Il fallimento della federazione ICPC

Il fallimento della federazione ICPC

Per molti mesi abbiamo insistito perché l’iniziativa federativa, chiamata provvisoriamente ICPC, si desse un assetto organizzativo ed un profilo identitario non equivoco, ampliando il perimetro delle adesioni. Sin dal primo giorno, nel rilevare la eccessiva debolezza strutturale di alcuni dei movimenti voluti tra i fondatori,  abbiamo chiesto di concordare la denominazione definitiva ed i conseguenti vincoli giuridici e statutari del costituendo soggetto federativo. Purtroppo abbiamo riscontrato la resistenza assoluta da parte di Fare, che, allontanatasi dall’iniziale progetto di partecipare alla costituzione di un soggetto unitario  di ispirazione liberale, ha rivelato che come obiettivo primario pensava a quello che continuava a chiamare il “partito che non c’è”, privo di alcun ancoraggio valoriale, ma sempre più simile ai soggetti di stampo  pragmatico e personale, come il M5S e Forza Italia.

Confidavamo francamente che l’orientamento, apparso quasi obbligato, di partecipare alle elezioni per il rinnovo del Parlamento europeo nella lista dell’ALDE, avrebbe agevolato la comune decisione di imboccare definitivamente la medesima strada liberale, anche per quanto concerneva le decisioni di carattere nazionale, cominciando dalla nuova denominazione. Molte altre associazioni, gruppi o soggetti politici, sarebbero stati disponibili, e lo sono tutt’ora, ad unirsi a noi nello sforzo di rendere  tangibile e prevalente, all’interno della lista europea, la componente di ispirazione liberale e di fare la propria parte per superare lo sbarramento previsto  dalla legge elettorale, anche in vista di quelli analoghi che si profilano per le prossime elezioni nazionali dopo l’accordo Renzi-Berlusconi, attualmente all’esame del Parlamento.

Dal momento che gran parte degli aderenti a Fare, probabilmente la maggioranza, si definiscono liberali, non sappiamo se, per ragioni prevalentemente connesse al  carattere decisionista di alcuni uomini di vertice o per più concreti motivi di dissenso, i nostri molti inviti ad un definitivo chiarimento, abbiamo sempre ricevuto risposte negative, talvolta arroganti. Ci siamo chiesti persino se vi fosse qualche buona ragione, a noi oscura, come la prospettiva di altre intese con gruppi e formazioni incompatibili con la tradizione del pensiero liberale. In tutta franchezza, non si sono palesate ipotesi simili.

Se, quindi, il rifiuto di assumere la connotazione liberale, era soltanto quella di voler promuovere l’ennesimo partito prêt a porter , fondato sulla facile demolizione della casta  e sulle convenienze del giorno dopo giorno, la nostra preoccupazione, è divenuta via via maggiore. Tale atteggiamento, infatti, ha caratterizzato la vocazione tipica dei partiti senza idee, sorti nella Seconda Repubblica, che hanno prodotto una classe dirigente culturalmente inadeguata, costituita prevalentemente da opportunisti e volta gabbana.

Il rigoroso richiamo alle radici culturali e la loro orgogliosa difesa, invece, rappresenta l’unico argine morale alla politica dell’ultimo ventennio, fatta di improvvisazione, clientelismo, carrierismo e qualunquismo, come rivela il desolante esempio di quanto avviene anche in questi giorni nelle aule parlamentari e negli squallidi dibattiti televisivi, che ci vengono proposti ogni sera.

La dissoluzione del progetto federativo ICPC produrrà un’impressione negativa in tutti coloro che avevano guardato a tale novità con qualche speranza, anche perché non sarà facile darne una convincente spiegazione e finirà con l’apparire come effetto di uno scontro tra gruppi dirigenti. Di fronte alla dilagante approssimazione, tipica di tutti i partiti presenti in Parlamento e di quelli che sorgono ogni giorno, può apparire impossibile, infatti, che esistano ancora soggetti come il PLI, rigorosamente ancorati a solide radici di pensiero e ad un insieme di valori, considerati come il proprio profilo essenziale e non negoziabile.

Siamo consapevoli tuttavia che la nostra visione, anche se ad una osservazione superficiale  può apparire come un’ utopia, è invece l’unica, concretissima strada per offrire  alle nuove generazioni, in un Paese alla deriva, una speranza di futuro, fondata sulle proprie forze e non sull’attesa messianica dell’intervento pubblico. La “rivoluzione liberale” consiste nella liberazione dalla morsa burocratica e dal taglieggiamento fiscale per creare condizioni di concorrenza e ristabilire il primato della cultura, della fantasia, del genio italiano, rispetto alle illusioni clientelari di uno Stato onnipresente, che, con i suoi costi insostenibili, ha prodotto un debito pubblico enorme, depresso l’economia e causato chiusure di aziende, fallimenti, delocalizzazioni e disperazione.

Il declino, che sembra inarrestabile, non si ferma con le sterili proteste e le manifestazioni incivili di un’antipolitica senza idee, né ponendosi come debole tentativo di imitazione maldestra di un grillismo non violento e senza parolacce. Bisogna invece recuperare un forte spirito identitario e creare le condizioni per un nuovo Rinascimento, investendo sulle straordinarie capacità di un popolo, che purtroppo non si sente abbastanza Nazione, tanto da agire con la necessaria determinazione e con volontà unitaria. Come in guerra, (e quella in atto contro la più grande crisi economica dell’Italia moderna è tale) si possono chiedere sacrifici, ma in nome della speranza di una vittoria. Questa può essere legata soltanto al completo superamento di un pernicioso statalismo assistenziale mortificante, scommettendo su una società aperta, con un welfare completamente diverso, inteso come diritto dei più deboli. Al medesimo tempo bisogna avere il coraggio di non arruolarsi tra gli ultimi nostalgici del socialismo reale all’italiana,  scegliendo di combattere il privilegio di quelle corporazioni,  abbarbicate  al proprio potere di veto e che tendono a perpetuare un immobilismo senza fine. La strada liberale è quella di promuovere un forte clima competitivo, in cui contino il valore, l’alta formazione, la concorrenza, l’efficienza, per poter crescere liberamente in una società di diseguali.

Tutto questo avremmo voluto fosse “In cammino per cambiare”. Siamo delusi per la paura di aver coraggio dimostrata da alcuni di coloro con cui abbiamo condiviso un tratto di strada, ma non ci arrenderemo solo per la loro diserzione. Porteremo avanti il progetto, unendoci a coloro che in questi mesi hanno mostrato di condividere la necessità di un allargamento dell’area liberale ed hanno con noi espresso la convinzione che possono esistere aree di ascolto della nostra innovativa proposta..!

Tratto da Rivoluzione Liberale

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