Ancora una manovra, servirà?
Abbiamo più volte ribadito la nostra fiducia in Mario Monti. Tuttavia le indiscrezioni sulla imminente manovra, suscitano alcune legittime preoccupazioni. Ricordando che si tratta del quarto provvedimento di finanza pubblica in meno di sei mesi, con notevoli aggravi per i contribuenti italiani, le anticipazioni apparse sulla stampa di quanto il Capo del Governo si appresta ad illustrare alle Camere, sembrano riprendere proposte già avanzate dal Ministro Tremonti in precedenti occasioni. L’urgenza di un cospicuo intervento di venticinque miliardi subito dopo l’insediamento, difficilmente avrebbe consentito al nuovo Esecutivo di studiare nuove misure; quindi lo ha costretto a scegliere fra le svariate proposte trovate nei cassetti. Se inoltre si tiene conto che il viceministro per l’Economia è lo stesso direttore generale del tesoro, che aveva il ruolo di primo collaboratore di Tremonti, è chiaro che non avremmo potuto aspettarci nulla di diverso.
Il primo settore di intervento sarà quello immobiliare. Come amava ripetere Ezio Vanoni, il Ministro delle Finanze, che realizzò la prima riforma del nostro sistema tributario, il Patrimonio immobiliare, per il Fisco, è come una bella donna disponibile, di cui non può sfuggire l’esistenza e la consistenza. Verrà quindi con molta probabilità reintrodotta l’ICI, la cui abolizione era stata una delle migliori decisioni del Governo Berlusconi. Infatti ogni imposta sui fabbricati, a meno che non riguardi il reddito od i servizi ad essi afferenti, ha sostanzialmente un carattere espropriativo. Se poi, come sembrerebbe, la nuova ICI sarà progressiva e prevederà un contestuale adeguamento delle rendite catastali, certamente si tratterà di un prelievo fondamentalmente ingiusto, che potrà essere spiegato soltanto con la straordinarietà della congiuntura economica.
Altrettanto preoccupanti appaiono le anticipazioni su un possibile innalzamento, delle già elevatissime aliquote IRPEF maggiori, dal 41 al 43% e dal 43 al 45%. Tali incrementi seguono altre, analoghe, misure nei confronti dei redditi più elevati e non tengono conto che la esagerata consistenza di tali pretese di prelievo, finisce inevitabilmente col deprimere gli investimenti e produrre soltanto nuova e più sofisticata evasione fiscale.
Non differente può essere la nostra opinione sulla reintroduzione della tassa di stazionamento per i proprietari di barche. Una imposta del genere fu introdotta in passato per alcuni anni, suscitando grandi polemiche, anche per il modo rozzo con cui era stata inizialmente concepita. Comunque, anche nella definitiva formulazione, risultò odiosa e produsse un gettito minimo, tanto che, dopo alcuni anni, venne abolita. In materia, anziché penalizzare le imbarcazioni che battono bandiera italiana, che sono le più piccole e comunque non appartengono agli evasori, bisognerebbe, come è previsto in molti Paesi stranieri, introdurre una imposta per la navigazione nelle acque territoriali italiane ai mezzi navali con bandiera estera, ancorché comunitaria, che rappresentano la parte più consistente della flotta di quegli effettivi proprietari italiani, che, grazie alla estero vestizione delle proprie barche, riescono a sfuggire al Fisco.
La lotta alla evasione fiscale, non può che attuarsi attraverso meccanismi di trasparenza e con la introduzione di forme di contrasto di interessi; cioè attraverso la possibilità di consistenti detrazioni per quanto è stato effettivamente pagato. Si potrebbe cominciare con detrazioni, significativamente, superiori all’aliquota Iva di riferimento, per quanto versato a professionisti, artigiani, o ad imprese per lavori di costruzione restauro o manutenzione, che sono, obiettivamente, i settori in cui si annida la maggior parte della piccola evasione, altrimenti pressoché incontrollabile. Per quella più cospicua, si dovrebbero penalizzare i rapporti economici con i paradisi fiscali e stipulare, come ha fatto la Germania, un accordo con la Svizzera per tassare i depositi, ivi allocati da parte di italiani.
In materia pensionistica, abbiamo l’impressione che il Governo si stia dimostrando troppo cedevole rispetto alle minacce della Camusso. La riforma pensionistica, per portare risparmi effettivi, deve essere attuata immediatamente o, comunque, con una gradualità di pochissimi anni.
Sul fronte dei risparmi, i modesti tagli alla Sanità, non sembrano incidere sugli enormi sprechi del settore, ma ricadrebbero sulle tasche dei malati, attraverso l’introduzione di nuovi tiket. Per il resto non emergono altri immediati, invece necessari, tagli alla spesa pubblica. E’ tempo finalmente di deliberare sull’abolizione delle Province, la riduzione del numero dei Comuni e dei loro amministratori, nonché la cancellazione di tutte le consulenze della Pubblica Amministrazione a qualsiasi livello, che rappresentano il maggior costo della politica, in quanto servono ad elargire sussidi e prebende a caudatari e trombati di tutte le elezioni.
Nelle anticipazioni di queste ore non mi pare che si sia parlato della, pur urgentissima, vendita di consistenti parti del patrimonio pubblico, immobiliare e mobiliare. Non soltanto la cessione delle caserme inutilizzate, quindi, ma privatizzazione e liberalizzazione delle aziende a partecipazione Statale o territoriale, cominciando da Finmeccanica, ENI, ENEL, Terna, Poste Italiane, Cassa Depositi e Prestiti, ma soprattutto le utilities locali. Se si facesse un auditing serio ed una indagine approfondita su tali attività economiche, che vedono il pubblico in veste di imprenditore, emergerebbe che, quanto di poco trasparente si sta rivelando per Finmeccanica, costituisce la regola di gestioni politicizzate, dove le interferenze della politica, producono bassa efficienza, fondi neri, assunzioni clientelari, rapporti di sub committenza opachi e, sovente, anche in settori molto profittevoli, perdite ingenti di denaro pubblico.
Incalzeremo il Governo con le nostre richieste di privatizzare e liberalizzare una economia in cui, sia al Centro che sul territorio, la presenza della mano pubblica è eccessiva e produce corruzione e malcostume, oltre che inammissibili sprechi.
Complessivamente siamo dell’opinione che la strada giusta per risanare la nostra economia e per avviare un processo virtuoso di abbattimento del Debito Pubblico, non possa in alcun modo essere quella, apparentemente più facile, di chiedere sempre di più ad un contribuente che, sommando tutte le forme di contribuzione tributaria, diretta ed indiretta, oggi, subisce un carico fiscale mediamente superiore al 60% dei propri redditi.
Come ci ha insegnato Einaudi, ogni buon padre di famiglia, in una situazione di quasi bancarotta, come l’attuale, limiterebbe le proprie spese e venderebbe parte del proprio patrimonio. Questo ci aspettiamo da un governo tecnico, che non deve difendere gli interessi di alcuna corporazione, tener buoni sindacati e consorterie, foraggiare gruppi organizzati di elettori mantenere clientele. Siamo il Paese al Mondo, forse dopo Cuba, con la maggiore presenza pubblica nell’economia. Questo macigno ha comportato il debito enorme che grava sulle nostre spalle, oltre ad aprire una continua voragine per finanziare una spesa pubblica corrente, superiore al 50% del PIL.
Bisognerà quindi fare scelte impopolari, ma tutti dovranno capire che il nostro Welfare va integralmente riformato, per sostenere brevemente, e non a vita, chi non trova o perde il lavoro, nonchè rivedendo i perversi meccanismi della Cassa integrazione, particolarmente quella straordinaria. Bisogna che gli italiani comprendano che non è più sostenibile la nostra normativa in materia lavoristica, con le ingiustizie che crea tra lavoratori a tempo indeterminato o a tempo determinato e disoccupati, oltre alle rigidità in materia di contrattualistica e ristrutturazioni aziendali ed al malcostume in campo di etica del lavoro che alimenta, finendo col determinare un vero proprio blocco per l’avvio dei giovani alla vita produttiva.
Confidiamo infine che una compagine governativa, costituita in massima parte da docenti universitari, comprenda che, in ogni società competitiva, contano i saperi e non i diplomi e che, quindi, formazione professionale, Università, ricerca dovranno essere correlate con le esigenze della produzione e non rimanerne, come sono in atto, completamente avulse. Soltanto una svolta radicale, non semplicemente qualche modesto incentivo, potranno innescare lo sviluppo e permettere al Paese di riprendere il necessario cammino di crescita, senza cui, nuove ed ulteriori manovre, non potranno che avere un effetto depressivo ed impoverire ulteriormente una Nazione ormai allo stremo.
Tratto da Rivoluzione Liberale