Basterà la lezione delle Amministrative?
Il risultato del primo turno delle elezioni amministrative fotografa il disastroso rapporto tra partiti ed elettori. E’ fallito il tentativo messo in atto con un’esplosione di liste più o meno civiche, costruite in casa o nei sottoscala per tentare di presentare delle alternative possibili ai maggiori soggetti politici in crisi di identità e principalmente di credibilità.
Tutti si aspettavano il crollo del PD, la cui crisi interna è certamente più grave e devastante di quella degli altri. Contraddittoriamente è il partito che ha pagato di meno, perché il vero fenomeno costituito dalla disaffezione degli elettori che non si sono recati alle urne, ha colpito in modo differenziato le diverse formazioni, penalizzando molto meno l’unico partito saldamente strutturato, con una storia continua dalla Prima Repubblica ad oggi e con una densità di militanti, legati da una forte rete di interessi, molto più alta degli altri. E’ quindi scomparso il voto d’opinione o di adesione generica, mentre è rimasto quello dei militanti. Chi aveva più strutture territoriali e collaterali, ha avuto un migliore risultato, sia pure dovendo fare i conti, come gli altri, con il gravissimo abbandono da parte degli elettori non direttamente impegnati nel territorio, che hanno manifestato la loro protesta, disertando le urne.
Il PLI, convinto di poter rappresentare una alternativa molto netta rispetto ai due PD, con o senza la “L” o alla anomala protesta grillina, ha presentato alcune liste, con candidati giovani, che potevano costituire un significativo rinnovamento e con programmi di netta discontinuità col passato. L’esito è stato disastroso. Certo non abbiamo avuto la possibilità di raggiungere gli elettori, per la mancanza totale di mezzi, per l’ostracismo mediatico ed il boicottaggio televisivo. Tuttavia non possiamo non prendere atto che l’alternativa da noi proposta è apparsa inadeguata in termini di consistenza elettorale ed il messaggio è arrivato troppo debole o non è proprio giunto, complice anche la insopportabile discriminazione sui media. Come ovvia conseguenza le nostre liste non sono state premiate, anzi hanno registrato una sconfitta cocente, che ci ripropone la domanda se valga la pena di continuare a compiere inenarrabili sacrifici per poi collezionare solo delusioni, rese ancor più cocenti per la consapevolezza di essere diversi e di aver proposte concrete e vincenti, che invece non vengono conosciute o comunque pregiudizialmente ignorate.
Tutte le trasmissioni di commento, per recuperare la credibilità perduta, sono state all’insegna della rincorsa disperata di profili di leader o di nuovi uomini del destino. Purtroppo il flop di Grillo non è bastato a dare un segnale.
Non ci arrendiamo rispetto alla nostra qualificante proposta controcorrente: siamo fermamente convinti che non si tratta di affidarsi a qualcuno, ma di ricostituire soggetti politici fortemente motivati da culture valoriali ben identificate e da progetti coerenti con uno specifico approccio culturale.
Mai più partiti personali di tizio o di caio, mai più soggetti con nomi di persone o semplicemente legate ad una immagine accattivante sul piano pubblicitario, ma che non siano collegati a storie, culture, identità. Se la politica non si riconcilierà con tali elementi non potrà recuperare credibilità e fiducia. I partiti leggeri, nient’altro che semplici comitati elettorali, alla prova dei fatti, si sciolgono al sole, fino al paradosso che il soggetto più in crisi, ma più organizzato, con maggiore tradizione e presenza di interessi diffusi finisce col tenere meglio.
Per salvare il sistema democratico, bisognerebbe ripartire dagli ancoraggi ideali e dal radicamento territoriale, luoghi deputati alla selezione e formazione del personale politico, spazzando via le effimere formazioni, che si ispirano alla botanica, al calcio, al firmamento o ad altri elementi di fantasia e che scelgono i loro rappresentanti non sul piano della qualità, ma della fedeltà al capo.