Alcune proposte liberali per la giustizia rapida e giusta
La riforma del “pianeta giustizia” è la più urgente tra tutte quelle indispensabili: perché lo sviluppo civile di una società si misura sul parametro della giustizia giusta; e perché i ritardi della giustizia si traducono in ostacoli allo sviluppo economico.
Giustizia ritardata è sinonimo di giustizia negata – Appare fuorviante stabilire in astratto quanto debba durare un processo, mentre la strada giusta per raggiungere l’obiettivo è quella di creare le condizioni perché, in concreto, ogni processo (civile, penale, amministrativo e contabile) possa concludersi in termini ragionevoli.
In proposito, la generalizzata informatizzazione e digitalizzazione del sistema giudiziario è condizione necessaria ma non sufficiente, essendo comunque indispensabile una profonda riforma dei riti, anche per indurre nelle parti processuali l’interesse ad una sollecita definizione di ogni pendenza giudiziaria (civile, amministrativa, contabile e penale).
Per altro, anche giustizia costosa è sinonimo di giustizia negata – Utilizzare il costo della giustizia civile come strumento di deflazione del contenzioso è un metodo assolutamente inaccettabile in una società liberale, che invece deve favorire in ogni modo l’accesso al servizio pubblico di giustizia, per evitare che prevalgano forme alternative ed oscure di privata giustizia.
Nell’immediato è comunque necessario individuare un percorso straordinario che consenta di azzerare in pochi anni il carico giudiziario arretrato, mentre a regime si potrà evitare un nuovo accumulo di contenzioso solo procedendo sulle seguenti linee guida.
1.A) La giustizia civile: l’attuale sistema misto (scritto ed orale) – che di fatto è esclusivamente scritto, ma la cui virtuale oralità fa solo perdere tempo – va abbandonato e sostituito come segue:
i) il processo di primo grado dovrebbe essere pressoché esclusivamente orale, salvo l’atto introduttivo (la citazione) e l’atto finale (la sentenza); la citazione andrebbe formulata in forma assolutamente succinta, in ipotesi anche sulla base di un apposito formulario; la sentenza dovrebbe essere stesa secondo il metodo francese (“entendue que…..”), con motivazione succinta ed eventuale, da stendere cioè solo a seguito di impugnazione; la parte dovrebbe essere abilitata ad acquisire direttamente, senza intermediazione del giudice, tutte le prove testimoniali, generalizzando il metodo dell’affidavit, salvo il potere del giudice di verificare in contraddittorio orale la veridicità delle dichiarazioni; ciascuna delle parti dovrebbe potere acquisire e produrre direttamente, senza intermediazione del giudice, tutte le relazioni tecniche giurate ritenute utili al processo, salvo il potere del giudice di verificarne l’attendibilità attraverso una consulenza d’ufficio giurata, acquisita senza necessità di contraddittorio processuale, libero poi il giudice di valutare la valenza probatoria degli elaborati tecnici;
ii) il processo di appello dovrebbe essere esclusivamente scritto, con impugnazione stesa in forma succinta (in ipotesi sulla base di un apposito formulario), senza necessità di alcuna udienza, senza possibilità di produrre nuove prove costituite o costituende; la sentenza andrebbe stesa secondo il
citato metodo francese, con motivazione succinta e comunque eventuale a seguito di impugnazione;
iii) il giudizio di Cassazione dovrebbe essere consentito solo per questioni di giurisdizione e di competenza, per violazione di legge e per nullità della sentenza e del procedimento, ed invece del tutto escluso per l’incongruità della motivazione; dovrebbe essere esclusivamente scritto, andrebbe eliminata l’inutile udienza di discussione, con sentenza adottata in camera di consiglio.
1.B) La giustizia penale: E’ evidente che, in ragione della numerosità dei reati astrattamente perseguibili, l’obbligatorietà dell’esercizio dell’azione penale si traduce in relativa discrezionalità nella scelta dei reati in concreto perseguiti; tuttavia, quello di affidare al Parlamento (cioè ai Partiti) la possibilità di indicare annualmente i reati da perseguire prioritariamente sarebbe un rimedio peggiore del male, mentre è egualmente possibile incidere sulla quantità e sulla tempistica dei processi ricorrendo ad altri strumenti non devastanti per il sistema; in particolare:
i) per evitare che l’obbligatorietà si traduca in assoluto arbitrio la soluzione più corretta appare quella di ridurre l’incidenza dell’ambito della discrezionalità promuovendo una massiccia depenalizzazione di tanti fatti-reato di scarso allarme sociale, da trasformare in illeciti amministrativi, così liberando risorse umane e materiali per il perseguimento dei reati di un certo livello che creano un reale allarme sociale.
ii) la conferma del principio della raccolta della prova attraverso il dibattimento nel contraddittorio tra accusa e difesa, prevedendo tuttavia l’obbligatorietà del coevo esame dei testi per evitare che lo stesso teste possa essere richiamato, anche a distanza di molto tempo, per riferire sulle stesse circostanze, con possibile discrasia delle relative deposizioni, e col rischio di dovere reiterare le ricerche ed anche di perdere il teste per strada;
iii) il blocco del decorso della prescrizione a partire dalla sentenza di rinvio a giudizio, che fungerebbe da atto interruttivo con effetto permanente, sino al passaggio in giudicato della sentenza, come già oggi avviene nel processo civile a partire dall’atto introduttivo del giudizio; si eviterebbero così le lungaggini processuali, che il più delle volte sono dovute alla speranza degli imputati di fare maturare la prescrizione del reato in corso di giudizio.
2) La magistratura: Gli operatori di giustizia devono essere ed apparire imparziali, quando amministrano giustizia, ma anche quando svolgono la loro vita civile; occorre quindi un profondo ripensamento delle loro funzioni, delle loro carriere e delle loro tutele, che devono essere tutte funzionali all’obiettivo dell’imparzialità, oltre che dell’efficienza. Occorre in particolare:
i) Dare attuazione al 3° comma dell’art. 98 Cost., nella parte in cui stabilisce che la legge può stabilire limitazioni al diritto di iscriversi ai partiti politici, in particolare per i magistrati;
ii) Implementare il numero dei magistrati: Vanno coperti con urgenza i vuoti di organico, specie nella magistratura ordinaria, anche restituendo all’esercizio della loro naturale funzione i tanti magistrati attualmente distaccati presso altre pubbliche amministrazioni (con salvezza di quelli destinati al Ministero della Giustizia), mentre andrebbero adeguatamente implementati gli organici di magistrati, cancellieri e segretari; ai magistrati in servizio (di ogni ordine e grado) deve essere vietato per legge di assumere incarichi di arbitro nelle controversie sia tra privati sia tra questi ela P. A., come già avviene, per scelta del CSM, nel caso dei magistrati ordinari, ma non nel caso dei magistrati amministrativi, che vengono così distolti dal lavoro d’istituto.
iii) Rivedere le circoscrizioni ma preservare la piccola giustizia di prossimità: Occorre una generale revisione delle circoscrizioni giudiziarie, con la soppressione degli uffici giudiziari con modesto carico di lavoro, che andrebbero accorpati a quelli territorialmente prossimi; l’obiettivo da perseguire non può essere però quello di una mera riduzione dei costi, quanto piuttosto quello di una maggiore efficienza del servizio; la giustizia di prossimità per le materie di modesto importo va mantenuta dovunque possibile attribuendola ai giudici di pace.
iv) Separare le carriere: Le carriere di Magistrati giudicanti e requirenti vanno separate, ferme restando per gli uni e per gli altri le garanzie di autonomia e di indipendenza da ogni altro potere.
All’origine dell’unificazione delle carriere (introdotta conla Legge Zanardellidel 1890) ci furono solo questioni economiche, in ragione delle migliori prospettive di progressione in carriera, per favorire anche i magistrati requirenti, che poterono così accedere ai gradi elevati della Magistratura, più numerosi nel settore giudicante; nel tempo molto è cambiato, ma la carriera di magistrati giudicanti e requirenti è rimasta unica, anche se nel frattempo molti magistrati hanno preferito percorrerla in continuità di funzione, per non disperdere il patrimonio di esperienze e conoscenze nel frattempo accumulato; per aggirare il problema senza risolverlo, si è preferito parlare di distinzione delle funzioni, che è di per sé una ovvietà, essendo comunque le rispettive funzioni oggettivamente diverse e distinte, senza necessità di proclamarlo.
Nel momento in cui si avverte maggiormente l’esigenza che ogni magistrato, oltre che essere imparziale, debba anche sembrarlo, la formale separazione delle carriere farebbe bene a tutti, anche ai magistrati dell’una e dell’altra funzione, e soprattutto agli operatori ed agli utenti del servizio giustizia, che ne risulterebbero rassicurati in ordine all’imparzialità ed alla serenità dei magistrati giudicanti; nulla tuttavia escluderebbe la possibilità di passare da una carriera all’altra, partecipando ad appositi concorsi interni realmente selettivi.
Tra l’altro, la temporaneità degli incarichi apicali, recentemente introdotta, ha fatto venire meno anche l’originaria motivazione che aveva portato all’unificazione delle carriere.
v) Un solo CSM per tutte le magistrature: Non sembra tuttavia opportuna la creazione di due CSM separati, uno per i giudicanti e l’altro per i requirenti, perché ciò accrescerebbe i rischi di corporativismo e di autoreferenzialità degli uni e degli altri. Sembra più opportuna la creazione di un unico Consiglio Superiore per tutte le Magistrature (ordinaria, amministrativa e contabile), proprio per ridurre i rischi di corporativismo, sempre presenti in corpi organici ristretti e selettivi; tale organismo sarebbe presieduto dal Capo dello Stato, ne farebbero parte i vertici giudicanti e requirenti delle tre Magistrature, e, per la parte elettiva, potrebbe essere composto per un terzo da membri laici eletti dal Parlamento e per due terzi da magistrati delle tre componenti, a loro volta scelti per sorteggio tra coloro che si siano dichiarati disponibili a ricoprirela carica. La proposta origina dalla convinzione che il metodo elettorale in corpi così ristretti, provoca naturalmente la nascita di cordate correntizie (o anche soltanto amicali), con inevitabili ricadute (nel peggiore dei casi, di natura clientelare); il vice presidente sarebbe eletto dal CSM tra i membri laici.
vi) Organismo disciplinare autonomo: Appare invece opportuna la creazione di un organismo disciplinare separato per valutare la responsabilità disciplinare di tutti i magistrati (ordinari, amministrativi e contabili), e ciò per evitare che i diversi livelli della gestione amministrativa e della responsabilità disciplinare possano sovrapporsi e/o confliggere; tale organismo sarebbe composto da membri eletti dal Parlamento e dal Consiglio Superiore di tutte le Magistrature, e presieduto dal vice presidente del CSM (che avrebbe così anche una funzione di raccordo col nuovo CSM) o da altro membro eletto tra i suoi componenti (per accentuare la separatezza degli organismi).
vii) Responsabilità civile dei magistrati per dolo o colpa grave: Occorre riaffermare il principio di una effettiva (e non solo teorica) responsabilità civile dei magistrati (ma non dei PM che non hanno poteri decisionali); tale responsabilità può nascere solo nei casi di dolo o colpa grave, con azione da esercitarsi nei confronti dello Stato (salvo rivalsa verso il magistrato responsabile da esercitarsi in via amministrativa), senza alcun filtro di ammissibilità e però solo dopo che il giudizio si sia concluso con sentenza definitiva; l’azione di responsabilità dovrebbe potersi esercitare anche prima in sede disciplinare, con apposita costituzione di parte civile, tutte le volte in cui il titolo di responsabilità possa avere inciso sui diritti individuali; resta esclusa come fonte di responsabilità disciplinare la c.d. “manifesta violazione del diritto”, il cui accertamento comporterebbe una indebita intromissione nell’esercizio della giurisdizione, che deve restare invece affidata ai diversi gradi di giudizio, di merito e di legittimità.
viii) Polizia giudiziaria alle dipendenze dei magistrati: La polizia giudiziaria deve restare alla diretta dipendenza funzionale dei magistrati, come dispone l’art. 109 Cost.; non può essere affidata al Governo, che, nel peggiore dei casi, ne farebbe un uso parametrato ad interessi di parte piuttosto che a fini di giustizia, e nel migliore dei casi, ingenererebbe un sospetto del genere, finendo per vanificare (anche solo nell’immaginario collettivo) il principio costituzionale dell’imparzialità degli organi della P. A. (art. 97 Cost.).
3) La condizione carceraria: Anche la condizione carceraria è emblematica del livello di civiltà di una società.
Posto che la realizzazione e l’avviamento di nuovi luoghi di detenzione è questione irrisolvibile e quindi fuorviante, quanto meno nel tempo breve/medio, le linee guida potrebbero essere le seguenti:
i) Sulla constatazione che buona parte della popolazione carceraria è in attesa di giudizio,la prima riforma da affrontare è quella di ridurre allo stretto indispensabile la custodia cautelare in carcere, che non può avere il carattere afflittivo di una pena anticipata (quasi in sostituzione della pena definitiva che si dubita di potere mai infliggere); essa andrebbe limitata ai soli casi di pericolo di fuga, mentre le altre due ipotesi (reiterazione del reato e inquinamento delle prove) andrebbero ristrette in confini assolutamente eccezionali, essendo assolutamente residuale il caso che un inquisito abbia una pur minima possibilità di delinquere nuovamente o di alterare il quadro probatorio; anche in questi casi residuali, la custodia cautelare dovrebbe essere sempre domiciliare, mentre la custodia carceraria dovrebbe essere limitata ai casi di condanna definitiva.
ii) Deve essere chiaro a tutti gli operatori che chi è costretto in carcere, ancorché in esecuzione di sentenza di condanna definitiva, è affidato non solo alla custodia ma anche alla tutela dello Stato, sul quale incombono i divieti e gli obblighi nascenti dagli art.li 13, 24, 27 e 28 della Costituzione; l’attuale stato della condizione carceraria non risponde a questi requisiti, perché l’affollamento e lo stato fatiscente di molti penitenziari aggiungono alla pena inflitta ulteriori ed inammissibili afflizioni; e quindi, mentre si procede ad una massiccia depenalizzazione, con effetti anche sulle pene già inflitte e su quelle in itinere, occorre un immediato provvedimento straordinario e mirato di clemenza che restituisca alla condizione carceraria normali condizioni di vivibilità.
4) L’avvocatura: Non può esserci giustizia rapida e giusta senza il concorso dell’altro pilastro del giusto processo costituito dall’avvocatura.
Le c.d. liberalizzazioni in questo settore non realizzeranno neppure un piccolo passo in avanti rispetto all’efficienza della giustizia, che ne risulterà anzi ulteriormente ostacolata, mentre è un assoluto errore di prospettiva quello di pensare che il servizio reso dall’avvocatura al sistema sia un mero strumento del mercato, piuttosto che una funzione essenziale per la tutela delle libertà e degli interessi dei cittadini, in sede civile come in sede amministrativa o penale.
Il fatto si è che all’avvocatura mancano alcuni degli elementi caratteristici tipici per poterla considerare una vera corporazione, che è, per definizione, un organismo chiuso, ristretto, oligarchico ed autoreferenziale; al contrario, la facilità dell’accesso alla professione e la numerosità degli addetti ne fanno una delle attività più aperte a chiunque abbia voglia e capacità di intraprenderla, ed in particolare alle giovani generazioni che ormai ne costituiscono la componente più numerosa e vitale.
In presenza di un’offerta così sovrabbondante, che non ha eguali in Europa, è particolarmente fuorviante immaginare che la tutela degli interessi dei consumatori passi per l’eliminazione della tariffa professionale, anche solo come parametro di riferimento per l’individuazione in concreto del giusto compenso; quand’anche lo sia stata in passato, la tariffa ha cessato di essere un limite alla concorrenza almeno a partire dall’abolizione del principio dell’obbligatorietà dei minimi, e la sua eliminazione è ormai diventata, nell’immaginario dello scontro politico, soltanto un vessillo simbolico sotto il quale si combatte una battaglia ideologica che meriterebbe ben altri terreni di scontro.
Resta il fatto che il consumatore individuale continuerà a scegliere il suo avvocato sulla base del rapporto fiduciario, e la previa determinazione del compenso, quasi sempre impossibile, si rivelerà una assoluta finzione, restando pur sempre affidata alle indicazioni del professionista, senza che il cliente possa neppure risultare in qualche modo tranquillizzato dall’esistenza di parametri tariffari pubblici che gli garantiscano almeno parità di trattamento rispetto ad altri clienti.
L’avvocato resterà invece esposto senza alcuna difesa rispetto alle pressioni ultimative dei grandi consumatori organizzati, i quali avranno nei confronti del professionista un arma in più per imporgli convenzioni diseguali, condizionandone, all’occorrenza, anche la libertà di valutazione circa il corretto esercizio dell’attività professionale.
Nel primo caso, la c.d. liberalizzazione, che tale neppure è, si rivelerà illusoria ed inutile; nel secondo caso, addirittura dannosa ed al limite estorsiva, con conseguente grave distorsione delle stesse regole del mercato.
Affinché l’avvocatura possa concorrere a rendere migliore il servizio giustizia occorre invece che venga senza indugio approvata la nuova legge professionale, che giace ancora alla Camera dopo essere stata approvata in Senato; se è necessario, si proceda pure a modificarla, ma non si lasci senza risposta questa storica rivendicazione dell’avvocatura, che la farebbe finalmente uscire da una condizione di precarietà che non fa bene a nessuno.
Tratto da Rivoluzione Liberale