A Todi nasce il nuovo partito cattolico
L’incontro di Todi dell’associazionismo cattolico si sta caricando di significato e non a torto. Bisogna infatti riconoscere che quello cristiano è il filone di pensiero più radicato e attivo nella società italiana.
La destra, prevalentemente incolta e tenuta insieme più da sentimenti istintivi che da un tessuto ideale comune, non ha mai seriamente pensato, come in altri Paesi occidentali, a darsi un profilo culturale di forza conservatrice. L’unico tentativo fu realizzato da Mussolini, che cercò di imporre delle parole d’ordine e raccogliere alcuni intellettuali per indicare i principi fondanti del fascismo. Inoltre istituì i littoriali della cultura, per accreditare l’esistenza di una base culturale del suo movimento, anche se l’esperimento fu realizzato in forma quasi ridicola, come una sorta di campionati nazionali del pensiero, concepiti esattamente come gare sportive. Durante la successiva, lunga fase in cui ha predominato una certa retorica antifascista, che si richiamava alla Resistenza, la parola “destra” fu quasi aborrita. Quindi i movimenti che ad essa si riferivano, non cercarono di sviluppare un pensiero conservatore di stampo europeo, ma rimasero legati a sentimenti, emozioni e pratiche, spesso squadriste e violente, ereditate dalla peggiore tradizione fascista repubblichina.
Quando arrivò Berlusconi e si rese conto che il vasto mondo degli italiani istintivamente conservatori non era organizzato, sdoganò la parola “destra”, innescò un processo di revisione all’interno del MSI-DN, che era ancora di stampo postfascista e, non avendo a disposizione un modello conservatore credibile, prese in prestito alcuni messaggi comunicativi, tratti dal repertorio liberale, ma, per essere più precisi, con accezione liberista. Così riuscì a costituire un grande soggetto politico dell’area conservatrice, che non fu tuttavia, come quello di Mussolini, soltanto cesarista, ma, in nome del partito leggero, finì col rivelarsi persino padronale. Tradendo le aspettative dell’inizio, quindi, non consentì mai l’instaurazione di meccanismi di democrazia interna ed abbandonò subito le annunciate riforme liberali. La destra italiana pertanto, oggi, al tramonto dell’era berlusconiana, è priva di un tessuto culturale unificante, che possa indicare la via per la costruzione di un dignitoso soggetto conservatore, destinandola quindi molto probabilmente allo spappolamento.
Indiscutibilmente questa difficoltà è anche accresciuta dalla circostanza che il terreno politico del conservatorismo è in larga parte occupato da amplissimi settori del mondo cattolico che, nella sua variegata articolazione, ha sempre spaziato dalla estrema clerico-fascista fino a quella opposta catto-comunista, ma con una prevalente presenza nel cosiddetto campo moderato.
Analogamente, a sinistra, un dominio durato troppo a lungo da parte del più grande partito comunista del mondo occidentale, ha messo un’ipoteca che, di fatto, ha tenuto fuori dall’area di governo per quasi mezzo secolo i suoi rappresentanti, ancorché cooptati in un meccanismo parlamentare trasversale di spartizione della spesa pubblica, che ha determinato il debito enorme, che oggi grava sulle nostre spalle e condiziona pesantemente lo sviluppo.
Dopo la caduta del muro di Berlino ed il crollo del sistema di potere dell’Unione Sovietica, la frettolosa trasformazione del PCI in successive forme partito con denominazioni diverse – che tuttavia non avevano mai effettuato una revisione critica approfondita del fondamento dottrinale dal quale derivavano – non ha sostanzialmente permesso a quell’area di riferimento di liberarsi dal vecchio armamentario culturale, peraltro tenuto insieme dal sistema delle cooperative e dal radicamento di potere nelle Regioni centrali del Paese. L’errore inoltre di aver fatto di tutto per cancellare il partito, che tradizionalmente rappresentava il socialismo italiano, ha impedito che il PDS-DS-PD ne divenisse l’erede in termini ideali e valoriali. Anche il tentativo di unificazione con la sinistra democristiana, in seno al PD, si è rivelato un esperimento da laboratorio, che non è riuscito a realizzare la necessaria sintesi politica. Di fatto esso non è un partito socialdemocratico, né un moderno partito progressista. Si definisce riformista, ma di fatto è conservatore ed ha esaurito, negli ultimi anni, tutta la sua funzione nell’antiberlusconismo, inseguendo le procure d’assalto e nella suicida adesione alle battaglie di retroguardia della CGIL, che lo domina come azionista di maggioranza relativa sul piano elettorale.
La tradizione liberale, a propria volta, non ha mai avuto molta fortuna in Italia, anche se ha il grande merito di aver realizzato l’Unità nazionale e di aver avviato le basi dello Stato laico moderno. Dopo l’allargamento del suffragio, che consentì l’ingresso in Parlamento di Popolari e Socialisti, in rappresentanza dei nuovi ceti, Giolitti non riuscì a coinvolgere tali forze nel Governo. Le incertezze di questi due giovani soggetti politici, insieme ai disagi di un devastante dopoguerra ed alla vigliaccheria del Re Vittorio Emanuele III, determinarono la tragedia del fascismo, che trascinò poi, nell’arco di un ventennio, il Paese in un’altra, ancora più terribile avventura bellica, alla successiva sconfitta ed, infine, alla guerra civile.
Anche nel momento della fondazione della Repubblica, il tentativo nobile e generoso di Benedetto Croce, nonostante la sua indiscussa autorità culturale e morale, non ebbe un grande successo. Pur annoverando il ricostituito movimento liberale, oltre al grande filosofo napoletano, personalità come Francesco Saverio Nitti, Vittorio Emanuele Orlando, Ivanoe Bonomi e tanti altri uomini di spessore culturale riconosciuto ed elevatissimo (tra essi: Einaudi, Brosio, Martino, Carandini, Villabruna, Cassandro) non riuscì a riscuotere, tranne che al Sud, il risultato elettorale sperato. La conseguenza fu che, nell’Assemblea Costituente, prima, e nel Governo, dopo, anche se l’influenza liberale fu di gran lunga superiore alla rappresentanza oggettiva, in realtà il maggior confronto si svolse tra DC e PCI, che per un cinquantennio dominarono la scena politica. Inizialmente ricercarono e raggiunsero un onorevole compromesso in sede di redazione della Carta fondamentale, poi, dopo una breve collaborazione, si scontrarono per il Governo ed, infine, realizzarono una lunga fase di spartizione compromissoria a livello parlamentare che, a causa della diffusa corruzione, portò alla fine della Prima Repubblica.
Oggi, nel vuoto culturale e politico determinato dall’effimera illusione di una Seconda Repubblica senza idee, che sta per crollare, lasciando macerie morali, un tasso elevatissimo di disoccupazione, particolarmente giovanile, ed una economia in ginocchio, l’incontro a Todi del mondo dell’associazionismo cattolico, sotto la benedizione e la direzione strategica del Cardinale Bagnasco, rappresenta un appuntamento importante. Esso certamente darà vita ad una iniziativa politica di profilo cristiano, collegata con le gerarchie ecclesiastiche, che tenterà di raccogliere la parte più consistente delle forze che l’implosione imminente del PDL, e forse del PD, finirà col liberare.
In considerazione della indiscutibile circostanza che l’Italia è dominata da quasi duemila anni dalla Chiesa Cattolica, tutto questo non meraviglia, anzi può servire a dare un indirizzo culturale e politico a gruppi che altrimenti rimarrebbero sbandati e smarriti. Tuttavia non si può non rilevare il pericolo, che vi è insito, di un ritorno al passato, persino in forma più integralista. Il novantaquattro aveva segnato, se non altro, un avvio di laicizzazione della politica, anche se con la contraddizione che i principali partiti che dominavano il campo della destra e della sinistra, per conquistare l’elettorato cattolico, facevano a gara per apparire ciascuno il più clericale. Tuttavia formalmente la politica si era laicizzata. Tranne la modesta formazione dell’UDC, non vi erano partiti dichiaratamente confessionali. Oggi si rischia di spalancare le porte ad un nuovo soggetto, ispirato e diretto dalla Chiesa, senza che, allo stesso tempo, si intraveda uno spazio sufficiente per formazioni laiche identitarie che possano condizionarne, come è stato nei confronti della DC, la dipendenza dal Vaticano.
La tradizione del socialismo riformista italiano è stata distrutta e non ha alcuna possibilità di risorgere, anche perché buona parte di quell’elettorato è stato assorbito dal PD, mentre quegli esponenti che si sono collocati nel PDL non hanno alcun seguito, né prestigio. La presenza liberale, a sua volta, patisce una diffusa reazione negativa nei confronti del falso liberalismo, enunciato e non praticato da Berlusconi, da parte di coloro che, in buona fede, hanno creduto di identificare nell’esperienza di Forza Italia e del PDL le idee liberali, mentre si sono trovati di fronte al continuismo affaristico col passato dell’attuale maggioranza di Governo.
Il PLI ha fatto di tutto per marcare le differenze e far capire che una presenza liberale autentica è necessaria per una svolta effettivamente riformatrice. Tuttavia stenta a far sentire la propria voce, a causa del muro impenetrabile di silenzio steso dai media, tutti schierati, compreso il monopolio pubblico, con i maggiori partiti dei due campi avversi, entrambi concordi nel temere un risveglio delle idee liberali.
Ci auguriamo che a Todi, i movimenti cattolici riuniti, oltre a gettare le basi di un nuovo partito cristiano, comprendano che la modernità non può prescindere dal pluralismo e si rendano conto che, senza una forte dose di riforme liberali per abbattere il debito pubblico, promuovere la formazione di eccellenza, ridurre il peso ed il costo della burocrazia, incoraggiare gli investimenti, anche attenuando la pressione fiscale, l’Italia non potrà avere alcuna ripresa. I liberali stanno compiendo uno sforzo enorme per ritornare sulla scena, per mettere a disposizione tutto il grande patrimonio della loro tradizione culturale, politica e morale, con spirito di servizio per ridare speranza di futuro alle giovani generazioni. Infatti, senza una forte scossa rinnovatrice, il nostro Paese non potrà che precipitare ulteriormente indietro nelle classifiche di quelli più industrializzati e perdere ulteriormente prestigio internazionale.
Il mondo cattolico non è in grado, senza la collaborazione con una componente laica di ispirazione liberale, di assicurare il necessario processo di modernizzazione nella libertà, che necessita di apertura sul terreno dei diritti di cittadinanza delle persone, attenzione verso le categorie socialmente più deboli, come le fasce della popolazione del Mezzogiorno che vivono al di sotto della soglia di povertà, i giovani disoccupati, i diversamente abili, le coppie di fatto, gli immigrati e tutte le altre minoranze.
Su questo terreno si potrà misurare l’affrancamento del nuovo movimento dei cattolici in politica dalle posizioni clericali più conservatrici e retrive, intrise di pregiudizio verso la cultura e la tradizione del pensiero liberale.
Tratto da Rivoluzione Liberale