Diritti Civili, indice della libertà di un popolo

Il riscontro altamente positivo del mio primo articolo che illustrava cosa intende il PLI per Rivoluzione Liberale nel campo dei diritti civili, prima di soffermarmi sulle altre proposte concrete, impone di precisare la cornice ideale e culturale dalla quale inevitabilmente discendono le scelte proposte.

La concezione liberale, sin dai tempi dell’Illuminismo, è sempre stata quella di valorizzare al massimo la libertà individuale, rispetto al dispotismo delle monarchie assolute, prima, e delle ideologie che volevano assoggettare (Nazismo, Fascismo, Comunismo) l’individuo allo Stato, dopo. Anche il Socialismo, sia pure nelle sue forme democratiche, per la propria vocazione verso il primato dell’interesse statale, rispetto a quello individuale, ha finito col subordinare le libertà civili alla prevalenza dell’interesse collettivo.

Sovente si è erroneamente fatta confusione tra liberalismo e conservatorismo, che sono due cose completamente diverse e, quasi sempre, in forte contrasto. Per questo motivo un peronista conservatore come Berlusconi, solo perché ha parlato di libertà economiche, senza peraltro fare nulla per garantirle, è stato scambiato, o ha cercato di accreditarsi, come un liberale. Tale diffusa convinzione ha finito col definire erroneamente come liberali, comportamenti padronali da satrapo orientale. Egli, contraddicendo i presupposti fondamentali dello Stato di Diritto, ha cercato di usare la maggioranza, che aveva ottenuto democraticamente, per esercitare il dispotismo di chi ha vinto le elezioni a difesa dei propri interessi e di quelli dei propri cortigiani, fino ad imporre l’approvazione di leggi corporative e ad personam. Per i liberali una maggioranza (anche se non si trattasse soltanto di una maggioranza parlamentare e corrispondesse ad una analoga proiezione nel Paese), si autodelegittima se tende ad opprimere la minoranza, anche se fosse costituita da un solo cittadino.

Purtroppo tale errata concezione deriva anche dalla confusione tra morale e legge, connesso alla predominanza in Italia del pensiero cattolico. La morale appartiene alla sfera interiore di ciascuno e deve fare i conti soltanto con la coscienza. La legge invece è l’unico limite alla libertà assoluta di ogni individuo, per rispettare quella di tutti e garantire la convivenza civile ed il contratto sociale. Guai quando con la forza brutale della maggioranza si cerchi di imporre per legge, ciò che ad essa non dovrebbe appartenere, perché rientra nella sfera dell’etica, che, invece, è privata e personale.

In questo contesto di insofferenza verso i divieti, tranne quelli strettamente necessari a garantire il neminem laedere, si inserisce la netta difesa di tutto ciò che consente all’individuo di organizzare la propria vita come vuole, di avere i gusti che preferisce, la compagnie che liberamente decide di scegliere.

Ne consegue che come, da un lato, siamo convinti che la legge debba tutelare i diritti dei più deboli, quindi le minoranze, il malato, il disabile, dall’altro, non può non consentire l’uso di cannabis, che non produce alcun danno alla società, alcun allarme sociale, ma è soltanto una libera scelta del singolo, prescindendo dal suo valore terapeutico, indiscutibile in alcuni casi. Il proibizionismo – che è una illegittima interferenza da Stato autoritario nella libertà individuale del singolo, la quale deve essere invece considerata sacra – in una progredita democrazia liberale, appare del tutto anacronistico.

Poiché nell’anno che precede le elezioni, come nel nostro caso, non è possibile percorrere la via referendaria, non vi è altra strada che quella di una proposta di legge, che predisporremo nei prossimi giorni, rafforzata dalla scelta di presentarla come di iniziativa popolare. Si tratterà di istituire cento, cinquecento, o mille gazebo e tavolini in tutte le città italiane e raccogliere, non le cinquantamila firme necessarie, ma almeno cinquecentomila, per fare pressione affinché il Parlamento ne discuta in tempi brevi. Il PLI è pronto a partire e sa di poter contare, per il sostegno popolare durante la raccolta delle sottoscrizioni, su molti volontari entusiasti .

Ed ecco in breve le altre proposte.

Sin dal 1985, quindi non da ieri, mi sono occupato, come relatore alla Camera dei Deputati , della legge sulla legalizzazione della prostituzione. Il lavoro svolto nella nona legislatura, fu da me condensato in una proposta di legge, presentata il 29 luglio 1987, che non venne mai discussa, anche perché, per molti anni, fui impegnato nell’attività di Governo. Più volte l’argomento è stato oggetto di discussione negli ultimi anni, ma non si è mai arrivati ad affrontare la questione concretamente in Parlamento. Sostanzialmente sulle medesime linee si muove il Disegno di Legge, presentato al Senato nel 2008 da Enrico Musso.

La mia opinione è semplice. Ritengo che prostituirsi sia perfettamente lecito, perché rientra nell’ambito della libertà di ciascuno il diritto di usare il proprio corpo come crede, senza distinzioni di sesso e prescindendo dai gusti o dalle inclinazioni, sia etero che omosessuali, indifferentemente. Pertanto, evitando per ragioni di ordine pubblico, buon costume e decoro, che la relativa attività si svolga in strada, ne deve essere ammesso l’esercizio in luoghi chiusi, autorizzati, con avvisi pubblicitari non scandalosi, tassando, sotto il profilo fiscale, il conseguente reddito.

Propongo invece di combattere lo sfruttamento, con pene severissime nei confronti di chiunque cerchi di lucrare sui proventi derivati alla concessione del corpo di un’altra persona, riservando particolare rigore nei confronti dei mercanti di schiave. Certamente non rientra nella fattispecie il caso di chi affitta un locale per esercitare l’attività, purché quanto preteso sia a prezzi di mercato. Il reato di adescamento è ridicolo e va cancellato. Per i casi gravi di pubbliche esibizioni, esiste la norma che punisce l’oltraggio al pudore.

Il PLI intende altresì riprendere il dibattito, che si sviluppò durante la scorsa legislatura e che in quella in corso è stato ignorato, del riconoscimento delle coppie di fatto, ovviamente anche in questo caso, sia etero che omosessuali. Condividiamo in proposito il Disegno di Legge presentato a suo tempo al Senato da Alfredo Biondi. Non siamo favorevoli, anche in questa materia, ad una interferenza dello Stato. Riteniamo infatti che, sempre nella logica di promuovere e far trionfare la libertà di ciascuno, deve soltanto essere previsto un contratto civilistico, a norma dell’art. 230 del codice civile, di unione solidale, redatto dinanzi al notaio e registrato presso un apposito albo civico, che può essere modificato con dichiarazione espressa dei contraenti. Tale contratto non attribuisce uno status familiare, ma riconosce soltanto diritti ed obblighi reciproci, di cui i terzi e gli organi della Pubblica Amministrazione dovranno tenere conto. Da esso non potranno derivare caratteristiche peculiari, come quelle previste dal diritto di famiglia, in materia di adozioni o affidamento di minori. Allo stesso tempo non potranno discendere diritti alla reversibilità di carattere pensionistico o quote di riserva in campo successorio, dove la libertà individuale è garantita attraverso il testamento.

Il tema delicatissimo del fine vita, sul quale alla Camera dei Deputati si sta svolgendo un dibattito ipocrita, che speriamo non si concluda nel modo in cui sembra avviato a causa della prossima, quasi certa, interruzione della legislatura, ruota attorno al principio, garantito costituzionalmente, della libertà soggettiva di ciascuno di curarsi se e come vuole. Si tratta quindi, quando l’individuo dovesse trovarsi in stato di incoscienza, di rispettarne correttamente la volontà, senza gli artifizi di cui è intrisa la mentalità clericale e che si sta, più o meno surrettiziamente, cercando di trasferire nelle contorte norme di legge in discussione. I punti cardine sono quindi due: il rispetto della volontà dell’interessato, comunque espressa ed il riconoscimento che, anche idratazione ed alimentazione artificiali, sono prestazioni sanitarie per tenere in vita un soggetto che abbia, temporaneamente o in forma permanente, perso le proprie facoltà intellettuali.

Ovviamente i diritti civili non si esauriscono nelle cinque proposte che ho succintamente illustrato più sopra e nel mio precedente intervento sullo stesso argomento. I liberali sono impegnati a sostenere le libertà civili nei confronti di tutti i soprusi. Consideriamo per esempio la burocrazia non un potere, ma un servizio. Essa non deve dilagare, anzi essere ridotta all’indispensabile, tenendo sempre conto che il cittadino è il datore di lavoro del burocrate. Se così non fosse tornerebbe ad essere suddito.

Pertanto ci batteremo per il ridimensionamento della elefantiaca burocrazia italiana e chiederemo l’abrogazione del reato anacronistico di oltraggio a pubblico ufficiale, che ha dato luogo a tanti abusi, violando il principio costituzionale di uguaglianza.

Il nostro lavoro spazierà dalle questioni più rilevanti, fino all’abuso della istituzione delle strisce blu di parcheggio sulle strade pubbliche. Pretenderemo l’esenzione dall’obbligo di allegare a qualsiasi istanza certificati, che possano essere reperiti dalla stessa pubblica amministrazione. Chiederemo l’abolizione o il ridimensionamento del potere degli Ordini Professionali ed il riconoscimento del diritto di avviare qualsiasi attività economica senza alcuna autorizzazione, con il solo limite dell’ordine pubblico e del buon costume. Questo elenco è tuttavia indicativo, non esaustivo della ricetta liberale per rendere il nostro un Paese un vero Stato di Diritto moderno.

Intanto cominciamo subito a mettere in campo i gazebo per la raccolta delle firme sulle proposte illustrate nei miei due recenti articoli.

Tratto da Rivoluzione Liberale

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