Dalla rivoluzione può nascere un Islam moderato?

Di fronte a quanto sta avvenendo in tutta l’area mediterranea del mondo arabo, l’occidente  sta reagendo in modo schizofrenico . Prima un grande entusiasmo, insieme alla solidarietà    per le folle scese in pazza a gridare la loro protesta contro i rispettivi governi autoritari, successivamente un diffuso allarme  per i possibili sbocchi del movimento rivoluzionario .
E’ indubbio che si tratti di Paesi, tutti, sospesi sul crinale di due forme autoritarie contrapposte: da una parte il fondamentalismo islamico, dall’altra il pericolo di dittature militari.
Non bisogna domandarsi cosa potrà accadere, poiché  non è dato a nessuno di saperlo. Già in Iran nel 1979, dopo la caduta del regime dello Scià, le speranze dell’ Occidente furono deluse dal prevalere del fondamentalismo degli Ayatollah,  che ha dato luogo ad uno dei regimi teocratici peggiori del Mondo e tra i più pericolosi.
Guai per questo a negare il principio inviolabile della autodeterminazione dei popoli. Molto spesso le rivoluzioni generano dittature o forme populiste autoritarie, come si é chiaramente visto in Afghanistan. Invece l’ Iraq pare avviato verso una forma istituzionale democratica, che certo non ha nulla a che vedere con le Democrazie dell’ Occidente, ma che rappresenta un grande passo avanti, rispetto al terrore della lunga dittatura di Saddam Hussein. La conferma di tale progresso appare evidente dal silenzio di tutti i facili profeti di sciagure, intrisi di antiamericanismo.
Indiscutibilmente il livello culturale dei Paesi oggi in rivolta non é lontanamente paragonabile a quello dell’Occidente, così come diverse sono le condizioni economiche, per non parlare della maturità democratica, da considerare del tutto assente. Ovviamente la spinta maggiore alla piazza è venuta dalla fame e dal desiderio di ribellarsi alle ruberie di una classe dominante, che ostentatamente viveva nel lusso, mentre al popolo mancava tutto. Si tratta di far comprendere pertanto che democrazia non significa soltanto libere elezioni, che potrebbero, pur con un’apparenza di legittimità, produrre effetti non positivi. La transizione, come in ogni giovane democrazia, dovrà necessariamente essere accompagnata, altrimenti prevarranno la piazza o i carri armati, come ci insegna l’esperienza.
Il Mondo Occidentale deve fare la sua parte, non certo, come in passato, garantendo l’appoggio al Governo militare di turno, individuato come il male minore, ma  favorendo una soluzione analoga a quella della Turchia, dove fiorisce un islamismo moderato e che aspira ad entrare nell’Unione europea.
Al disimpegno dei militari, dovrà corrispondere una crescita del desiderio di libertà e di pluralismo. Gli Stati Uniti sembrano aver imboccato nei confronti  dell’Egitto tale strada. l’Europa appare ferma. Bisogna affrontare la crisi in atto nei Paesi arabi dell’area costiera con lo stesso spirito con cui venne salutata la caduta dei regimi Comunisti dell’Est europeo. Certo non si può lontanamente immaginare che in un mondo complesso e così diverso possa facilmente penetrare il messaggio di libertà che potrebbe venire dal nostro Continente. Si tratta di una cultura e di una tradizione troppo diverse, che vengono da lontano e intrise di fanatismo religioso.
Quella araba è un’area geopolitica che non ha conosciuto mai la democrazia a differenza di civiltà mitteleuropee come quelle che si sono liberate dal blocco sovietico, nelle quali erano ancora vive tradizioni e culture solide ed antichissime. Non si può non tenere conto che questa parte del mondo vive in condizioni  da Medio Evo, sotto il profilo culturale ed economico. A tutto ciò bisogna aggiungere l’esistenza di espressioni arcaiche e, a volte, disumane, come l’atteggiamento repressivo nei confronti dell’emancipazione femminile, che si manifesta nell’imposizione del burqa e persino in forme insopportabili,  come la mutilazione dei genitali o la lapidazione. Allo stesso tempo il fondamentalismo islamico è stato a lungo influenzato da una massiccia propaganda antioccidentale ed in particolare anti-israeliana. Quindi sarà difficile esportare il modello sociale e politico delle Democrazie Liberali.
Anche nel nostro Continente siamo passati dall’ assolutismo e dalla controriforma allo Stato moderno, a base democratica, non senza fasi traumatiche e grandi cambiamenti culturali e di costume. Quindi non bisogna restare inerti a guardare. L’Europa e l’Italia possono fare molto. Innanzi tutto bisogna dimostrare di comprendere il dramma delle popolazioni di un’area tormentata,  cercando di aiutarle economicamente e culturalmente per metterle in condizione di svilupparsi ed imparare ad  amare la libertà. Innanzi tutto bisogna prendere delle iniziative concrete volte a recuperare il grave ritardo, abbandonando una sbagliata politica, fondata sul rifiuto del diverso e sulla chiusura ermetica delle frontiere. Finalmente il leghista Maroni, dopo essere stato il paladino della politica sciagurata dei respingimenti, sembra aver capito che, di fronte ad una emergenza umanitaria di proporzioni immense, l’ Italia innanzi tutto, ma, insieme all’ Europa, deve  compiere un  atto di generosità, mettendo in campo un consistente programma di accoglienza e di aiuti per favorire un islamismo moderno.  Alla fine l’investimento si rivelerà proficuo  in termini di prestigio internazionale, ma,  anche di risultati economici. Questo sarà non solo il miglior viatico per instaurare un rapporto positivo con i Governi che si formeranno in tali Paesi, ma per influenzare in direzione del pluralismo democratico la difficile transizione. Il privilegio di vivere in un contesto in cui il progresso consente condizioni di vita migliori ed in cui la libertà politica é fuori discussione, senza spirito colonialistico o con la supponenza di chi ritiene di possedere la verità, ci impone di proporre un modello, che obiettivamente crediamo  sia il migliore  mai sperimentato nella storia dell’umanità: quello della Democrazia Liberale.
Stefano de Luca
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