Ballottaggi: il Nuovo Polo, tra opportunità e rischi

Si dice che gli economisti non siano mai in grado di prevedere le congiunture economiche, ma che, a posteriori, siano sempre pronti a sostenere che le cose dell’economia non potevano che andare se non nel modo in cui sono effettivamente andate.

E si dice anche che i politologi non riescano mai a prevedere l’evolversi delle situazioni politiche, ma che, sempre a posteriori, si ostinino a sostenere, con le più varie motivazioni, che le vicende della politica non potevano andare altrimenti.

D’altra parte, se gli uni e gli altri fossero dotati di capacità di divinazione del futuro, gli economisti sarebbero tutti ricchi ed i politologi guiderebbero i partiti, ma, nell’un caso come nell’altro, nulla del genere solitamente avviene.

Di esempi del primo tipo sono ricchi i commenti successivi alla crisi economica mondiale degli ultimi anni; e di esempi del secondo tipo si stanno arricchendo le cronache politiche di questi giorni, ognuno dei commentatori individuando in un fattore piuttosto che in un altro il motivo di tante sorprese elettorali.

Mi sottraggo volentieri a questo esercizio dialettico e mi limito invece a fare qualche constatazione oggettiva basata sui numeri, che, mai come in questo caso, sono pesanti come macigni, per poi passare a fare qualche considerazione sul ruolo che potrebbe svolgere il nuovo Polo di centro, al quale idealmente mi sento di appartenere,

La prima constatazione è che l’area dell’astensione continua a crescere e si va avvicinando a livelli di guardia per la nostra Democrazia.

La seconda è che Berlusconi ha perso malamente il suo personale referendum, da lui stesso indetto senza che nessuno lo avesse neppure provocato in tal senso.

La terza è che i due partiti della destra italiana (PdL e Lega) hanno entrambi clamorosamente perso le elezioni, e che il PD non le ha vinte se non dove non poteva non vincere (Torino e Bologna), e tuttavia tenendo egregiamente il punto (le amministrazioni locali) proprio in ragione della sconfitta della destra, mentre i migliori risultati li hanno realizzati (a Milano come a Napoli) candidati che col PD hanno poco a che spartire.

La quarta è che vanno crescendo le spinte antisistema, rese manifeste dal buon risultato del voto di protesta, che questa volta si è coagulato nel movimento di Grillo.

La quinta ed ultima constatazione è che il nuovo Polo di centro riesce appena a sopravvivere ed è soggetto a gravi rischi, su cui dirò qualcosa di più.

Il combinato disposto di tutto ciò è che la prospettiva del bipartitismo, già pregiudicata dall’ultimo referendum, è definitivamente tramontata, mentre il bipolarismo italiano, fondato su due contenitori egemoni nelle rispettive aree, quand’anche non fosse già in crisi, ha cominciato a mostrare qualche crepa.

Essendo sempre stato critico severo di questo bipolarismo, la cosa non può che farmi piacere, e questo commento potrebbe finire qui.

Se non fosse che, qui ed ora, si pone il problema di allargarla, quella crepa, prima che possa venire tamponata, affinché le acque della democrazia rappresentativa possano riprendere il loro naturale deflusso.

Si tratta quindi di rompere la diga eretta dalle leggi elettorali, che, a partire dal 1993, hanno drogato gli scenari politici, per gli enti locali come per il Parlamento, ed è questo il compito storico al quale è chiamato il nuovo Polo di centro, al di là del risultato elettorale, ancora modesto, al quale è stato inchiodato dal sistema elettorale.

Solo se si comprende che in un sistema maggioritario il voto non assume il medesimo significato se indirizzato ad un partito che può vincere la posta in gioco, piuttosto che ad un partito che non ne ha alcuna reale possibilità, si può leggere correttamente questo risultato.

Se il sistema elettorale è bipolare, un terzo polo fa fatica a nascere, anche perché chi è stufo dell’uno e dell’altro, sull’assioma che “sono tutti eguali”, è spesso indotto ad astenersi o a votare in negativo (com’è accaduto per le liste di Grillo) piuttosto che esprimersi in positivo per un’alternativa di cambiamento che, in via di principio, non ha possibilità di successo.

Quando invece l’elettorato si è trovato di fronte al cambiamento possibile, ha smesso di protestare ed ha provato a cambiare, a Milano come a Napoli, individuando candidature eterodosse che hanno fatto la differenza.

Sta di fatto che nessuno ha mai seriamente pensato che il nuovo Polo potesse vincere o accedere al ballottaggio in una delle quattro principali piazze di questo turno elettorale, e ciò di per sé moltiplica il significato politico del risultato, che può essere utilmente investito per allargare la crepa nella diga del bipolarismo.

Si tratta di una grande occasione per chi ha rifiutato di farsi omologare in una delle due fazioni in armi: in nessun caso, come in questo, i consensi faticosamente conquistati dal nuovo Polo, piuttosto che contarsi, si pesano, proprio perché possono fare la differenza.

Tuttavia, come spesso accade, le occasioni possono anche venire sprecate.

Lo spreco sarebbe sicuro se il nuovo Polo decidesse di astenersi dal partecipare come soggetto politico unitario ai ballottaggi, rifugiandosi nell’alibi del voto individuale di coscienza.

Abbandonare a sé stessi gli elettori che, contro ogni convenienza e ragionevolezza, hanno puntato non sul suo successo ma soltanto sulla sua esistenza, equivarrebbe a fare seccare il germoglio che è appena spuntato sul terreno della politica.

Peggio ancora se ognuno dei partiti che lo compongono facesse a modo suo; in questo caso, il germoglio appena nato verrebbe addirittura strappato e la questione si chiuderebbe lì..

Ancora più insidioso sarebbe infine il rischio di fare scelte contraddittorie in ragione della diversità delle situazioni locali, facendosi guidare da presunte promesse programmatiche destinate a lasciare il tempo che trovano.

Duole dirlo, ma la questione, da amministrativa che era, è divenuta essenzialmente politica, e non è quindi consentito di farsi guidare da supposte affinità elettive o da simpatie ed antipatie, pure comprensibili.

Come non è neppure il momento di fare scelte comode ed indolori, ma piuttosto quello di mostrare coraggio e determinazione, requisiti essenziali per una leadership politica che voglia dimostrare di avere la capacità di guidare i processi politici, piuttosto che di subirli o di lasciarli guidare ad altri..

Se vogliamo individuare un criterio che possa guidare la scelta, occorre allora guardare alla ragione sociale della nascita del nuovo Polo, che è quella di scardinare questo bipolarismo, ogni volta che si può e cogli strumenti che di volta in volta la situazione offre.

Soltanto chi manifesterà una qualche disponibilità a programmare un percorso di superamento di questo bipolarismo avrà titolo per raccogliere il consenso di quel “popolo di mezzo” che ha avuto il coraggio di sottrarsi alla tagliola che imprigiona da anni la nostra Democrazia.

E se poi la scelta non la faranno i partiti del centro, la faranno comunque i loro elettori, indirizzandosi da soli verso il cambiamento possibile; ma non sarebbe la stessa cosa!

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