2 giugno, riflessioni di un’Italiana
“[…]Unità e solidarietà: questo occorre per superare tutte le emergenze e le prove, come ci dicono i nostri 150 anni di storia. Libero confronto tra diverse opinioni e proposte, non vecchie contrapposizioni ideologiche.Senso dell’interesse generale, senso dello Stato, volontà di cambiamento – nel grande scenario dell’Europa unita – per far crescere l’economia, dare futuro ai giovani e rendere più giusta una società troppo squilibrata ed iniqua […]”
Questo è un passo del discorso del nostro Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano in onore del 2 giugno. E’ un brano che mi ha fatto riflettere sull’essere italiana. Come tutti, o almeno la maggior parte di noi, un’italiana confusa, ferita, amareggiata. Una italiana che non voleva la parata del 2 giugno, ben prima del terribile terremoto che ha colpito l’Emilia Romagna, perché giudicava che questo dispendio di denaro pubblico, durante un anno di crisi economica che ci ha messo in ginocchio e che chiede sacrifici enormi agli italiani, fosse decisamente fuori luogo. Poi ci si è anche messa la terra a tremare, quasi ad avvalorare la mia convinzione.
Tralascio le polemiche che girano all’impazzata sul web, circa la sospensione oggi della parata: sarebbe totalmente inutile dato che la “macchina organizzativa” è già in movimento e l’esborso delle penali alle ditte coinvolte sarebbe tale che ai terremotati non rimarrebbe nulla. Quella è inutile demagogia di stampo grillino. Era il “principio parata” che mi dava fastidio, mi chiedevo cosa c’è da festeggiare in un anno come questo? Quando ci chiediamo (quasi) tutti come faremo a pagare l’IMU, ad arrivare a fine mese, quando le elezioni amministrative hanno premiato un movimento che urla quello che tutti pensiamo, senza però proporre soluzioni? Cosa c’è da festeggiare in un anno in cui si è tagliato in modo incisivo il Welfare? Quando si incontrano nelle mense della Caritas famiglie che con un solo stipendio non arrivano a fine mese a far la spesa, o giovani che non riescono ad avere una vita da adulti perché senza lavoro e vivono a casa dei genitori?
Ma è noto che proprio nei momenti di maggior sfiducia, il proprio orgoglio deve emergere con vigore per dare quella spinta di propulsione che ci deve far andare avanti. Per fare questo, innanzitutto dobbiamo capire chi siamo e dove stiamo andando. Siamo abbagliati da mille proposte di associazioni politiche (basta navigare un giorno in un social network che ne siamo bombardati) che ci propongono parole come “cambiamento”, “azzeramento”, “rivoluzione per cambiare”, come se fossero la panacea per il male italico. Ritengo invece che la vera rivoluzione – dopo anni di stato vegetativo culturale voluto da una serie di Governi che non avevano interesse nel contrario – sia di riappropriarsi di quei valori ideologici che hanno fatto grande il nostro Paese. Ripercorrere le strade dei nostri Padri Liberali, penso per esempio ad un Einaudi, che hanno costruito questa Repubblica Italiana. I valori sani, i principi di liberalismo che – se correttamente interpretati da Liberali (inteso come sostantivo e non aggettivo) – possono di nuovo condurci “fuori dal guado”. E non mi limito a pensare che dovremmo tutti ripercorrere la sola strada del liberalismo ma che – chi possiede una tradizione politica diversa – si rilegga il pensiero dei propri padri ispiratori.
Non credo ci sia bisogno di far nascere entità politiche nuove, semmai invece applicare quei valori allo stato attuale delle cose. Gridare i propri valori ed eleggere persone capaci ed oneste che li possano interpretare per il bene di questa Italia.
Ecco allora che, ripensando a quei padri, l’orgoglio di essere italiana diventa dirompente, la voglia di far capire all’Europa ed al mondo che ci siamo, a dispetto anche di chi, tra noi stessi italiani, ha provato a farci ridicolizzare. Ci siamo, forse un po’ “ammaccati “ e feriti, ma siamo qui e sapremo rialzarci! Ci vorrà del tempo, ma se sapremo fare le scelte giuste, facendoci rappresentare in Parlamento da chi saprà interpretare quei valori in modo onesto e con il senso dello Stato; se noi tutti cittadini italiani non lasceremo più, per indolenza, che ci tolgano il nostro spirito critico ed il valore culturale che è nel nostro DNA, se ci rimboccheremo le maniche come fecero i nostri predecessori nel dopoguerra, allora i nostri giovani avranno una speranza.
Da allora, noi donne abbiamo fatto passi avanti (ma non abbastanza) e – spesso proprio nei momenti del bisogno – tocca a noi sopportare maggiori fatiche, dare prove concrete nella solidarietà familiare e sociale. Ma credo che per un futuro migliore, per noi e per i nostri figli, ne siamo capaci e pronte.
Ed allora sì, Giorgio Napolitano, grazie di avermi fatto ricordare di essere un’Italiana, orgogliosa di esserlo e di festeggiare questa mia Repubblica.
Tratto da Rivoluzione Liberale