Elezioni amministrative. E dopo?
Le elezioni amministrative hanno plasticamente rappresentato il passaggio da una fase politica ad un’altra, con due scontri separati, che hanno occupato il campo: quello tra i vecchi partiti della Seconda Repubblica che, con una rappresentazione un po’ patetica di sé stessi, si sono beccati come i capponi di Renzo, consapevoli, o forse peggio, inconsapevoli di essere destinati tutti a morire. Allo stesso tempo ha cercato di venir fuori il nuovo, che ancora non c’è, ma che si è manifestato con una massiccia astensione, senza precedenti e con il voto alle liste di Grillo, che hanno persino conquistato il ruolo di sindaco nella Città di Parma.
IL PD con la Elle è uscito schiacciato ed ha decisamente imboccato la strada del suo definitivo declino, come è avvenuto perla Lega. Quello senza Elle risulta altrettanto ferito a morte, ma si esalta per il maggior numero di amministrazioni conquistate, sia pure con molti meno voti, sol perché, cancellato il suo avversario, giocava sostanzialmente da solo in un terreno pressoché vuoto nell’altra metà. Si è trattato di vittorie per una sorta di abbandono del campo da parte dell’avversario: quindi sostanzialmente non reali successi, in grado di legittimare il ruolo, che pure esso ancora rivendica, di partito perno dell’alleanza di centro sinistra per le prossime elezioni politiche.
Non è il caso di soffermarsi troppo a lungo a parlare dell’evidente smacco subito a Palermo col trionfo di Orlando, che ha umiliato il ragazzino presuntuoso candidato dal PD, dopo aver sbaragliato, al primo turno, il candidato di Alfano e Casini ed aver messo fuori gioco quello del terzo polo, complice anche il tradimento di Lombardo, che così tuttavia ha segnato la sua fine. Il segno più evidente di tale debolezza risalta attraverso quanto, pur apparendo come una vittoria, il PD ha dovuto subire aGenova, come prima a Napoli, a Milano ed anche a Cagliari e Bari, da candidati imposti dall’esterno, che hanno prevalso, in quanto segno di discontinuità dal potere burocratico di un partito, che è rimasto sostanzialmente postcomunista, quantomeno nella sua struttura interna, rappresentata dalla presenza delle cooperative rosse e dal controllo di esse sul partito. In sostanza, la coda del campionato di ieri (che è comunque finito) è stata vinta dal PD, che tuttavia appare altrettanto fuori dal prossimo campionato, come gli altri soggetti dell’ultimo ventennio.
Anche l’UDC ha giocato sull’equivoco di alleanze variabili, magari in comuni limitrofi, una volta insieme al PDL, un’altra al PD ed un’altra ancora al Terzo Polo, salvo poi seppellire quest’ultimo, senza neanche averlo effettivamente tenuto a battesimo. Infine ha bluffato parlando di un proprio scioglimento, che non è avvenuto, poiché il vero progetto è l’OPA su un PDL, magari formalmente affrancato dallo stretto controllo berlusconiano, per fare la sezione italiana del Partito Popolare Europeo.
Ma, come con la monarchia (mort le roy, vive le roy), morta la politica rinasce la politica, o almeno così dovrebbe essere, anche se ci rende pessimisti quanto è avvenuto nel recente passato: anziché promuovere la nascita di partiti veri, con contenuti culturali e progetti, la superficialità italiana ha permesso che avessero grande successo soggetti padronali o comunque personalistici, senza idee od identità, o, forse peggio, movimenti reattivi, rivendicazionisti, giustizialisti o populisti e qualunquisti, come la Lega l’IVD o, recentemente, Cinque Stelle.
Nella speranza, per altro vana, di cercare di sopravvivere, i soggetti rappresentati in Parlamento cercheranno, probabilmente senza riuscirvi, di realizzare una legge elettorale a propria immagine e somiglianza, che finirebbe col rendere ancora più difficile la costituzione di un Governo stabile ed omogeneo nella prossima legislatura, consegnando il Paese ad una situazione di tipo greco, con un Parlamento incapace di mettere insieme una maggioranza, ancorché eterogenea.
Come l’astensione dal voto non è una soluzione, non lo è il consenso a Grillo. Nulla di grave che ciò sia avvenuto alle elezioni amministrative. Probabilmente il Sindaco di Parma, impegnandosi, risulterà un ottimo sindaco. Per amministrare una Città, anche di medie dimensioni come Parma, può bastare il buon senso, una valida squadra di collaboratori e la cooperazione delle forze produttive e di quelle radicate nel sociale.
Governare il Paese è un’altra cosa: sono necessarie conoscenze, esperienze, progetti, idee, cultura, affidabilità internazionale, alleanze, capacità di coinvolgimento, solidi rapporti con il mondo produttivo e con il tessuto sociale ed economico diffuso. Bisogna conoscere la macchina amministrativa dello Stato, per non rimanere avviluppati nella ragnatela della burocrazia, bisogna essere liberi da condizionamenti ed avere coraggio per estirpare gli affari, il malaffare e le infiltrazioni delle organizzazioni criminali, che a volte si insinuano in forme così sottili e sofisticate da sfuggire ad occhi poco esperti.
Con molta probabilità un contesto così confuso ed un Parlamento così incerto e delegittimato finiranno con l’impedire qualsiasi riforma elettorale, producendo ulteriore impopolarità del Palazzo nei confronti di un elettorato già enormemente sfiduciato.
Il dovere di tutte le forze liberali e riformatrici, in un simile contesto, sarebbe quello di riunirsi in un unico soggetto, superando antiche divisioni, come quelle tra laici e cattolici, certo non per rifare la DC, ma per offrire una alternativa centrista fondata su principi e idee liberaldemocratiche per ridurre l’invadenza dello Stato al minimo, chiudere la pagina del clientelismo, rilanciare la ricerca e valorizzare i saperi, abbandonare l’avventura dello Stato imprenditore e privatizzare per ridurre il debito pubblico, alleggerire la insopportabile pressione fiscale, perché in forma meno oppressiva possano pagare tutti, dare una forte spinta, anche col sostegno dell’Europa, agli investimenti per creare crescita ed occupazione.
Potersi confrontare su questi temi in una campagna elettorale serena, senza rischi di atti violenti che ne possano turbare lo svolgimento e con una par condicio effettiva per tutti, evitando, anzi vietando, manifestazioni di opulenza, (sia realizzate con il vergognoso finanziamento pubblico, che attraverso grandiosi finanziamenti privati da parte dei padroni dei partiti) che offendono chi non arriva neppure alla terza settimana del mese. Un tale cambiamento di costume e di etica pubblica, potrebbe avviare un processo di riconciliazione nazionale ed assicurare una maggioranza politica nel nuovo Parlamento, in seno al quale la folcloristica presenza di una pattuglia, anche nutrita, di grillini, ancorché non utilizzabili per quanto di urgente e necessario si impone al Paese, non costituirebbe un pericolo, ma soltanto un avvertimento dell’umore nero degli italiani per stimolare meglio le forze politiche più responsabili.
Tratto da Rivoluzione Liberale