
IL PROGETTO LIBERALE PER RIPRENDERE LA CRESCITA
Il declino dell’economia italiana, e il parallelo svuotamento delle tasche degli italiani, è un fenomeno che dura da almeno quindici anni. In ragione della sua durata inusitata non mancano certamente dati statistici, studi, comparazioni, e ogni altro possibile elemento di analisi e di conoscenza.
Una così vasta notorietà dei dati di fatto che riguardano il caso italiano ha anche portato a una coincidenza davvero singolare delle indicazioni sulle misure di politica economica che potrebbero rovesciare la tendenza sino a qui predominante, ed evitare perciò all’ Italia il destino di dovere sostenere delle sanzioni per i suoi squilibri macroeconomici eccessivi, fino al “commissariamento” che farebbe seguito alla richiesta di intervento dei meccanismi salva Stati della UE.
Tutti si dicono d’accordo, infatti, che con un debito pubblico al 137% del Pil, la pressione fiscale al 45%, e la crescita a 0, la sola strada percorribile è il rilancio dello sviluppo, e che questo potrebbe avvenire solo con un forte taglio della spesa pubblica e della pressione fiscale.
Se dunque non ci sono dubbi sulle cause e sulla gravità della crisi italiana e nemmeno su come se ne potrebbe uscire, l’enigma consiste semmai nel capire perché fino a oggi i Governi che si sono succeduti in Italia non abbiano fatto nulla – o quasi – che potesse risolvere il problema, scegliendo piuttosto di “tirare a campare”, per poi trovarsi costretti alle dimissioni nel giro di una dozzina di mesi, o poco più.
Innanzitutto non si deve credere che personaggi come Mario Monti, Grilli, Saccomanni, e oggi Padoan, che hanno avuto la responsabilità dell’ economia e delle finanze nei governi più recenti, non avessero la consapevolezza dei problemi o la conoscenza di come davvero si sarebbero dovuti affrontare.
La spiegazione sta piuttosto nel fatto che l’organizzazione della rappresentanza politica e sindacale degli interessi che preferiscono aumentare, e comunque mai diminuire, la spesa pubblica, cioè di quello che per semplicità si può chiamare il “partito della spesa”, e comprende sindacati, pensionati, dipendenti pubblici e para pubblici, burocrati, eletti e pubblici amministratori (dai consigli di zona fino al Parlamento), e così via, ha dimostrato di essere di gran lunga più forte di quella che rappresenta gli interessi che sono danneggiati dalla tassazione eccessiva, i lavoratori dipendenti che subiscono l’effetto del cuneo fiscale al 50% , i consumatori che subiscono gli effetti dell’aumento dell’IVA e delle accise, i giovani disoccupati, i dipendenti “precari” del settore privato, gli imprenditori, gli artigiani, le “partite IVA”, e così via; cioè quello che per semplicità si può chiamare “partito contro la spesa eccessiva” o – se si preferisce, date le circostanze – “partito della crescita”.
Si noterà che i due “partiti” comprendono aree che si sovrappongono e definiscono l’area degli “incerti”. I dipendenti pubblici, per esempio, appartengono al partito contro la spesa eccessiva (partito della crescita) quando guardano la differenza fra il lordo e il netto della loro busta paga, mentre appartengono al partito della spesa quando temono prepensionamenti o blocchi salariali e di carriera.
Nelle democrazie le elezioni, in teoria, vengono vinte da chi riesce a convincere la maggior parte degli “incerti” a scegliere il partito della spesa piuttosto che il partito della crescita. Ma in realtà le cose non stanno proprio così.
Proprio il caso italiano dimostra chiaramente che si possono vincere le elezioni sostenendo un programma per ridurre la spesa e l’invadenza dello Stato, per poi trovarsi a fare il contrario, perché il partito della spesa riesce a riprendere in mano il gioco, o comunque a paralizzare l’avversario, grazie alla sua maggiore esperienza amministrativa e alla migliore organizzazione fra le forze sociali. Il caso delle tre inutili (dal punto di vista della riduzione della spesa che non è mai diminuita) vittorie elettorali del partito guidato da Silvio Berlusconi è un esempio perfetto di quanto sopra.
Fra gli eletti il “partito della spesa” ha sempre una forte presa, perché l’aumento della spesa porta benefici elettorali diretti, mentre non sempre l’aumento della pressione fiscale si traduce in una penalizzazione.
La nostra Costituzione non consente al partito dello sviluppo di aggirare l’ostacolo, perché i referendum sulle materie fiscali non sono ammessi. Ma certamente non vieta che il partito dello sviluppo si organizzi meglio di quanto si è fatto in passato, scelga un leader credibile dal punto di vista dell’affidabilità nel mantenimento degli impegni presi con gli elettori, e soprattutto susciti negli elettori e negli eletti la fiducia che la scelta vincente è la riduzione del peso del settore pubblico nell’economia, del debito e delle tasse, cioè un progetto liberale.
Molti Paesi europei, anche recentemente, come la Germania, la Svezia, i Paesi Bassi, la Danimarca, per non dire a suo tempo l’Inghilterra, hanno effettivamente ripreso la strada dello sviluppo grazie a progetti formati con idee e principi che ovunque si definiscono liberali.
Per offrire un contributo a un progetto che possa avere successo anche in Italia “i Liberali” vi propongono un’ analisi che verrà pubblicata su questo sito e conterrà casi ed esempi, tratti dalla concreta realtà europea, di come ridurre il peso eccessivo dello Stato, e riprendere il sentiero della crescita.
Roma, 3 luglio 2014 – Convegno “Difficile, ma liberale”