Dopo l’esito del referendum, il baratro
Non sono andato a votare perché non mi riconosco nel clima di scontro, creato dal berlusconismo e che si è accentuato nella sua fase crepuscolare. Gli italiani, ignorando del tutto il contenuto dei quesiti referendari, hanno votato soltanto contro il Premier ed il suo Governo.
Determinare un clima di odio e conflitto sociale istintivo ed irrazionale, produce le conseguenze, cui abbiamo assistito: prima il trionfo populista di un leader, poi la sua caduta verticale. La popolarità è una medaglia a due facce, il cui rovescio non è il declino, ma l’impopolarità. Purtroppo l’interessato si rifiuta di capirlo, col rischio di lasciare solo macerie e di venir rinnegato, dopo il tonfo, nello stesso modo in cui lo fu Mussolini, che pure era stato osannato, a sua volta, ancora maggiormente.
Ero e resto nuclearista e ritengo che aver votato contro la riapertura di una pagina di esplorazione, come in tutti gli altri Paesi industrializzati del Mondo, di una nuova fase di sperimentazione in tale campo, rappresenta, dopo venticinque anni, il secondo, imperdonabile errore. Sono altresì convinto che la scelta referendaria sull’acqua, tutta basata sulla pancia anziché sulla riflessione, segna, nei fatti, il ritorno alla prevalenza di una assurda logica statalista ed illiberale.
Ma agli italiani interessava soltanto dire basta a Berlusconi, assestandogli un altro colpo mortale, dopo quello delle amministrative. Con una faccia tosta degna del personaggio, quest’ultimo ha negato, e disciplinatamente lo hanno seguito gli altri esponenti di vertice del suo partito, ogni conseguenza sul suo Governo; ma ormai è chiaro a tutti che il suo percorso politico è finito.
Sarà la Lega, opportunista ed egoista per definizione, a mollarlo. Non ha scampo. Ogni tentativo di resistenza farà male soltanto al Paese, che avrebbe diritto di uscire da una logica di scontro, per avviare seriamente una fase di necessaria ripresa, in sintonia con l’Europa ed il Mondo Occidentale, con cui, finché resisterà Berlusconi, ogni ipotesi di collaborazione, deve considerarsi esclusa. Tra le altre responsabilità, il Presidente del Consiglio potrebbe portare quella di finire col consegnare di nuovo l’Italia ad una sinistra, di cui istintivamente il Paese non si fida, poiché non ne condivide l’anacronistico progetto statalista e vetero-sindacale. Prodi sta già scaldando i muscoli per tornare a Palazzo Chigi o, peggio, al Quirinale.
Tutto questo non è impossibile se si pensa che la resistenza ad oltranza della attuale maggioranza parlamentare, minoranza nel Paese, potrebbe finire col rendere l’alternativa l’unica strada praticabile per liberarsi di un Governo, che ha esaurito il proprio credito di fiducia. In un Paese clericale e, nel fondo, democristiano, tutto questo è purtroppo possibile. Vedo invece che lo scorrere del tempo, senza una iniziativa determinata e coraggiosa, allontana la possibilità, che pure esiste tuttavia, di una alternativa liberaldemocratica, che potrebbe essa sola ridare fiducia alle imprese ed assicurare la necessaria ripresa economica ed occupazionale.
Se Berlusconi amasse realmente il proprio Paese, dovrebbe dimettersi e consentire una fase nuova, non perché in modo ripetitivo, e persino patetico, è tornato, ancora una volta, a chiederlo Bersani, ma perché, con un atto di dignità, prima che la Lega gli stacchi la spina, lo stesso Premier, uomo capace di interpretare i sentimenti e le pulsioni popolari, dovrebbe, finché è in tempo, capire la irreversibilità del proprio declino ed assumere una decisione almeno dignitosa.
Per non essere accusato di quello stesso velleitarismo, che attribuisco a Bersani, preciso che il mio è soltanto un ragionamento in nome di una logica elementare nell’interesse della Nazione, di quel campo moderato, al quale tuttavia come liberali apparteniamo e, alla fine, dello stesso Berlusconi.
Dopo quello cui abbiamo assistito, se non si trarranno subito le necessarie conclusioni, per il Paese, la prospettiva non potrà che essere molto oscura.