
Il PLI ricorda con affetto Malagodi nel trentennale della sua scomparsa
Ho avuto il privilegio di conoscere e lungamente frequentare Giovanni Malagodi, di cui il 17 aprile ricorre il trentennale dalla morte e Rivoluzione liberale, come il PLI, che egli amò moltissimo e considerò a lungo come una sua creatura, intendono ricordarne la indelebile figura. Era un uomo burbero e cordiale, coltissimo ed alla mano, apparentemente freddo, ma capace di slanci emotivi, autoritario, arguto, ma sempre rispettoso delle opinioni degli altri, combattente tenace (come nella sua epica battaglia contro la realizzazione delle Regioni, sulla quale oggi quasi tutti sono costretti a riconoscere quanto avesse ragione!).
A tavola era un commensale raffinato e pieno di curiosità per le tante cucine regionali italiane ed i relativi vini, che amava conoscere sempre più a fondo. Nel Partito aveva un piglio manageriale e nutriva una spasmodica attenzione per l’efficienza, che gli derivava dalla ultradecennale formazione bancaria alla scuola di Mattioli. Era sempre attento a frenare settarismi e correntismo, che considerava pericolosi, traumatizzato dalla dolorosa scissione della sinistra liberale di Villabruna e Carandini, che aveva sottratto al Partito personaggi di grande valore e poteva vantare il sostegno dell’impareggiabile gruppo intellettuale del Mondo di Mario Pannunzio, il cui peso culturale incideva particolarmente, in una fase di fortissimo contrasto per la recente rottura polemica.
Il PLI in quell’epoca raccoglieva intorno al tre per cento dei consensi, anche se dopo lo stesso Malagodi con un’opposizione vigorosa ai provvedimenti demagogici del primo centro sinistra che dissestarono il bilancio dello Stato, riuscì a raggiungere nel 1963 il sette per cento.
La Gioventù liberale italiana, di cui ho fatto parte per molti anni, aveva una consistenza comparabile a quella della FGCI, che era il movimento giovanile comunista e delle varie organizzazioni fiancheggiatrici del mondo cattolico ed era molto più forte di quelle di altri partiti, anche di maggiore consistenza. Infattil’AGI, associazione dei giovani liberali negli Atenei, alle elezioni universitarie, raccoglieva da un quarto ad un terzo dei consensi, eleggendo una significativa rappresentanza negli organismi rappresentativi delle singole Università e nell’UNURI, che costituiva il corrispondente luogo di rapprersentanza al livello nazionale. Malagodi sovente partecipava a nostri Congressi, convegni o seminari e ne ospitò anche alcuni nella sua tenuta dell’Aiola in Toscana. Ebbi il privilegio di incontrarlo per la prima volta ad un formativo Incontro a Perugia, mentre ero studente al primo anno universitario e da poco avevo messo i calzoni lunghi. Rimasi colpito dall’attenzione straordinaria che dava al vivaio della Gioventù liberale. Poco più che ventenne, durante la campagna elettorale per le elezioni politiche del 1963, su sua stessa richiesta, mi fu affidato l’onore, pur con le gambe tremanti, di presentarlo nella Piazza Politeama di Palermo, dinnanzi ad un uditorio di oltre diecimila persone. Conservo quella foto come uno dei ricordi più cari.
Appartenevo alla minoranza di sinistra, nostalgica del gruppo di prestigiosi intellettuali che da poco aveva abbandonato il Partito. Ricordo l’attenzione, a volta puntigliosa, con la quale Malagodi ci ascoltava, replicando, ribattendo, sempre con grande rispetto, talvolta correggendo qualche nostra citazione riferita approssimativamente, perché, oltre ad essere dotato di una cultura sconfinata, era anche assistito da una formidabile memoria.
Sapevo abbastanza bene imitare la sua voce e mi chiese di farlo dinnanzi a lui, divertendosi molto, perché era un uomo di spirito, che dinnanzi ad un bicchiere di vino rosso, sapeva diventare veramente cordiale. In quel periodo nessuno nel Partito osava contraddirlo, anche quando si trattava di grandi personalità come Martino, Valitutti, Brosio, Cocco Ortu, Sogno, o BadiniConfalonieri. Il primo tentativo di opposizione lo facemmo, costituendo al Congresso Nazionale del 1966 una minoranza, guidata da Pompeo Biondi e Salvatore Valitutti, ma formata quasi esclusivamente da appartenenti alla GLI. Non eleggemmo nessuno in Consiglio Nazionale, ma Malagodi, il giorno dopo, incluse nella Direzione Biondi e Valitutti.
Ricordo in seguito, quando Presenza Liberale, la componente di minoranza di sinistra da noi animata, riuscì a conquistare una rappresentanza nel Consiglio Nazionale, la attenzione con la quale il grande Malagodi ci ascoltava, credo talvolta con l’orgoglio di avere nel suo partito una componente giovanile così numerosa e politicamente preparata. Replicava sempre con puntiglio alle nostre osservazioni. Non potei accettare l’offerta di andare a collaborare con lui quando divenne Ministro del Tesoro, come altri tra noi, tra i quali l’indimenticabile Carla Martino ed Ercole Camurani, perché avevo perso da poco mio padre e non potevo permettermi distrazioni dall’impegnativo inizio della professione forense.
Ovviamente tutti gli davamo rigorosamente del lei e per me fu difficile passare al tu, che mi impose con tono imperativo, il giorno in cui fui eletto nel 1983 per la prima volta alla Camera dei Deputati e volle invitare tutto il Gruppo parlamentare a cena al circolo degli scacchi. Nella mia mente rimane indelebile il ricordo di Malagodi ad un Congresso dell’Internazionale Liberale, di cui era Presidente, a Parigi, ospiti del Sindaco della Città Jaque Chirac. Quest’ultimo, durante il suo discorso di saluto, forse per cortesia, disse “noi liberali”. Malagodi lo interruppe e, determinando il gelo attorno, di cui non si diede cura, replicò: “Veramente, Signor Sindaco, lei è un conservatore, cosa diversa da noi liberali.”
Ho ancora molto vivo il ricordo della su espressione soddisfatta, quando festeggiammo nello studio di Palazzo Madama, la sua elezione a Presidente del Senato, come ho altrettanto limpida la dolorosissima immagine della notte in cui, in una sala del Senato, i parlamentari liberali vegliammo la sua salma, a turno sull’attenti ai quattro angoli della bara. Ebbi la consapevole certezza che quel triste giorno avevamo perso l’ultima grande figura del liberalismo italiano.