Il rischio del Presidenzialismo, di Stefano de Luca
La nuova farsa del dibattito sul presidenzialismo rivela tutta la slealtà che si nasconde dietro proposte riformatrici apparentemente presentate per modernizzare le strutture Costituzionali del Paese e che invece non sono altro che il solito volgare balletto di formule astruse, con l’esclusivo obiettivo di rafforzare una fazione, un partito, una singola persona. Ha ragione Sartori, che di queste cose se ne intende, ad avvertire la pericolosità di copiare solo parzialmente il sistema di un altro Paese, per soddisfare le esigenze specifiche di qualcuno. Vi sono diverse soluzioni Costituzionali nei vari Paesi del mondo Occidentale, che, anche in relazione alle tradizioni ed alle sensibilità di quei territori, sono riuscite benissimo, ma che non è detto che avrebbero il medesimo risultato positivo trasportate in altre Nazioni con storie e condizioni ambientali diverse .In ogni caso nessun sistema può essere esportato se non introducendone tutte le caratteristiche, pena il sicuro fallimento. Prima di affrontare il tema di una riforma del nostro impianto Costituzionale, bisogna domandarsi quale effetto si vuole ottenere e se esso costituisca un obiettivo condiviso. Altrimenti parlare di Riforme mentre ciascuno pensa ad una esigenza diversa, significa rischiare di affrontare una questione delicata in un clima di confusione. Magari per una strana coincidenza parlamentare occasionale, ne potrebbe scaturire un mostro, come avvenne con la riforma del 2005, che fortunatamente, grazie alla saggezza popolare, fu respinta in sede di referendum confermativo.
Da sempre noi liberali abbiamo preferito le Democrazie Parlamentari, che mettono al centro del sistema il Parlamento, quale rappresentanza di tutte le espressioni popolari. Tuttavia esistono Democrazie Liberali Presidenziali ed anche maggioritarie. Queste ultime si rinvengono soprattutto nei Paesi anglosassoni, perché la tradizione Luterana e Calvinista di quei territori è in genere garanzia di una maggiore eticità politica e di un forte legame con gli interessi territoriali. Pur non ritenendo che il primo problema dell’Italia sia la riforma di tali aspetti Costituzionali, se dovessimo esprimere una preferenza, sarebbe certamente per il sistema tedesco, con un Premier forte in quanto leader del partito vincitore, che può scegliere l’alleanza con la forza politicamente più omogenea o con la quale ha trovato una forte convergenza programmatica.
Dopo il fallimento di una fase di grande coalizione con i socialisti, soggetta a continue mediazioni ed a concessioni alle grandi centrali sindacali, l’alleanza con i Liberali, oltre ad essere più omogenea, si è tradotta in un programma di significative riforme, modernizzatrici della società ed in grado di affrontare con criteri di mercato i problemi posti dalla Crisi economica internazionale.
Invece di guardare a quel modello l’Italia sembra rivolgere più attenzione al Semipresidenzialismo francese, che ha dato anch’esso buoni risultati, ma in quella Nazione, sotto certi profili, così diversa.
Basterebbe ricordare come l’impianto amministrativo francese è fondamentalmente quello centralistico napoleonico e che la Costituzione della Quinta Repubblica fu voluta dal Gen. De Gaulle. Tuttavia, se la maggioranza di consensi parlamentari, ovviamente bipartisan, dovesse propendere per tale scelta, anche noi potremmo aderirvi, ma alla sola condizione di trasportare nel nostro ordinamento, esattamente lo stesso impianto, con i relativi equilibri che esistono in Francia. Maggiore autonomia amministrativa al Governo, ma centralità forte al Parlamento e, soprattutto lo stresso sistema elettorale. Il Presidenzialismo all’italiana come lo vorrebbero Berlusconi e Bossi, mantenendo per la elezione del Parlamento la vergognosa legge attuale, sarebbe un ulteriore colpo mortale alla Democrazia e renderebbe il nostro sistema identico a quello delle Repubbliche Presidenziali sudamericane. Il progetto di Berlusconi, che teme le imboscate parlamentari rispetto alla sua aspirazione al Quirinale, sarebbe quello di farsi eleggere a suffragio universale con una delle solite compagne plebiscitarie, o con me o contro di me, nominando allo stesso tempo i suoi fedeli e sodali parlamentari, in modo da dominare in modo assoluto il Potere Legislativo. In cambio del suo consenso a Bossi, fino a ieri riottoso, consegnerebbe la Presidenza del Consiglio, tuttavia sotto tutela del Quirinale. Ha ragione Fini a porre come condizione il sistema elettorale francese, che darebbe voce alle parti politiche e ristabilirebbe un equilibrio tra i poteri. C’è da augurarsi che il PD non caschi nella trappola, magari in cambio della promessa di una elezione di Violante alla Consulta. Tutto questo non sarebbe l’interesse della Nazione. Insistiamo quindi, in prima battuta, come L’UDC, nel ribadire la nostra preferenza per il sistema di tipo Tedesco. Infine riteniamo giusto esprimere tutta la nostra contrarietà alla proposta di Senato Federale del Ministro Calderoli, sia perché comporta un forte ridimensionamento del Ruolo della Camera Alta, che invece ha sempre dimostrato maggiore saggezza, sia perché la elezione non contemporanea con la Camera, potrebbe dar luogo a maggioranze diverse, con rischi di instabilità, sia infine perché per moltissime materie la doppia lettura costituisce di per se garanzia di un procedimento legislativo più attento e meditato. In Italia non sono necessarie più leggi, ma un minor numero e fatte meglio.
Il Partito deve occuparsi in modo approfondito della materia e formulare una propria proposta, supportando anche con emendamenti correttivi l’azione parlamentare dell’On. Guzzanti.
Stefano de Luca