Democrazia: ultima trincea

Democrazia: ultima trincea

Con un colpo di mano, che rappresenta un caso unico nella storia parlamentare del nostro Paese e costituisce un precedente gravissimo, la Commissione affari Costituzionali, obbedendo al diktat del duo Berlusconi – Renzi, ha mandato in Aula la proposta di legge di riforma elettorale, senza discussione. Tale atto dimostra come i due leader considerino il Parlamento, nient’altro che un fastidioso impedimento, anziché la sede alta in cui si esprime la sovranità popolare.

L’impianto della riforma, per altro, conferma tale tendenza e si muove nel più assoluto disprezzo per l’opinione degli elettori. I due promotori, con atteggiamento padronale, hanno disegnato un sistema, che, ignorando l’opinione della maggioranza degli italiani, è finalizzato al perpetuarsi del loro potere, escludendo tutte le forze minori, anche alcune in grado di raccogliere milioni di voti, con la tecnica degli alti sbarramenti. Anzi hanno cercato di definire come ricattatorio il ruolo dei partiti più piccoli, che rappresentano invece il sale della democrazia, in quanto ne interpretano il pluralismo e le diverse sensibilità, in coerenza col principio “una testa, un voto”. La Costituzione all’Art. 48, secondo comma, precisa che il voto di ciascun cittadino è personale ed uguale e, quindi, ne estrinseca la libertà di scelta. Il tentativo, quindi, di rendere di fatto inutile il suffragio in favore dei partiti minori, spesso interpreti delle tradizioni di pensiero più importanti, offende la libertà del singolo.

Allo stesso tempo, cancellando persino il ricordo di un infuocato dibattito che aveva definito legge truffa, quella che un cinquantennio fa prevedeva un piccolo premio di governabilità ad una maggioranza che avesse conquistato la maggioranza assoluta dei suffragi, si sono accordati per conseguire il risultato  vergognoso, di una soglia bassissima, (37%) che darebbe diritto ad un vistoso premio di maggioranza. Gli anchormen,  arruolati dalle TV, sia private che del cosiddetto Servizio Pubblico, hanno cercato di dimostrare che il sistema proposto aveva il consenso del 52% degli italiani, senza tenere conto che, proprio quella percentuale, rappresenta la somma delle preferenze dei due partiti maggiori, (PD e Forza Italia) e  fingendo di ignorare l’opinione del rimanente 48%, che si era espresso difformemente, nonché del grande numero di astensionisti. Quindi circa solo un terzo degli italiani sarebbero autorizzati a legittimare un sistema elettorale, che escluderebbe tutte o quasi le altre forze politiche, assegnando un premio di maggioranza enorme ad un singolo partito, che, in proprio, potrebbe aver ricevuto il consenso di appena il 20 o 25% o ancora meno degli aventi diritto al voto. Tutto questo, oltre ad essere illogico, è palesemente incostituzionale!

Sui sistemi elettorali vi è un’ampia letteratura ed una larga esperienza nel mondo, costituita dalle scelte delle altre democrazie occidentali.

Sarebbe bastato copiare una delle leggi in vigore negli altri Paesi per non sbagliare clamorosamente, anche senza tener conto che ogni legge elettorale dovrebbe cercare di conformarsi all’orientamento maggiormente diffuso nel Paese. Nel nostro caso, in considerazione della varietà e ricchezza culturale della tradizione italiana, non potrebbe  che essere il sistema proporzionale, (con collegi uninominali o voto di preferenza) eventualmente mitigato da ragionevoli soglie di sbarramento, pur contemplando un diritto di tribuna per le forze minori, al fine di consentire il pluralismo e creare le condizioni per un futuro ricambio.

Ha ragione ad averlo definito bastardellum Giovanni Sartori, che, a parte alcune asprezze di carattere quasi immancabili in ogni buon fiorentino, è indiscutibilmente il maggior esperto italiano di sistemi elettorali. Infatti il progetto all’esame della Camera, in parte, si è ispirato al sistema francese, ma in modo contraddittorio., Mentre in quel Paese, infatti, è previsto un doppio turno tra partiti, per imporre le coalizioni al secondo, da noi si è optato per il doppio turno di coalizione, non assegnando alcun seggio a chi, nel primo, pur avendo contribuito al risultato, non abbia superato la soglia, e vietando qualunque accordo successivo. Per un altro aspetto, si è ispirato al sistema tedesco, fissando altissime soglie di sbarramento per i partiti minori, anzi alzandole ulteriormente per le eventuali coalizioni tra i piccoli, in modo da sancire la loro scomparsa e senza lasciare alcuna possibilità di difesa. Ha copiato, infine, dal sistema spagnolo le piccole circoscrizioni, sempre con lo scopo di favorire i soggetti più grandi, ma vietando il voto di preferenza. In sostanza, sotto tale profilo, non è altro che il porcellum con un più elevato numero di collegi, che lascia ai partiti (peggio,soltanto ai più grandi) il diritto di imporre le candidature; quindi, esattamente come prima, con l’obiettivo di consentire a due sole persone di dominare l’intero Parlamento.

In effetti in Italia, da un ventennio, in nome di una presunta governabilità, che non si è mai avverata, è in atto un costante, progressivo, forse inarrestabile, processo di compressione dei margini di democrazia, andando ben oltre quanto previsto dalla legge Acerbo del periodo fascista e superando ogni limite di decenza. Il sistema bastardellum è un passo importante di questo processo plebiscitario di involuzione democratica, ma la progettata abolizione del Senato servirà a rendere compiuta l’opera di demolizione della Democrazia Liberale, voluta dai costituenti.

Di fronte a tutto ciò tutte le forze politiche minori dovrebbero unire le loro forze, per elevare il tono della protesta ed impedire lo scempio costituzionale che si sta compiendo. Alcune di esse sembrano invece rimanere indifferenti, nella speranza di ottenere in cambio qualche posto a tavola nell’anticucina.

I liberali saranno in prima linea per quella che appare una estrema trincea in difesa della libertà e sono pronti ad unire le loro forze con quelle di chiunque vorrà manifestare il proprio dissenso, anche se lontano dal punto di vista della visione politica.

Tratto da Rivoluzione Liberale

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