Europa in pezzi
La non certo felice conclusione del Vertice dei Capi di Stato e di Governo dei giorni scorsi a Bruxelles, con la decisione della Gran Bretagna di dissociarsi, era in effetti già scritta sin dai tempi del Trattato di Maastricht, e, ancor più, dopo il sostanziale fallimento della cosiddetta Costituzione Europea, solennemente firmata a Roma, poi smentita dai referendum di alcuni Paesi membri e rattoppata a Nizza. Non era infatti immaginabile che il vecchio Continente potesse affrontare una crisi economica, come l’attuale, ancorché all’epoca non prevedibile, ma sempre possibile, avendo rinunciato gli Stati membri ad una quota così importante della sovranità in materia economica e finanziaria, senza che ad essa corrispondesse una analoga cessione di sovranità politica, che imponesse il necessario grado di solidarietà.
L’esito del summit ci dispiace, sia come europeisti che come italiani. Infatti finisce col registrare una significativa battuta d’arresto nel processo di costruzione europea e rafforza l’ipotesi di un Eurogruppo a guida franco-tedesca, con una ulteriore area a 27, prossimamente a 28 con l’ingresso della Croazia, con un vincolo politico più debole, nel cui contesto, il ruolo dell’Italia sarà sempre più marginale.
In effetti il processo di integrazione sconta due errori fondamentali: 1) l’eccessiva fretta di procedere all’allargamento dell’UE alle nuove nazioni dell’Est, nate dal disfacimento del blocco sovietico; 2) il non aver previsto, come condizione essenziale per l’istituzione della moneta unica, la piena autonomia della BCE e, sin dall’inizio, tutti i vincoli necessari alla convergenza delle politiche economiche e di bilancio degli Stati aderenti.
La scelta di aver consentito di procedere sulla strada sbagliata della concorrenza fiscale fra Stati, è risultata contraddittoria con gli obblighi di convergenza e di contenimento dei deficit statali, in assenza peraltro dell’ammortizzatore di una autonoma Banca Centrale con i poteri della FED in America.
Correre ai ripari con la tardiva decisione di imporre oggi una politica economica unitaria, significa affidare alla Germania tale ruolo per l’intera zona Euro ed allontanare la Gran Bretagna, che invece avrebbe potuto avere interesse a trovare elementi d’intesa con il nostro Paese per evitare la guida franco-tedesca dell’UE.
Dall’accordo-disaccordo all’alba di venerdì, forse, emergerà il salvataggio dell’Euro. In tal caso Cameron pagherà cara la sua decisione di non allinearsi.
Se invece la moneta unica dovesse continuare a traballare, il disimpegno britannico, potrebbe preludere ad una progressiva decomposizione del complesso mosaico europeo e dar luogo ad una Europa a due o a tre velocità o, persino, alla rottura dei patti contenuti nei Trattati. In tal caso l’Italia rimarrebbe in mezzo al guado, non potendo avvantaggiarsi, come è stato in questi ultimi anni, dei benefici di una moneta forte e di una conseguente bassa inflazione. Finirebbe, quindi, col fare da vaso di coccio tra quelli di ferro, a causa del proprio grande debito statale, di una spesa pubblica eccessiva e di un sistema produttivo al collasso.
Un simile deprecabile evento troverebbe inoltre il nostro Paese indebolito da ben tre pesantissime manovre nel giro di sei mesi, incentrate, quasi per intero, sul fronte dell’aumento della pressione fiscale e quindi non più ragionevolmente in condizione di chiedere altri sacrifici ai contribuenti, mentre né la BCE, né l’ EFS, (European Fund Stabilization), né l’FMI hanno assunto alcun concreto impegno per una linea di credito di almeno 800 miliardi, tanti quanti ne servirebbero per rispettare l’impegno di rientrare nei parametri di debito pubblico, imposti dal trattato di Maastricht.
Siamo stati accusati di euroscetticismo quando sostenemmo che, alle condizioni subite da Prodi e Ciampi, il nostro ingresso nella moneta unica e con quel tasso di cambio, sarebbe stato un errore. Purtroppo avevamo ragione!
Oggi apprendiamo dal Prof. Paolo Savona, Presidente del Fondo Interbancario di tutela dei depositi, che durante l’estate, nei giorni di massima preoccupazione per l’Euro e per le sorti dell’economia italiana, Tremonti, allora Ministro dell’Economia, aveva fatto studiare una sorta di Piano B, che prevedeva l’uscita dell’Italia dalla Moneta Unica e le relative conseguenze, che si sarebbero potute determinare. Purtroppo tale rischio non è del tutto scongiurato ed avrebbe conseguenze disastrose.
Una così grande incertezza deriva dalla debolezza dei trattati con i quali si è costruita l’attuale UE a 27 e si è arrivati alla creazione della moneta unica. L’errore di fondo è stato quello di subire l’impostazione franco-tedesca di una Europa basata sulle Nazioni e conseguentemente sulle decisioni dei Consigli fra Stati, cui si è accodata la Gran Bretagna, che, per la sua tradizione isolazionista, non ha mai gradito vincoli eccessivi.
Si sarebbe, invece, dovuto puntare su una Europa federale, geograficamente meno estesa, ma a forte caratura politica, come era nel disegno di Altiero Spinelli e nello spirito iniziale di De Gasperi, Adenauer, Schuman, Spaak, Martino e degli altri fondatori. Senza cessione di sovranità in politica estera, di difesa, di ordine pubblico ed in campo economico e monetario, bisognava capire che, di fatto, si sarebbe creata niente più che un’area di libero scambio, con un grande apparato istituzionale e vincoli eccessivamente pesanti per le Nazioni più deboli, ma non si sarebbero mai costituiti gli Stati Uniti d’Europa.
Il risultato è dinnanzi ai nostri occhi. Aver accettato la politica dei piccoli passi, finendo col cedere alle pressioni di banchieri, ragionieri e burocrati e rinunciando al respiro più ampio del disegno dei fondatori, ha prodotto un organismo fragile, con un Parlamento con funzioni solo decorative e che è andato in crisi di fronte alla prima difficoltà. Paradossalmente nel lungo periodo, comunque vada, il prezzo più alto finirà col pagarlo la Germania a causa delle sue incertezze e dei suoi timori, che derivano dal perpetuarsi dello spettro di Waimar.
Speriamo di sbagliarci, ma non siamo affatto ottimisti alla luce degli errori compiuti, che hanno portato l’Europa, prima, ad essere travolta da una crisi finanziaria che non aveva prodotto e, dopo, a non saper trovare la indispensabile unità sulle decisioni per uscirne.
Tratto da Rivoluzione Liberale