Il mio saluto ai liberali italiani

Il mio saluto ai liberali italiani

Ho ritenuto necessario riflettere un po’ di tempo, prima di dare una doverosa spiegazione della decisione, dopo tanti anni, di lasciare la segreteria del PLI.

In effetti nel mio ultimo articolo pubblicato su Rivoluzione Liberale, dal titolo “L’amaro declino liberale”, era contenuta gran parte della riflessione che sta a monte di una decisione, non improvvisata, ma a cui pensavo da tempo. La convocazione del XXIX° Congresso da parte del Consiglio Nazionale mi aveva indotto ad attendere fino alla sua celebrazione. Tuttavia, quanto è avvenuto in vista delle elezioni europee, mi ha costretto a rompere ogni indugio.

Dalla sua ricostituzione nel 1997, il PLI,  ha tentato di preservare, oltre alla tradizione storica, politica e morale del liberalismo italiano, anche tutto il suo orgoglio,  nella consapevolezza di essere l’interprete autentico di un pensiero politico, che non ha eguali nella cultura italiana, europea e mondiale. Abbiamo affrontato una serie di prove difficili e di delusioni cocenti, per non parlare della umiliazione di esserci trovati accomunati a forze politiche minori improvvisate, che, nell’ultimo ventennio, andavano sorgendo ogni giorno, tutte prive di radici ideali e di valori da affermare. Non possiamo tuttavia non riconoscere l’errore di aver confidato che, dopo l’orgia del populismo, del cesarismo plebiscitario, del trionfo dei partiti personali e padronali, avrebbe finito col prevalere la consapevolezza che le forze politiche se non sono identitarie, si riducono a meri comitati elettorali, finalizzati esclusivamente alla conquista del potere. In tutti questi anni di commissariamento della politica, non abbiamo smesso di coltivare la speranza che, prima o dopo, i partiti avrebbero riassunto il loro connotato storico, ritornando ad ancorarsi alle rispettive culture di riferimento, mentre quelli con denominazioni di fantasia, legati alla personalità dei rispettivi leader, sarebbero scomparsi. Non è stato così, anzi si è rafforzato il ruolo dei capi carismatici, con  la progressiva, inesorabile scomparsa o trasformazione dei soggetti con una base ideale o comunque stabilmente organizzati. Gli ultimi esempi di tale deriva li rinveniamo nella profonda modifica genetica del PD, che pure vantava una solidissima struttura territoriale, interessi consolidati e antiche solidarietà ideologiche, che derivavano dalla lunga storia del PCI e della sinistra cattolica, oltre che nella meno eclatante, ma altrettanto significativa, liquefazione dell’UDC, come erede della tradizione democristiana moderata.

Le elezioni europee potevano essere l’ultima occasione per restituire un ruolo ad un soggetto politico liberale, che, collegato con il terzo gruppo al Parlamento Europeo, avrebbe potuto rivendicare una coerente linea europeista nel solco della tradizione fondante dell’Unione, presentandosi come alternativa credibile rispetto al dilagante e pernicioso antieuropeismo, ma, allo stesso tempo, critica rispetto a PPE e PSE, responsabili di una politica consociativa germano-centrica. Tale alleanza, fondata sull’oppressione burocratica e sulla protezione degli interessi della parte nordica del continente, ha derubricato il ruolo dell’Europa mediterranea alla stregua di una colonia, cui sono state imposte condizioni inaccettabili. Tra esse, in primo luogo, il principio errato della concorrenza fiscale tra Stati, anziché quello della necessaria convergenza, che ha prodotto un progressivo depauperamento dei Paesi meno progrediti, a causa del trasferimento di molte aziende rilevanti e cospicui interessi verso le aree con minore pressione fiscale e maggiore snellezza burocratica.

Purtroppo l’ALDE, dopo aver deciso di impegnarsi direttamente per una presenza elettorale in Italia, ha dimostrato tuttavia di non aver capito le dinamiche complesse del nostro Paese e si è limitata a rincorrere un risultato elettorale utile, anziché perseguire l’obiettivo di costituire un soggetto politico di sicura ispirazione liberale, che avrebbe potuto, dopo le europee, far sentire la propria voce anche nella delicata partita nazionale.

Trascurando i suggerimenti e le concrete proposte, che venivano da un  partito fondatore, come PLI, l’ALDE ha coalizzato, per comporre la propria lista, forze eterogenee di tradizione dichiaratamente democristiana, come il Centro Democratico di Tabacci, populiste, come Fare dell’ex comunista Boldrin, reazionarie, come il gruppo che fa riferimento a Cristiana Muscardini, e giustizialiste, come i reduci dell’IDV di Antonio Di Pietro. Inoltre, dopo una contraddittoria conferenza stampa, con la proiezione di un video di saluto di Romano Prodi e l’annuncio della partecipazione all’iniziativa di Scelta Civica, è intervenuta una rottura con tale ultima formazione, che, di fatto, ha  determinato le condizioni per presentare due diverse liste nella medesima area politica.

Il PLI ha quindi deciso di non partecipare all‘alleanza promossa dell’ALDE, priva di ogni credibile profilo liberale, ma, al medesimo tempo, di non aderire alla richiesta  di entrare nella lista di SC. Infatti tale movimento, dopo le contraddizioni su cui inizialmente si è costituito ed il lungo travaglio, che ha prodotto contrasti interni e scissioni, tuttavia ha un profilo liberale ancora assai incerto. In ogni caso il PLI non ha voluto contribuire alla divisione in due iniziative concorrenti delle forze del perimetro liberale, destinate entrambe all’insuccesso e, decidendo di non schierarsi, ha denunciato la insensatezza di tale scelta suicida. Personalmente ho ritenuto necessario rafforzare la protesta del PLI con le mie dimissioni, convinto che, aver mancato l’appuntamento delle europee, significa aver posto una pietra tombale su ogni residua aspirazione alla creazione, in tempi brevi, di un soggetto di ispirazione liberale in Italia.

La mia decisione quindi non è stata estemporanea e frutto di una momentanea delusione, ma è derivata dalla convinta certezza che il mio compito era finito, nella speranza che altri, più fortunato, più capace ed altrettanto tenace, possa in seguito riuscire, smentendo il mio odierno pessimismo.

Sento il dovere di ringraziare tutti coloro che mi hanno sostenuto, sovente incoraggiato e che, con discrezione, hanno fatto il loro lavoro, sempre con immutata fiducia nella validità del disegno. Il loro impegno, di fronte alle difficoltà, ha destato la mia ammirazione e, anche se a volte non mi è stato possibile esprimerla, invece ha corroborato la mia volontà, quando, parecchie volte, essa ha vacillato.

Ho avuto il privilegio di trovarmi vicino un piccolo popolo liberale, sostenuto da una grande forza morale, che si è rivelata ancora più significativa, perché laica e, quindi profondamente diversa da quella sorretta dalla fede messianica di coloro che hanno una visione dogmatica dello Stato etico, su cui si fondano le ideologie fideiste. Coniugare la religione del dubbio, delle pragmatica verifica quotidiana, della ragione soprattutto, con la fiducia nell’impianto valoriale e nella funzione sociale del proprio impegno politico, è cosa grande, concessa soltanto a spiriti nobili e forti. Questa meravigliosa squadra mi ha aiutato a superare momenti di scoramento ed a reprimere la voglia di abbandono, che sovente ha rischiato di prendere il soppravvento.

Voglio rivolgere un ringraziamento anche a tutti coloro che hanno ceduto alle ragioni della stanchezza e che, nel tempo, hanno deciso di abbandonare. Quanto essi hanno fatto, rimane nel mio ricordo, tra le pietre del piccolo edificio liberale, che abbiamo insieme costruito in questi anni e che ha rappresentato non soltanto una forma di militanza politica, ma scuola di vita, ancorata ad una rigida linea di coerenza morale laica, e per questo più complessa e difficile da perseguire.

Infine voglio augurare a chi assumerà con rinnovata energia la guida del Partito, più fortuna di quanta non ne sia stata riservata a me, insieme a coloro con i quali ho fatto una lunga e difficile traversata del deserto dell’indifferenza, della caduta dei valori superiori della ragione e dell’etica politica, per subire la insopportabile sufficienza dei nuovi potenti, senza storia, senza radici e, forse, direi spero, senza neanche futuro. Non so, infatti, che prospettiva possa essere quella effimera di un successo, ottenuto senza utopia ed a costo del continuo compromesso, come una religione senza dio.

Spero che, forse per un miracolo, la nostra brutale società della banalità, della superficialità, della vita da bruciare nel quotidiano, venga sopraffatta da un bisogno esistenziale di qualcosa di diverso.

Noi, pur tra amarezze e sconfitte, abbiamo avuto il privilegio di nutrirci ogni giorno alla fonte rigeneratrice della libertà, che ha mantenuto vivi i nostri cervelli, i nostri cuori, le nostre anime, e ci ha concesso di avere  rispetto di noi stessi. Chi si è invece nutrito soltanto della quotidiana razione di odio, di tradimento, di disprezzo, di veleno, in nome di un preteso obiettivo etico, che giustificava qualsiasi nefandezza, prima o poi dovrà fare i conti con una realtà, che lo porterà a disprezzare, prima ancora,   se stesso che le proprie meschine azioni.

La gloria sovente è l’incontro casuale con una circostanza irripetibile, che nel maggior numero dei casi, impone un comportamento obbligato. Nella nostra scelta non vi è stato nulla di casuale, abbiamo voluto essere quello che siamo, perché abbiamo avuto il privilegio di nutrirci di un grande pensiero, che non è solo politico, ma riguarda la morale, l’estetica, la speciale crociana religiosità, la vita stessa. Vivere da liberale è una cosa diversa, più difficile, ma molto più alta rispetto a chi non può godere di tale privilegio. E’ la fede nell’uomo, nella ragione, nella cultura, nelle speranza consapevole, che ciascuno di noi è l’unico costruttore della propria felicità e che essa non può esistere senza il rispetto degli altri, della legge, della concorrenza, del diritto alla uguaglianza dei punti di partenza per i più deboli e dell’analogo diritto di crescere liberamente diseguali, in una società competitiva, ricca di tali diversità, e che sia in grado di coniugarle e armonizzarle come un’orchestra, perché tutte possano contribuire a compiere l’opera d’arte di una vita, degna di essere vissuta, perché  saldamente ancorata a valori e principi immortali.

Tratto da Rivoluzione Liberale

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