a riduzione del debito accumulato per ridurre la spesa per interessi, specialmente dopo che si ridurranno o scompariranno le attuali agevolazioni della BCE.
Il secondo non rinviabile provvedimento riguarda la drastica riduzione della spesa pubblica elefantiaca, che produce clientele e rendite parassitarie. Si deve contrarre di almeno un quarto l’apparato pubblico, chiudere o vendere tutte le aziende o società pubbliche, statali e territoriali e privatizzare le relative attività. Al pubblico deve rimanere soltanto il controllo. Il risparmio potrebbe essere di oltre cento miliardi in cinque anni, senza interventi traumatici sull’occupazione.
Infine promuovere i nuovi investimenti, cancellando la burocrazia e prevedendo soltanto controlli ex post (semplificati, affidati ad un solo interlocutore della PA e con procedure celeri, pena ilo silenzio assenso) per le attività, che intanto potranno essere state avviate.
D.: Si è da poco concluso un importante passaggio referendario incentrato sul quesito: “monocameralismo o bicameralismo”. E’ soddisfatto dell’esito della consultazione? E come va interpretato?
R. Molto soddisfatto. Siamo stati in prima linea per contrastare una riforma pericolosa nell’obiettivo principale di ridurre la sovranità dei cittadini, ma abbiamo anche cercato di dimostrare che era pasticciata, contraddittoria, in alcune parti inapplicabile e che intaccava il principio liberale della divisione e dell’equilibrio tra i poteri dello Stato. Gli italiani hanno capito e sono andati in massa a votare per manifestare il proprio dissenso verso chi aveva tentato di sottrarre loro potere, cercando di prenderli in giro con una rappresentazione del significato della riforma diverso dal reale. Il tema del mono o bicameralismo è stato posto in modo sbagliato ed ingannevole. Il nostro non è un Paese che, per la complessità del procedimento legislativo, produce poche leggi, anzi ne fa troppe, scritte male, spesso inapplicabili e che richiamano ad una miriade di regolamenti attuativi, che complicano ulteriormente l’attuazione delle leggi medesime. Siamo per il bicameralismo, anche prevedendo un correttivo sulle competenze e le funzioni delle due Camere, oltre ad una riduzione del numero dei componenti di entrambe.
D.: Alcuni partiti o movimenti ritengono la nostra Costituzione intoccabile e immodificabile. E’ vero? La nostra costituzione va preservata o modificata? E se si, in quali parti?
R. La Costituzione non è intoccabile. Sin dalla sua promulgazione dal nostro punto di vista liberale aveva dei difetti, ovvia conseguenza della necessità di un largo compromesso per la sua approvazione. Tutte le Costituzioni necessariamente devono risentire del compromesso tra i diversi punti di vista delle parti politiche. Un tale problema è irrisolvibile. Qualunque altra modifica, per essere seria, dovrebbe trovare un largo consenso e quindi lascerebbe qualcuno parzialmente insoddisfatto, ma questa è la democrazia. Mi preoccuperei molto del contrario. Certamente va modificato il Titolo quinto, riformato nel 2001 con un colpo di mano, che ha creato solo problemi ed un enorme contenzioso tra Stato e Regioni. Andrebbero ridefinete le funzioni il CNEL, altrimenti da abolire. Andrebbe ridisegnato il sistema delle autonomie locali, riducendo il numero ed i poteri delle Regioni, comprese quelle a Statuto speciale. Restituire alle Province il ruolo di Ente intermedio, ma in numero non superiore a 30/40. Altrettanto dovrebbe fare lo Stato, concentrando in tali sedi i propri uffici periferici, come Prefetture, Questure, Soprintendenze, Genio Civile e relativi terminali territoriali degli altri ministeri. Bisognerebbe attuare urgentemente l’Art. 49 della vigente Costituzione per imporre uno statuto giuridico con garanzie di democrazia interna ai partiti politici, che svolgono, sostanzialmente senza alcun controllo democratico, funzioni delicatissime, come quella di selezionare e designare il personale politico cui affidare compiti delicatissimi nell’attività pubblica. Mentre tale regolarizzazione dovrebbe avvenire urgentemente con legge ordinaria, la riforma costituzionale potrebbe essere affidata ad una Assemblea Costituente, che abbia tale esclusivo compito, da eleggere con il sistema proporzionale puro ed i cui risultati dovrebbero, per parti separate, essere sottoposti all’approvazione popolare con referendum confermativo.
D.: Una variabile importante della insoddisfazione dei cittadini sembra venire dalla gestione della immigrazione. Quale indirizzo occorre prendere e quali sono le priorità nelle politiche di accoglienza o respingimento?
R. L’accoglienza dei disperati è un dovere, prima ancora che giuridico, di carattere morale. L’organizzazione dei flussi e della distribuzione territoriale dovrebbe riguardare l’Europa, che non può scaricare sui Paesi di frontiera l’onere di una simile massa, che rischierebbe di trasformarsi in una sorta di invasione. Umanità, solidarietà e spirito di accoglienza dovrebbero essere le regole. Accanto a questo sarebbe necessaria una più efficace cooperazione con i Paesi di origine per contenere l’esodo, al netto di chi fugge da guerre e persecuzioni, che vanno accolti come rifugiati.
D.: Si è appena conclusa l’esperienza del Governo Renzi. Qual è il suo giudizio a proposito?
R. Pessimo, il peggior Governo della storia repubblicana, incapace di affrontare la crisi economica in atto, impegnato soltanto nell’occupazione del potere, (il modo in cui si è impadronito della RAI ne è la dimostrazione più evidente) inadeguato sul terreno politico (lo dimostra il fallimento completo di tutte le riforme propagandate con enfasi, come quella della Scuola, o quella del lavoro). Un’esperienza da archiviare e dimenticare presto. La visione liberale della società è il contrario di quella autoritaria e dilettantesca del Governo Renzi.