Il dominio della violenza
Se la campagna elettorale amministrativa si era conclusa all’insegna delle invettive, degli insulti, degli attacchi personali, quella per i ballottaggi, in termini di scompostezza e volgarità, se possibile, sta andando anche oltre. Ormai siamo alle minacce, agli anatemi, alla minaccia di far sentire tintinnio delle manette, insieme alle promesse di vantaggi assurdi a spese dello Stato, come la riduzione della TARSU in un determinato Comune o il trasferimento al di fuori della Capitale delle Sedi di Ministeri, che, nell’anno del centocinquantesimo anniversario della fondazione dello Stato, suona offensivo e pericoloso per l’Unità Nazionale.
Il PLI è consapevole del proprio ruolo di minoranza, anche per l’insuccesso elettorale delle proprie liste e dei propri candidati, con la sola eccezione di Cosenza, dove il Partito, pur raggiungendo un modesto 1,55%, ha conquistato una rappresentanza in Consiglio. Tuttavia ha responsabilmente deciso di non sostenere al ballottaggio né i candidati della destra, né quelli della sinistra. Le modalità con cui si sta svolgendo lo scontro guerreggiato tra loro, conferma la giustezza di tale decisione.
Stiamo assistendo ad una riffa da strapaese in cui, senza che emerga una differenza di profilo culturale o una contrapposizione sul tipo di amministrazione da dare alle città, ciascuna delle parti propone iniziative che costeranno alla comunità, per dare il modesto beneficio di qualche posto pubblico e scippare qualche consenso. Inoltre, con un manicheismo inaccettabile, la destra, rivelandosi razzista e xenofoba, ammonisce che, se vincesse l’altra parte, a Milano dilagherebbero Minareti e Moschee. Per noi liberali laici, sovente agnostici, tuttavia convinti propugnatori della libertà religiosa, semmai, questa sarebbe una buona notizia, per garantire un po’ di pluralismo in materia di fede e per essere certi che gli immigrati mussulmani possano avere un luogo dove praticare il proprio culto, evitando di essere risucchiati dai gruppi estremisti, che potrebbero far leva sulla discriminazione religiosa.
A Napoli, dall’altra parte, si utilizza, come strumento di propaganda, l’intimidazione dell’uso della via giudiziaria contro gli avversari, come mezzo per trasformare la città in una comunità etica. La stampa, salvo rare eccezioni, guazza in questo brodo acido di volgarità, minacce e ritorsioni ed amplifica i ruvidi insulti di Bossi e le insinuazioni di De Magistris, senza sollecitare i contendenti a precisare invece quali siano le differenze programmatiche per il futuro di Milano o di Napoli, parlando delle proprie idee sull’Expo e su chi dovrà assumerne la responsabilità, sul disastro dei rifiuti a Napoli e su chi e come dovrà finalmente risolvere il drammatico problema.
Tutto questo spiega perché i liberali, che non accettano questo metodo di scontro politico, sono minoranza. La violenza ha preso il posto della tolleranza, l’invettiva quello del ragionamento, l’accusa senza appello quello del doveroso garantismo.
D’altronde dal civile mondo anglosassone, al quale ci rifacciamo spesso come modello di democrazia liberale, in queste ore, non ci vengono segnali incoraggianti.
La gogna mediatica, senza pietà e rispetto per la dignità umana, cui è stato esposto a New York, Dominique Strauss Kahn, per un liberale, è qualcosa di raccapricciante.
Indipendentemente da ogni considerazione sulla sua colpevolezza o meno, la impietosa ostentazione delle immagini di un potente, ridotto nelle condizioni in cui lo abbiamo visto, di fronte ai teleschermi di tutto il mondo, rappresentano il segno di un cinismo puritano, che, a danno della civiltà giuridica, finirà col favorire la carriera politica di un aggressivo rappresentante della pubblica accusa, figlio di un ex Segretario di Stato. Tutto questo contrasta con le regole di rispetto della persona umana, che impedirebbero di mostrare il volto provato dell’accusato, le sue manin tremanti, i suoi polsi in catene, il suo sguardo perduto nel vuoto, trasformando il processo in uno spettacolo mediatico, dove sono assenti la pietà e l’umano rispetto, che si imporrebbero anche per il più feroce ed incallito delinquente abituale .
Certamente se l’ex Direttore generale, costretto a dimettersi in cambio della speranza degli arresti domiciliari, avesse commesso il crimine del quale viene accusato, il suo caso rientrerebbe più nel campo della patologia, che in quello giudiziario. Pensate ad un uomo che si trova casualmente in una camera d’albergo una cameriera di colore ed all’istante l’ assalta per stuprarla. E’ una cosa normale? Nessuno è stato attraversato dal dubbio, anche come semplice ipotesi, che, avendo egli potenti nemici, una organizzazione molto forte avrebbe potuto corrompere la cameriera, inducendola a provocare DSK, magari conoscendone la debolezza per l’altro sesso, allo scopo di distruggerne la reputazione, farlo dimettere dal FMI e metterlo fuori dalla corsa per l’Eliseo, nella quale sarebbe stato l’unico concorrente temibile per Sarcozy? Non è possibile che la stessa mente che avrebbe potuto organizzare il complotto, sarebbe stata in grado di orchestrare, grazie a delle complicità, la campagna mediatica?
Il becero puritanesimo americano, a sua volta, ha trasformato, un caso di squallida cronaca giudiziaria, o una montatura con lo scopo di tendere un agguato ad un uomo scomodo, in uno spot in mondovisione, per soddisfare gli assatanati moralisti di tutto il mondo, i difensori per definizione del presunto sesso debole, in realtà incolti sessuofobi, in cerca di sbattere il mostro in prima pagina nella loro campagna femminista a tutti i costi, calpestando la privacy di chiunque.
Con queste parole non intendiamo commettere l’errore eguale e contrario di assolvere DSK, non avendo alcun elemento di prova in tal senso. Intendiamo sollevare un dubbio, che le circostanze legittimano, con lo scopo di denunciare una violenza mediatica insopportabile ed illiberale, che tende a spettacolarizzare tutto, negli USA, come in Italia, dimenticando che la condizione prima per poter esercitare con serenità il compito difficilissimo e terribile di giudicare, è la serenità, insieme al rispetto, sempre, della dignità umana. Come siamo insorti, purtroppo inascoltati, contro i processi mediatici di Cogne, Avetrana, Meredith ed, oggi, di Melania, facciamo altrettanto per il caso americano del Tribunale di New York, che se dovesse risultare un complotto, assumerebbe profili molto più gravi.
Sembra che non abbiano alcuna relazione i ballottaggi di domenica prossima con il caso di Strauss Kahn. Non è così. Una società violenta nel confronto politico, come nella rappresentazione mediatica degli episodi della cronaca giudiziaria, è egualmente illiberale. Fino a quando sarà così, saremo condannati ad essere minoranza assoluta, sepolta sotto una coltre di silenzio, perché caratterizzata dalla pericolosa voglia, politicamente scorretta, di non omologarsi al pensiero unico dominante. Ma non ci cambierà nessuno. Rimarremo degli inguaribili eretici.
Stefano de Luca