Dinnanzi al baratro
Di fronte ad un disastro di proporzioni, che vanno ben al di là di ogni ragionevole previsione, l’Italia corre un enorme rischio Paese. Infatti sono ricominciati gli attacchi della stampa internazionale ostile, i raid degli speculatori finanziari, il calo delle borse, l’impennata dello spread.
Il trionfatore Grillo non ha alcun interesse a lasciarsi coinvolgere nel gioco, avendo optato, sin dal primo giorno, per la strategia del tanto peggio tanto meglio. Egli ha, come unico obiettivo, dopo “averli circondati”, quello di ottenere la resa incondizionata dei partiti tradizionali della cosiddetta Seconda Repubblica.
Alcuni di essi hanno scelto da soli la via del suicidio annunciato, accettando le condizioni impossibili di un’alleanza centrista incolore, che evidentemente aveva il solo obiettivo di divorarli e buttarli. Meraviglia che in una simile trappola siano caduti uomini di esperienza, come Casini e Fini, che si sono consegnati al neofita della politica Mario Monti, il quale li ha resi marginali e messi fuori gioco. Quanto è avvenuto nel cosiddetto terzo polo, spiega definitivamente le ragioni del disinteresse a trattare con formazioni liberali, democratiche e riformatrici, di ispirazione laica. Sarebbe stata comprensibile la difficoltà di dialogo con Pannella, afflitto da un egocentrismo nichilista, che lo porta, in genere, dopo una corretta analisi, a preferire sempre la contraddittoria scelta solitaria. Appare invece inspiegabile la decisione di non esperire un tentativo concreto di coinvolgere il PLI e ”Fare per fermare il declino”, partiti con i quali sarebbe stata possibile una intesa, che avrebbe sicuramente allargato il perimetro politico asfittico nel quale si muoveva la Alleanza di Monti. Una coalizione liberalriformatrice, laica e cattolica, avrebbe allontanato il sospetto che si trattasse, come in effetti si è rivelato, di un tentativo di rifondazione della DC, sotto l’egida di una fazione del Vaticano. Provarci avrebbe potuto chiarire inoltre se, anche da parte del movimento di Giannino, come qualcuno ha ventilato, vi fossero analoghi veti di natura massonica. La coalizione centrista ha scelto l’insignificante denominazione civica, priva di ogni attrattiva, mentre avrebbe potuto riscuotere un notevole consenso, se avesse scelto il profilo della novità assoluta di movimento, capace di interpretare fino in fondo la tanto auspicata riforma liberale, mai attuata, perché chi se ne è fatto promotore, in realtà, ha dimostrato di non volerla. I liberali hanno la coscienza a posto: l’hanno proposta a più riprese, fino a subire l’umiliazione di un totale disinteresse e dell’isolamento assoluto.
Anche la ostentata euforia del PD, che derivava da una sovraesposizione mediatica e dagli enormi spazi lasciati dalla frantumazione del PDL, non poteva che risolversi in un disastro inevitabile. In realtà i primi imputati del processo popolare di Grillo erano i partiti di sinistra, cui venivano lanciate accuse di inefficienza, mentre la destra era soltanto l’altra faccia della luna, il nemico di classe, che si poteva erodere, non annientare. Siete circondati, arrendetevi, era piuttosto diretto agli ex compagni della sinistra, che ai borghesi, nemici di sempre.
Aver saputo cogliere questo clima ha consentito la prodigiosa rimonta del Cavaliere, che si è imposto, ancora una volta, come interlocutore necessario e che, per tale ragione, oggi è esposto ad un nuovo attacco giudiziario, considerato dallo sconfitto partito dei p.m. l’unico mezzo per eliminarlo dalla scena politica.
Appaiono assai poco felici le prime mosse di un PD, ferito nell’onore, che, per la terza volta in un ventennio, pur partendo favorito, riesce al massimo a raggiungere un risicato pareggio e, soltanto grazie al porcellum, ad ottenere un premio di quasi duecento deputati alla Camera, che lo favorisce nella delicata elezione del nuovo Presidente della Repubblica. Se fosse guidato da un grande leader e da un gruppo dirigente lungimirante, dovrebbe evitare le infelici battute sullo scautismo e sottrarsi all’umiliazione di una insistita ricerca di collaborazione con Grillo. Costui ha interesse soltanto ad esasperare il clima di ingovernabilità per spingere il Paese, in condizioni di ancora maggiore confusione, a nuove elezioni anticipate, possibilmente con l’attuale legge elettorale, per presentarsi come l’unico rappresentante dell’antisistema e chiedere agli elettori la fiducia necessaria a governare da solo. Un percorso già sperimentato da Mussolini. Le tecniche dei movimenti protestatari carismatici a sfondo autoritario, sono sempre le stesse. Noi italiani, che pur dovremmo conoscerle per le amare esperienza del passato, sembriamo non curarcene.
La strada che, come liberali, indichiamo è la seguente:
I due partiti maggiori, PD e PDL, nell’interesse nazionale, dovrebbero convenire su alcune cose urgenti da fare in modo bipartisan: Governo di grande coalizione affidato a soggetti di elevato profilo, nuova legge elettorale (proporzionale alla tedesca o doppio turno alla francese), eliminazione del finanziamento pubblico dei partiti e taglio drastico di privilegi e costi impropri della politica, profonda sburocratizzazione, eliminazione totale delle Provincie ed accorpamento dei Comuni per ridurli ad un terzo, contenimento del numero degli assessori ed eliminazione delle consulenze, vendita di patrimonio statale per almeno duecento miliardi di immobili ed asset statali e territoriali (cominciando da RAI, Eni, Finmeccanica, Enel, Terna, Cassa Depositi e Prestiti, Poste, Ferrovie, Porti, Aeroporti, Acea, A2a, ecc.) onde ridurre il debito pubblico e contenere il relativo costo degli interessi. Tali smobilizzi consentirebbero l’eliminazione dell’IMU sulla prima casa e dell’IRAP, oltre che, progressivamente, del cuneo fiscale. Inoltre si dovrebbe por mano ad una riforma fiscale, che, avviando il contrasto di interessi per fare emergere materia imponibile, consenta significative detrazioni per alleggerire il carico ai consumatori; inoltre bisognerebbe incentivare, a costo zero, le iniziative che comportino creazione di nuovi posti di lavoro, concedendo agevolazioni fiscali, che non comporterebbero alcuna perdita di gettito, perché si tratterebbe di produzioni oggi inesistenti e quindi di nuova materia imponibile, mentre le disponibilità connesse alla nuove assunzioni potrebbero incrementare i consumi e le entrate IVA.
Una maggioranza con un simile programma, minimo, ma innovativo, potrebbe rimettere in moto l’economia del Paese e restituire una dose di fiducia, senza la quale sarebbe irresponsabile correre l’avventura di andare subito a nuove elezioni. Tra un anno, insieme alle Europee, si potrebbe affrontare una nuova competizione, con una legge più rispettosa dei principi costituzionali e sfidare l’antipolitica sulla base dei risultati.
I liberali, da parte loro, dovrebbero, con generosità por mano ad un progetto di costruzione di un grande soggetto politico di stampo europeo, non limitato al modesto obiettivo di riunione delle disperse forze di coloro che si definiscono tali, e talvolta lo sono poco. Di fronte ad una sinistra, che si presenta settaria ed antiquata ed al declino inevitabile del berlusconismo, potrebbe sorgere una coalizione ampia dei riformatori, che riunisca, ovviamente, i liberali di tutte le obbedienze, libertari, cattolici, laici, appartenenti ad altre religioni e comunità, a partire dagli ebrei e, perché no, da musulmani moderati, buddisti e certamente protestanti, sia calvinisti che luterani, ed anche tanti agnostici, per dimostrare che, dove prevale il principio “libera Chiesa in libero Stato”, senza spazi di prevaricazione per nessuno, la convivenza risulta facile, arricchisce, induce al rispetto ed alla tolleranza, fa dimenticare vecchie polemiche anacronistiche ed apre la strada alla modernità. Da questa esperienza potrebbe nascere un’aggregazione nuova, radicata nel territorio, che potrebbe contrapporsi autorevolmente all’antipolitica in occasione degli appuntamenti elettorali del prossimo anno.
Tratto da Rivoluzione Liberale