CHE TREGUA SIA!
Mi sono sbagliato affermando che Silvio Berlusconi non si sarebbe mai dimesso; lo ammetto volentieri. Pur avendo portato il Paese sull’orlo del burrone, di fronte al rischio di un completo disastro e dopo un ulteriore crollo delle borse ed il record del differenziale tra BOT e BUND tedeschi, se anche un personaggio coriaceo come lui, ha deciso di buttare la spugna, vuol dire che in fondo anche il caimano ha un’anima!
Evitare l’avventura delle elezioni in un clima come quello che si era determinato negli ultimi tempi, potrebbe preludere ad un cambiamento epocale. Se, quindi, si dovesse arrivare all’auspicato Governo di tregua, sostenuto da un largo fronte trasversale, quasi sicuramente ciò determinerebbe la fine del disastroso bipolarismo all’italiana.
Il superamento della logica perversa di due blocchi contrapposti, asserragliati in fortezze inespugnabili, senza alcuna possibilità di un confronto sereno e responsabile, potrebbe inaugurare una stagione nuova di crescita della maturità democratica dell’intero sistema politico. Potremmo finalmente sognare un futuro senza contrapposizioni frontali, ma caratterizzato da una sana competizione tra forze politiche responsabili. Se Giorgio Napolitano dovesse riuscire a compiere il vero e proprio miracolo di indurre i due partiti maggiori ed il Terzo Polo ad appoggiare l’esecutivo di Responsabilità Nazionale guidato da Mario Monti, si arriverebbe finalmente all’ora della verità.
Il PDL, sottratto al ricatto della Lega e delle corporazioni, potrebbe dimostrare che realmente, non solo a parole, accetta le indicazioni della BCE e dell’UE per uscire dalla crisi. Fino ad oggi si è rivelato un partito costruito soltanto sulla vocazione per il potere, interessato al mantenimento di clientele, che conseguentemente gli hanno imposto scelte corporative. Sul terreno più squisitamente politico, in questi anni, ha consentito a Bossi di dettare l’agenda delle decisioni, sempre limitate a interessi settoriali e regionali, impedendo una reale svolta riformatrice.
A sua volta il PD sarebbe costretto a condividere una linea univoca, dimostrando di essere capace di sottrarsi al ricatto della CGIL e dei partiti della sinistra radicale e giustizialista. Finora gli è stato facile dichiarare una disponibilità generica a partecipare ad una fase di difesa del supremo interesse della Patria, anche per non ostacolare il delicato lavoro del Capo dello Stato. Diverso sarebbe doverne accettare i contenuti programmatici e votare i relativi provvedimenti, con la certezza che tali scelte comporteranno una divaricazione con una parte della propria base di sostegno tradizionale e faranno inevitabilmente esplodere contraddizioni insanabili con Vendola e Di Pietro. Sarà, quindi, impossibile soltanto immaginare una futura ricostituzione della alleanza di Vasto, ancora una volta, probabilmente sufficiente per vincere le elezioni, ma non per governare, perché troppo eterogenea, come è stato ai tempi delle due vittorie elettorali di Prodi.
Un Governo Tecnico, privo di pulsioni elettoralistiche, potrà affrontare non soltanto il nodo cruciale della ripresa economica, ma costringere le forze politiche maggiori a trovare la necessaria, larga intesa per una riforma elettorale, che riconsegni al popolo la sovranità espropriata, archiviando il vergognoso porcellum.
Da questo periodo di tregua potrà nascere quel diverso bipolarismo mite e plurale, fondato sulle ispirazioni valoriali, la cui scomparsa nell’ultimo ventennio, ha prodotto la barbarie dello scontro senza esclusione di colpi, cui abbiamo assistito. Il qualunquismo cesarista ha prodotto una classe politica impresentabile e legittimato un pericoloso odio verso la casta, favorito da un propaganda mediatica infame. Bisogna invece rendersi conto che non può esservi democrazia senza politica, purché questa venga mossa da una spinta ideale per la realizzazione di un modello di società anziché un altro, non dal desiderio di facili e ben remunerate carriere.
Una fase di abbassamento dei toni e di cancellazione dell’odio, che per tanti anni hanno accecato le tifoserie di entrambi gli schieramenti, potrebbe anche disinnescare la minaccia dell’invadenza insopportabile di vasti settori della magistratura, tentati, forzando la legge, che invece dovrebbero applicare, di svolgere un improprio ruolo politico di supplenza.
Soltanto il giorno in cui il principale partito della sinistra italiana sarà in grado di riconoscere che, pur responsabile di tante colpe e comportamenti disdicevoli, tuttavia Berlusconi è stato anche oggetto di una pesante persecuzione giudiziaria, potremo affermare che il nostro è diventato un Paese normale. Solo allora si potrà anche votare in Parlamento una legge di definitiva pacificazione nazionale, che rappresenti un salvacondotto per il caimano e possa legittimare la richiesta di un suo definitivo ritiro dalla scena politica, per creare, così, le condizioni di una profonda, quanto necessaria ed urgente, riforma della giustizia, in grado di ridefinire anche ruoli e poteri dell’ordine Giudiziario.
Come liberali siamo contrari agli atti di clemenza, ma anche alle persecuzioni. Talvolta l’accanimento della giustizia è di per se una condanna. Spetta alla politica l’atto di saggezza di definire, tra i due estremi, la delicata linea di confine. Se questo dovesse essere il prezzo da pagare per il ritorno alla Democrazia Liberale, da anni scomparsa nel nostro Paese, che ben venga.