C’è ancora posto per i liberali?
Il Capo dello Stato ha fermato il Decreto sul federalismo comunale, che il Governo aveva approvato ignorando il parere del Parlamento. Napolitano ha usato una formula durissima, definendolo irricevibile. Ebbene, rispetto alla gravità del corto circuito istituzionale, la reazione è stata quasi inesistente. L’esecutivo ha preso atto del drastico intervento del Quirinale, senza neppure tentare una minima difesa del provvedimento respinto. Dopo che il Ministro dell’Economia aveva qualificato la svolta come di portata storica, l’intera compagine governativa ha subito l’umiliazione, senza fiatare. Probabilmente il cinico Berlusconi è stato ben lieto di pagare un prezzo così elevato all’inquieto alleato Bossi, per dimostrargli la sua lealtà con lo scopo di tirare a campare fino alla nuova approvazione del Decreto, dopo l’ulteriore passaggio parlamentare necessario. Un liberale non può non rimanere stupefatto dallo scarso rilievo dato dal circuito mediatico ad un episodio istituzionale di tale delicatezza, mentre da settimane dilaga il miserabile caso Ruby. Anche se la crisi morde e servirebbero provvedimenti concreti ed urgenti liberalizzazioni, la maggioranza per divagare si trastulla con metafisiche proposte di modifica dell’art.41 della Costituzione.
La inadeguatezza del Governo e la sua scorrettezza nell’utilizzo dei propri poteri ha finito con l’assumere una portata quasi insignificante, perché ormai i principi fondanti dello Stato di Diritto non valgono quasi nulla, rispetto al gossip o al mercato dei deputati. Pur di evitare lo scioglimento delle Camere ed il quasi certo ritorno a casa,molti di essi contrattano il loro voto con il capo della maggioranza, in cambio di ingaggi nei suoi media, posti nel Governo, forse, come è stato scritto, persino denaro, o altri vantaggi. Non mi pare di aver letto sui grandi organi di stampa, cosiddetti indipendenti, un solo articolo che esprimesse sdegno e condanna verso tale pratica, che sta trasformando il Parlamento in un suk arabo. Viene anzi sollecitata ogni giorno la curiosità dei lettori per sapere quale sia il convertito del giorno.
Il Presidente del Consiglio ha annunciato che arriverà alla quota di trecentoventi voti alla Camera e che contemporaneamente amplierà di dodici elementi il suo Governo. La maggioranza parlamentare incassa nuovi sostegni e lo Stato paga altri inutili Ministri e Sottosegretari. Nessuno si scandalizza. Nessuno si domanda se non sia più grave una così estesa e palese forma di corruzione all’interno degli organi costituzionali, rispetto alle poco edificanti serate con le puttanelle nel privato della propria abitazione, di cui invece si fa un gran parlare. Sorge allora il dubbio che alla maggioranza degli italiani interessano poco o nulla le vicende delle nostre istituzioni e la compravendita di deputati, che viene derubricata al rango di semplice curiosità giornalistica, rispetto alle notizie sulle pruriginose serate bollenti del Cavaliere, delle quali la maggior parte degli italiani, anziché scandalizzarsi, si rivelano tifosi. Sembra quasi che le sue performance mondane e sessuali siano vissute alla stregua di azioni o reti del Milan.
Questa è la conseguenza devastante della telecrazia. Si spiega così perché venga tollerato l’inaccettabile spettacolo di Anno Zero, con Travaglio e Santoro, che fanno da amplificatori alle Procure politicizzate ed al sindacalismo piazzaiolo più esasperato. La logica dell’arena mediatica è diventata la regola e non qualcosa di disgustoso. La parte opposta ha solo il problema di non avere dei professionisti all’altezza. Il povero Paragone fa la figura del patetico burattino. Ma presto arriverà Sgarbi. Non oso immaginare a cosa assisteremo. I telespettatori italiani ormai accettano tutto: insulti, volgarità, scontri sopra le righe. D’altronde nessuno ha obiettato nulla, o quasi, di fronte alla smaccata faziosità, sulla TV pubblica, della trasmissione di Fazio e Saviano, che anzi ha registrato consensi ed ascolti elevati. Tutto è concesso. Ai normali cittadini non rimane che di iscriversi ad una delle due tifoserie dominanti e di pagare il canone, anzi lo devono pagare.
Sono in pochi a provare vergogna, a rifiutarsi, a provare un senso di ribellione. All’Agorà si è sostituita l’arena. Il popolo non si diverte se non vede le lacrime ed il sangue, come al Grande Fratello. Il cinismo e la morbosa curiosità del telespettatore è dimostrata dal successo di vergognose e reiterate trasmissioni sul caso Cogne o su quello della povera Sara Scazzi. La cronaca nera, il gossip, lo scandalismo, sono la cifra mediatica della società in cui viviamo.
Non vogliamo apparire moralisti, perché non lo siamo, ma guai ad una società che non abbia un’etica, che derivi da valori religiosi o laici, non importa, ma un’etica. Oggi questo è nulla. Stranezze di pochi superstiti liberali. Ha ragione Ostellino, cosa sono Popper e la sua società aperta, o Croce e la sua religione della libertà? Inutili esercizi filosofici. Cosa sono la separazione dei poteri, o il costituzionalismo liberale, cos’è l’economia sociale di mercato, cos’è la meritocrazia o il mercato libero? Illusioni di pochi liberali sorpassati. Chi sono Hume, Locke, Montesquieu, Voltaire, non parliamo di Cesare Beccaria, di Vico o di Einaudi, che per fortuna ne era consapevole: inutili predicatori.
Oggi dilagano lo Stato Etico, il moralismo ed il giustizialismo da un lato ed il cesarismo, il populismo, il consumismo, l’edonismo dall’altra. E’ troppo difficile e faticoso vivere da cittadini rispettosi di qualsivoglia valore morale e principio di socialità, come è impossibile governare nel rispetto delle istituzioni e svolgere il delicato compito di esercitare il potere giudiziario, specialmente quello delicatissimo dell’accusa, con misura ed imparzialità. Viviamo in una società schierata, dove conta soltanto vincere, anche con colpi bassi e vietati. Chi non la pensa così, si rassegni. E’ il destino dei pochi liberali superstiti. Sapevamo, quando l’abbiamo compiuta, che la scelta liberale era difficile, ma non credevamo che in Italia appartenesse alla sfera delle cose quasi impossibili. Dobbiamo forse farcene una ragione.
Stefano de Luca