Idee per una equa riforma fiscale

Dopo una miriade di annunci ed altrettante polemiche, il Governo ha varato un decreto compromesso, che inasprisce alcune tariffe e prevede altri costi sui cittadini, ma scarica la parte più consistente della manovra per arrivare al pareggio di bilancio imposto dalla UE, al biennio 2013/2014. Sul piano fiscale, invece, si è limitato ad una delega, praticamente in bianco, al Ministro dell’Economia. Il dibattito rimane dunque aperto. Vogliamo, pertanto, doverosamente esprimere un punto di vista liberale molto pragmatico.

Qualunque riforma fiscale in Italia non può prescindere da una analisi dei settori in cui maggiormente si annida l’evasione, al fine di allargare la base imponibile, colpendo in primo luogo i cespiti che oggi sfuggono alla tassazione.
In primo luogo si tratta di rafforzare l’attività di contrasto del riciclaggio da attività illecite e di rendere più trasparenti e controllabili le transazioni verso l’estero, principalmente con Paesi che sostanzialmente rappresentano paradisi fiscali per gli evasori, al fine di scoprire operazioni estero vestite, che sottraggono materia imponibile alla fiscalità italiana.

Inoltre vi sono una miriade di prestazioni, principalmente di piccole ditte o singoli artigiani, professionisti e commercianti, che normalmente vengono regolate in nero. Il percettore evade totalmente per la somma ricevuta ed il fruitore risparmia l’IVA. Sarebbe quindi necessario creare un contrasto di interessi, consentendo, a chi ha ottenuto la prestazione, il recupero, come detrazione, di una somma superiore all’entità dell’aliquota IVA. Ciò determinerebbe che una delle due parti avrebbe interesse a far emergere una più ampia base imponibile. L’effetto immediato, per quanto concerne la imposizione indiretta sarebbe leggermente negativo, ma, in compenso, emergerebbe il reddito imponibile IRPEF riferito alla prestazione principale. In una società di massa, l’autoaccertamento, attraverso il contrasto di interessi, è l’unica forma possibile per fare apparire redditi, che altrimenti rimarrebbero occultati. Basterebbe quindi introdurre, come in altri Paesi, un sistema di detrazioni, limitato in un primo tempo, ai settori ove l’evasione è più diffusa.
Dopo qualche anno, gli studi di settore, aggiornati con i risultati del nuovo sistema, potrebbero produrre l’auspicato effetto permanente di ampliamento del gettito complessivo.

Per quanto concerne gli aspetti più generali della riforma, bisognerebbe alleggerire il prelievo sui redditi da lavoro, non soltanto quelli inferiori, come alcuni sostengono, ma anche quelli più elevati, dove, per l’eccessivo carico, si annidano più facilmente l’elusione o l’evasione. Le tre nuove aliquote, di cui si parla, non dovrebbero superare , rispettivamente, il 20, 27 e 35%. Quelle attuali, oltre ad essere espropriative, vessatorie e stimolatrici dell’evasione, riducono l’interesse a produrre, con una tendenza all’erosione della base imponibile.
Lo stesso principio vale per la tassazione dei redditi d’impresa, che è troppo elevata (oltre il 70%). Pertanto scoraggia nuovi investimenti e riduce l’interesse all’ampliamento del giro di affari. Inoltre molte aziende soffrono per il mancato allineamento tra bilancio civilistico e bilancio fiscale, col risultato che, sovente, nonostante un risultato in perdita, sono costrette a versare ingenti somme all’erario, portando inesorabilmente l’attività verso la bancarotta. Basterebbe una indagine in tal senso durante l’attuale periodo di crisi, per rendersi conto del fenomeno, ormai diffuso, di fallimenti per debiti verso l’erario. Altro che stimolo alla ripresa!
Per le imprese, inoltre, come per i singoli contribuenti, il problema principale è quello della semplificazione degli adempimenti, che comportano notevoli costi amministrativi e di consulenze professionali. Inoltre un fisco semplificato sarebbe senz’altro più trasparente.

Le verifiche della Guardia di finanza, nonostante quanto è contenuto in una direttiva del Direttore Generale dell’Agenzia delle entrate, sono troppo invasive. Esse, sovente, si limitano a rilievi opinabili sotto il profilo giuridico o del tutto infondati, che appaiono finalizzati, a scopo di propaganda, a divulgare presunti esiti favorevoli per l’amministrazione finanziaria, mentre producono soltanto un contenzioso tributario enorme e quasi nessuna resa per le casso dello Stato, perché basati su presupposti errati. Si dovrebbero invece predisporre dei modelli accertativi semplificati con lo scopo di moltiplicare per cento o per mille il numero delle verifiche. Questo farebbe sentire tutti i contribuenti più controllati, ed eviterebbe, come avviene oggi, la permanenza delle Fiamme Gialle per mesi negli uffici delle aziende, che risentono negativamente di tale invasiva presenza. Solo nel caso in cui emergessero elementi significativi di sospetto, oltre il termine massimo di una settimana lavorativa, potrebbe essere inoltrata al comando territoriale superiore o all’Agenzia delle Entrate, la richiesta motivata di accertamenti più approfonditi. Tale passaggio, tra l’altro, eliminerebbe molti sospetti su verifiche vessatorie ed eventuali ipotesi di corruzione.

Per quanto concerne le rendite finanziarie, dovrebbero essere tassate, con aliquote più elevate, le operazioni che, complessivamente, nell’arco dell’anno tributario, avessero prodotto plusvalenze, detraendo eventuali operazioni in perdita.

Infine va spostata la parte di prelievo, oggi gravante sui redditi di impresa e di lavoro, che verrebbe sgravata dalla riduzione delle aliquote, sulle imposte indirette, sia quindi sulle accise, anche se già molto elevate, che, principalmente, sull’IVA. E’ indubbio che tali imposte gravano in maniera uguale su tutti i contribuenti e che quindi verrebbe parzialmente meno il principio della progressività dell’imposizione, ma tale obiezione potrebbe essere superata con una differenziazione delle aliquote tra beni di largo consumo e beni di lusso. Ogni altra soluzione finirebbe col deprimere ulteriormente l’economia e la produttività, scoraggiando la necessaria creazione di nuovi posti di lavoro.

Deleteria sarebbe ogni ipotesi di patrimoniale, che, per essere efficace, dovrebbe colpire tutte le proprietà immobiliari, anche quelle minori. Essa avrebbe quindi un effetto espropriativo e scoraggerebbe la tendenza degli italiani a sacrificarsi per raggiungere l’obiettivo di avere la casa di proprietà. All’uopo è appena il caso di ricordare che la positiva vocazione verso l’investimento su tale bene durevole, ha bilanciato, nella valutazione della situazione economica complessiva del nostro Paese, l’effetto negativo dell’enorme debito pubblico.
Ogni riforma fiscale deve essere improntata a criteri di equità e ragionevolezza. Se con coraggio, ma anche con fiducia nella bontà della scelta, si intraprendesse la strada semplice sopra indicata, imperniata sull’abbassamento delle aliquote e sulla creazione del contrasto di interessi tra i contribuenti, si otterrebbe l’effetto di un drastico abbattimento della evasione. Infatti è noto, secondo il cosiddetto paradosso di Laffer, che una pressione tributaria troppo elevata, produce, a causa dei meccanismi di difesa che essa stessa genera, una sicura caduta del gettito rispetto al PIL effettivo, come è avvenuto in Italia, ormai progressivamente negli ultimi decenni.

Stefano de Luca

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